Lettera III.

La Consociazione Romagnola e i delitti di sangue.

Forli, 1 Decembre 1874.

Mio caro Mario,

Vi dissi, che il primo pensiero della Consociazione delle Società popolari di Romagna ebbe inizio in un grido d'indignazione contro i delitti di sangue. Brutali assassinii avevano funestato a que' giorni Ravenna, Faenza, qualche altra terra di Romagna, e la mano omicida si nascondeva nell'ombra. Que' misfatti, comechè d'oscura origine, apparivano mossi da perversità di passioni private più che politiche, e gli odierni processi ne vanno mettendo in chiaro la vera natura. Nondimeno, pregiudizii infelici, e ricordi di antiche miserie, e ingiusti sospetti slealmente fomentati da presenti animosità, ne recavano la colpa a sêtte, ignote a quanti, coi tempi nuovi, si erano volti ad opera di aperta e civile, manifestazione de' loro principii. E sêtte politiche, intese a macchinare delitti nelle tenebre per passioni di parte, non esistevano realmente fra noi. Imperversavano qua e là pochi malfattori comuni, stretti fra loro in fortuite leghe - questo è posto in chiaro oggidì - coi quali non avea che fare politica di qualsiasi veste e colore. Ma i buoni, gli onesti d'ogni partito, non se ne sentivano meno offesi e mortificati, come di pubblica infamia: ed era dovere di tutti l'opporre ad un coperto male - non frenato anzi accresciuto da una incerta giustizia tristamente raccomandata ad eccezionali espedienti - la voce solenne e la forza operosa della coscienza del paese, escludendo ad un tempo, per quanto era possibile, ogni men degno elemento dai popolari sodalizii già pubblicamente costituiti nelle nostre province ad intento di mutuo soccorso e di educazione fra gli operai, o di geniale ritrovo, o di politiche associazioni fra patrioti di ogni ceto. Al che la pubblicità era appunto efficace mezzo e guarentigia, e grande avviamento insieme a civile e temperato vivere cittadino. Uno di que' generosi repubblicani, i quali, privilegiati di mente gentile dalla natura e dal costume, pongono nel principio morale il fondamento dell'Idea politica, alla quale aspirano, e la speranza di un'Italia, che non menta colla viltà de' suoi figli alla nobiltà del suo nome - Leopoldo Maluccelli - diceva al Circolo popolare di Faenza, una sera del principio di gennaio 1871: «La Repubblica non può essere, o non può durare pel solo effetto di una lotta materiale: essa deve emergere dall'unanime consentimento di un popolo che ne apprezza, conoscendoli, e l'importanza e i beneficii. La Repubblica è la stola dell'innocenza, è la corona di lauro sulla fronte di una nazione vergine di delitti e di codardie, non è il manto che maschera un dorso illividito dalle sozzure del vizio e della ipocrisia … Abbiamo gravi piaghe: io vi porrò arditamente la mano, perchè il maggiore, l'unico timore ch'io m'abbia quello si è di mancare alla mia coscienza, al debito di cittadino onesto … Questa popolazione ha istinti generosi, ha virile natura: a voi tocca di risvegliar quelli, d'approfittare di questa, e dirizzarla a meta nobile e santa. Non abbandonate questo tesoro latente in preda a selvaggie passioni, ai vizii più turpi, ai risentimenti personali, al tristo retaggio di vendette e rancori che ci legarono gli avi nostri. Continue e puerili discussioni, contumelie esagerate e ingigantite dall'abuso riprovevole del vino, si traducono di sovente in fatti di sangue, nei quali male sapresti giudicare se la ferocia prevalga, o la viltà. Unico e solo sollievo alle giornaliere fatiche non può, non deve essere, per una popolazione civile, l'abuso del vino. Promovete riunioni, associazioni, nelle quali qualche cosa di meglio si faccia anco di ricreante e dilettevole ... Dite a questo popolo, avvicinandolo più che per voi si possa, che cessi dall'insensato e barbaro costume di elevare le personalità alla proporzione di affari di partito ... Quai diritti, qual parola potrebbe portare nel consesso della vera, della sana democrazia, un paese nella cui cinta si compiono fatti, dai quali con orrore rifugge ogni anima onesta? Ma basti di ciò: voi dividete con me tutta l'indignazione contro i recenti fatti accaduti, e il fervido voto che non si rinnoveranno mai più.» E mosso da carità di patria e desiderio di suscitare negli animi un operoso spirito di civile tutela a conforto de' buoni e a sgomento dei rei, il Maluccelli propose, dietro accordi presi con me e con autorevoli persone della sua città, di convocare un popolare Comizio a maledire pubblicamente la empietà dell'assassinio, e a veder modo di migliorare, con quanti mezzi le circostanze del tempo e del luogo concedevano, il costume e le condizioni materiali delle classi diseredate.

