Lettera II.

I nostri detrattori.

Forlì, 25 Novembre 1874.

Mio caro Mario,

Se le calunnie avventate contro di noi a dipingerci cospiratori per mestiere ed uomini di corrucci e di sangue, non rappresentassero che la malignità di partigiani volgari, mi parrebbe vano e indecoroso occuparmene. Ma le sinistre voci sparse a denigrarci - quando la nostra condizione di prevenuti in custodia della giustizia esigeva, ed esige tuttavia per quelli di noi che sono ancora prigioni, un religioso rispetto agl'imparziali procedimenti de' magistrati - furono ripetute, in Italia e fuori, quasi con autorità officiale, da diarii che avrebbero dovuto intendere meno indegnamente l'ufficio loro, e accreditate da allusioni di ministri ne' loro discorsi, e da decreti di prefetti; e importa esporre nella loro nudità le arti e il linguaggio de' nostri vituperatori, non perchè questi se ne vergognino, che la vergogna sgorga da qualche resto di pudore; ma perchè il paese veda sempre più aperto la slealtà dell'armi usate a com batterci, e la immoralità del sistema, in cui sì fatta guerra può impunemente aver luogo; nè la verità sembri temere, tacendosi, l'impudenza de' suoi avversari.

Su quali fondamenti si appoggiasse il sospetto, che fece parer lecito ai nostri persecutori l'arbitrio in noi commesso, fu già rivelato in parte, e dovrà tra breve essere rivelato in tutto, dal giudizio de' tribunali. Di che natura poi siano le ignominie susurrate intorno ai nostri nomi, fuori del santuario della giustizia, ad infamarci e aggravare l'accusa e renderci, se pur fosse stato possibile, ostile la pubblica opinione, appare, quanto basta, dal solo argomento da cui procedono, che è questo: - infestano di tanto in tanto alcune città di Romagna, come altre Città e terre d'Italia, delitti di sangue, mossi da passioni e vendette private abiettissime, al tutto disgiunte (lo attestano i resultati dei processi giuridici, e quello di Ravenna n'è esempio evidente) da responsabilità collettiva di associazioni politiche. Que' delitti furono e sono maledetti dagli onesti d'ogni partito, da noi per primi. Ma alcuni de' veri o presunti assassini appartennero, innocenti ancora o non conosciuti per rei, a società d'artigiani e di patrioti, o furono compagni in campo ai militi delle patrie battaglie, e si ascrissero con essi al partito, che profanarono poi co' loro misfatti: dunque, concludono i nostri diffamatori, quelle società sono congreghe di malfattori, que' patrioti sono fautori e patrocinatori di delitti, e quanti, combattendo a viso aperto le tendenza malvagie ed abborrendo da basse e vili e feroci azioni, hanno contribuito a fondare fratellanze di popolari sodalizio e cercano con ogni poter loro di educare i migliori istinti delle moltitudini a generosi principii ed affetti, sono tutti infami egualmente. Davanti a questa ribalda logica da inquisitori in veste di bravi della parola e della penna, e alle imputazioni che da essa discendono, l'altera coscienza ricorda la difesa di Marco Emilio Scauro, specchiatissimo antico, incontro al fazioso accusatore, che lo citava a rispondere di mentita colpa, in meno ignobile causa, dinanzi al popolo romano. «Quinto Vario Sucronense asserisce che Marco Scauro istigò i soci italici all'armi: Marco Scauro nega: non havvi alcun testimonio: a quale dei due vi convien credere, o Quiriti?» e Roma credette a Marco Scauro. I miei concittadini e l'Italia crederanno a me, non ai nostri diffamatori. Nè questo santo orgoglio parrà prosunzione ai generosi. L'indole mia, a voi nota, s'inchina riverente ad ogni altezza d'ingegno e di virtù, insorge sdegnosamente superba contro la falsità e la nequizia. No: i nostri avversari non hanno altro testimonio alle loro menzogne, che la trista consapevolezza d'essere pur mentitori. I testimoni, i criterii tutti dell'onesto e del vero parlano in favor nostro. Parlano in favore de' miei compagni il loro amor patrio, il virile coraggio proprio dei forti e innocenti, i sacrificii lietamente accettati per la causa del nostro paese: giovani, che dalla gloriosa palestra delle imprese nazionali ritornati ai loro pacifici uffici nel foro, nella stampa, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole, s'acquistarono onorata nominanza fra i loro concittadini; ed uomini maturi, che portano nella nobile fronte i segni delle torture sofferte sotto i vecchi governi, per amore di quella Italia, da' cui reggitori presenti si ebbero meco argomento di ragguagliarli ai caduti padroni. E parlano in favor mio le proteste solenni da me lanciate, sin dal 49, nel cospetto della Costituente romana, contro i delitti di sangue, denunziandoli peste della civile società e profanazione della repubblica, e gli atti da me, e dai miei colleghi nel reggimento di quella, eseguiti a reprimerli in varie province dello Stato, e in questa stessa Romagna, senza violare, per la scelleratezza di pochi perversi, il diritto comune, nè la libertà e la fama d'intere associazioni e parti politiche: e non istette per noi, se, nelle supreme angustie della patria, assalita da tre eserciti invasori, e d'una città assediata, un forsennato commettitore di soppiatte atrocità non pagò, in Roma, la meritata pena dei suoi misfatti. Rispondono infine per me, dinanzi a quanti mi conoscono, l'indole mia naturalmente nemica d'ogni violenta passione, l'educazione civile ricevuta da' miei perduti genitori e da me custodita come sacra eredità del loro affetto, le vocazioni ideali, i principii e gli studii, a' quali, da' miei più giovani anni a questo cinquantesimo quinto del viver mio, portai culto ed amore, e i nobili intenti, pe' quali sostenni, con serena coscienza, rispettato esilio ed onorata povertà fra gli stranieri, persecuzioni e diffamazioni varie fra' miei nazionali, insino a quest'ultima, il cui segreto sta tutto nell'odio che desta la fede nella nobiltà di un'idea a quanti si fanno religione del loro egoismo, e «tracannando la patria alla salute, del Re» mettono a repentaglio - pessimi presidii di governo - la causa d'entrambi.

E il primo pensiero della Consociazione delle società popolari di Romagna ebbe origine appunto in un grido d'indignazione contro gli assassinii, che funestavano, disonorandolo, il nostro paese: grido uscito dal cuore di generosi uomini di parte nostra dinanzi a migliaia di cittadini adunati a protestare contro l'onta comune in pubblico Comizio a Faenza, nel gennaio del 1871, per opera di quegli uomini e mia. Ma di ciò, per non eccedere i limiti della presente, vi terrò discorso in altra lettera.

Vostro

A. Saffi.

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