Quella memorabile riunione, nella quale convennero, coll'intera cittadinanza faentina, molti patrioti d'altre città di Romagna, e ch'io, per cortese invito de' promotori, ebbi l'onore di presiedere, diede nobile indizio, che ne' nostri paesi esistono, non men vivi che altrove, l'odio al delitto e il coraggio di manifestarlo. E l'unanime entusiasmo col quale la moltitudine numerosissima accolse dalla mia bocca parole che le dicevano: - «la vita essere cosa sacra e inviolabile: non avere l'uomo arbitrio sovr'essa, se non per offerirla al comun bene: selvaggia ogni rissa e violenza privata, e l'assassinio proditorio la più abbominevole e codarda delle viltà» - dimostrava, che ne' Romagnoli, più che la disposizione alle civili virtù, manca l'abito dell'accordarsi a praticarle; mancano, non le attitudini, ma l'uso e i presidii di una forte educazione privata e pubblica, e di una libertà che, eguale per tutti, innalzi tutti egualmente alla coscienza de' proprii doveri, e al rispetto della propria dignità d'uomini e di cittadini. E il Comizio faentino, abbominato l'assassinio, sollecitava i cittadini d'ogni classe e opinione a darsi la mano, con mutua fiducia e perseverante operosità, intorno al patrio Municipio, smettendo la sterile usanza dello astenersi dall'arringo elettorale e dalla cura delle cose pubbliche, e fece voto, che tutti gli onesti intendessero a curare la radice del male, senza ricorso a leggi eccezionali, promovendo il miglioramento intellettuale, morale ed economico della classe operaia, la riforma degl'istituti di pubblica beneficenza, e il senso di quella civile solidarietà, che è fonte d'ogni progresso ed efficace aiuto, tanto a prevenire i delitti, quanto a scoprirne gli autori. Ricordo che Giuseppe Mazzini volle, che il discorso di Maluccelli al Circolo, e la relazione di quella cittadina adunanza, fossero inseriti in uno de' primi numeri della Roma del Popolo a corollario del suo Programma: e Giuseppe Petroni commentava quegli atti con queste parole: «noi ne pubblichiamo il resoconto, parendoci di vedere iniziato nella città di Faenza ciò che il Romagnosi chiama pòlicrazia e gli Inglesi self-government: il quale, se non è ancora un fatto in Italia, ostando il giure politico delle annessioni, è almeno un bisogno che da pochi o da molti comincia a sentirsi, e questo sentimento è la più sicura guarentigia d'un migliore avvenire.»

E la protesta morale, surta dal cuore della Romagna in Faenza contro i delitti di sangue, e lo studio di ravvivare, anche negli animi più rozzi, la nativa generosità e franchezza della razza, il ribrezzo delle soppiatte atrocità, e il senso de' gentili coraggi, furono attivamente proseguiti da molti giovani di culto ingegno e di cuore, e dai migliori e più intelligenti operai, nel seno delle nostre società popolari. Nè credo di esagerare il fatto affermando, che parecchie città romagnole devono alla santa opera loro, che dinanzi a gravi provocazioni di passionati avversari, e di ciechi o troppo zelanti agenti del potere, non siano occorsi in esse maggiori disordini e sventure. Noi non cessammo mai di combattere le cause morali e gli incentivi della più vergognosa e dolente delle nostre piaghe, adoperando, quanto era dato a privati cittadini ed educatori, le forze della nostra parola e della nostra influenza a conforto di virtuosi affetti, senza pensiero di malvagi risentimenti. Nè - lasciando stare per brevità il passato - accadde negli ultimi anni caso o pericolo di sanguinose vendette, che ci trovasse indifferenti o timidi al severo ufficio di opporre ai criminosi attentati il grido dell'oltraggiata coscienza umana: e nel nostro linguaggio parlava lo spirito di tutti i generosi fra i nostri compatrioti. Cadeva, per riazione di tristi contro i procedimenti della giustizia inquirente, un magistrato in Ravenna; cadeva, vittima d'ignoto assassino e d'oscuri odii, il Piccinini, internazionale, a Lugo. La stampa repubblicana, levandosi in nome dell'umanità sopra ogni differenza di parte, fulminava il delitto. L'Unità Italiana a Genova, il giornale della Consociazione romagnola a Bologna, L'Alleanza, sorgevano ad intimare guerra all'assassinio: ed io scriveva, il 12 maggio 1872, ai direttori di quest'ultimo foglio la seguenti parole: «Voi avete riprodotto dall' Unità Italiana il giusto giudizio, con cui il più antico fra i giornali repubblicani d'Italia, mentre riconosce da un lato la generosa indole nativa della gente romagnola, deplora dall'altro l'abbominevole tendenza, che, frutto delle iniquità del passato, prorompe, di tanto in tanto, alla vendetta privata ed al sangue, negli elementi meno civili del nostro popolo. È obbligo di noi tutti opporre a questo immenso male quanta potenza di forze morali somministrano ai nostri cuori il dovere dell'umanità, la carità della patria, e il consentimento de' buoni. Noi abbiamo più volte alzata, protestando, la voce contro questa piaga, che contrista e disonora il nostro paese. Dobbiamo, o amici, raddoppiare di sforzi, perchè la protesta degli animi nostri penetri quasi fiamma purificatrice ogni ceto, ogni partito , ogni più oscuro ripostiglio di questa nostra terra, capace delle virtù dei forti, e pur sovente infestata dalla proditoria ferocia dei vili. Noi dobbiamo far sentire - e possiamo, perseverando, farlo sentire anche ai più incolti fra i nostri conterranei, perchè il cuore dei Romagnoli è predisposto da naturale vivezza d'affetti al Bene - che, se il venire apertamente alle mani e al sangue per contese personali o politiche, è abito irrazionale e degno di gente barbara, il tôrre a tradimento la vita all'avversario, è scellerata viltà, degna di gente schiava: che, a voler esser liberi, bi sogna esser franchi dell'animo e puri di delitti: e che questi misfatti senza nome, da qualsiasi parte procedano, mentre attraversano quell'opera di educazione morale, di fiducia cittadina e di progresso civile, alla quale sono volti i principii e gli sforzi dei veri repubblicani, imprimono, agli occhi dell'universale, una immeritata macchia al nome romagnolo, travolto, per colpa di pochi insani, nel fango. Educhiamo, educhiamo, con fraterna ed assidua cura, le moltitudini, e preveniamo, coll'intrepida milizia dell'onesto e del giusto, gli effetti di sciagurate passioni. La grande umanità della parola e dell'esempio di Giuseppe Mazzini non rimanda sterile semenza in un terreno naturalmente atto ad ogni più generosa coltura» . E questa coltura io mi studiava d'inculcare, aiutato da molti buoni - parecchi de' quali, caduti meco nel laccio di Villa Ruffi, sono tuttavia in carcere - quante volte se ne offeriva la opportunità, conferendo coi nostri bravi operai, o scrivendo alle società democratiche di varie parti di Romagna. E - cito un esempio fra i molti - ai lavoratori delle miniere Cesenati, che, pigliando a guida i Doveri dell'uomo di Giuseppe Mazzini, si erano accolti in sodalizio di mutuo soccorso e di mutua educazione, e a' quali l'autorità politica (sapienza e liberalità di governo!) aveva vietato di porre una lapide alla memoria del Grande italiano, io scriveva il 6 Settembre di quello stesso anno: «Voi mostrate d'intender bene i doveri dell'associazione: dell'associazione fondata sulla libertà, sulla eguaglianza, sulla spontanea mutualità degli ufficii e dei servigii fra i socii, ad incremento, non solo di benessere materiale, ma di civili e patrie virtù ; e di morale dignità per tutti. Il vostro programma lo attesta. E il rispetto che professate alla donna, come a educatrice della famiglia, e la nobile parte che le assegnate nel vostro sodalizio, vi fanno degni d'essere citati in esempio al paese. Siate fedeli ai vostri doveri in tutte le loro applicazioni. Amate in ogni uomo un fratello: stringetevi con lui, se buono, ad operare il bene: se tristo, fate ogni sforzo per migliorarlo. Frenate severamente in voi stessi e in altrui le passioni indegne e violente. Abborrite dal sangue. Fate sentire ai vostri fratelli, ai figli vostri, che l'uomo non ha arbitrio sulla vita dell'uomo: che la vita è sacra: che l'omicida è vile e brutale come il carnefice: che colui che uccide, viola tutti i principi dell'umana fraternità, e scomunica sè stesso dall'umana famiglia. Seguendo ed attuando questi principii - i principii di quel Grande educatore del popolo italiano, al quale vi era, non ha guari vietato d'inal zare un ricordo nel vostro borgo - voi dimostrerete col fatto da qual parte alberghi l'inciviltà e la barbarie».

E davvero, mio caro Mario, quanti fra noi miravano ad opera di civile progresso, erano condannati a procedere faticosamente, con poco frutto presente, ma con ferma fede ne' presagii di un migliore avvenire, fra le reliquie e gli sterpi di due barbarie. Dell'una è detto abbastanza: dell'altra, e dell'errore dal quale, per mio avviso, traeva e trae alimento, vi parlerò un altro giorno.

Vostro

A. Saffi.

Share on Twitter Share on Facebook