Lettera IV.

Le leggi eccezionali in Romagna.

Forlì, 7 Decembre 1874.

Mio caro Mario,

Eravamo condannati, ripeto, a procedere faticosamente fra gli avanzi di due barbarie, guardando, più che al frutto immediato, alle speranze civili dell'avvenire. Da un lato, ne' più rozzi elementi della società, le selvagge tendenze discorse nell'altra mia, dall'altro - con una polizia inetta nel più de' casi a' suoi veri ufficii, ma irrequieta nel perseguire le opinioni politiche - un grossolano empirismo legislativo, inteso a riagire, quasi a vendetta, contro gli effetti del male, invece di curarne, con civile provvidenza, le cause. L'applicazione delle leggi eccezionali di sicurezza pubblica alle Romagne, se pur non coperse fino da principio una sinistra mira di persecuzioni politiche, fu ad ogni modo un errore di quell'arte infelicissima di governo, che prende indirizzo - non dalla esatta cognizione dello stato sociale e morale delle popolazioni, nè dalle norme della scienza, nè dalla virtù delle legali guarentigie e dei civili influssi della libertà religiosamente servata - ma dalle febbrili apprensioni di un male non bene studiato, e dalla collera poco virile della propria insufficienza. Sì fatti espedienti di arbitraria e falsa giustizia a detrimento della regolare e vera - perniciosi dapertutto al progresso civile de' popoli, ripudiati dalla odierna giurisprudenza, combattuti, come voi sapete meglio di me, dalla parte più illuminata e più liberale in quella stessa Inghilterra, che suole citarsi superficialmente ad esempio di cattive imitazioni dai nostri uomini di Stato; e che non li addottò, a' dì nostri, se non in casi estremi, a breve tempo, dinanzi a flagrante e vasto disordine in Irlanda, e sotto severe cautele di personale responsabilità negli agenti del potere, di sicure indennità a' cittadini ingiustamente colpiti - sì fatti espedienti, dico, riescono dovunque, ma più qui dove io vivo, a raggravare, non a correggere, il male. Il nostro maggior bisogno, incontro ai delitti indigeni del paese, è la restaurazione del senso giuridico, indebolito più o meno in ogni classe della società dai pessimi reggimenti del passato; ed è indispensabile a ristaurarlo l'esempio di una giustizia attiva, certa e imparziale, che raggiunga il delitto dov'è, e incuori fiducia all'universale, ed animo di secondarla ne' suoi retti ed onesti procedimenti. Ma queste viete ordinanze di pretesa tutela sociale, soggette di loro natura ad informarsi a meri sospetti e a segrete animosità, a private impressioni o a pubblici rumori, inducono diffidenza negli animi, e li predispongono a scorgere in ogni atto dell'autorità un pericolo per l'innocenza, in ogni individuo, punito a torto o a ragione, una vittima dell'arbitrio. «Ma,» esclamano i fautori del terrore a presidio dell'ordine, «le aperte e regolari procedure, per la difficoltà delle coraggiose testimonianze, non approdano.» Posto che ciò sia vero, e non è se non per eccezione, il rimedio accresce l'inconveniente, e dissolvendo gli ultimi ripari della comune giustizia e della civile cooperazione de' cittadini con essa, ci ricaccia in pieno medio-evo. Queste ragioni io discorsi, secondo le mie deboli forze, in uno scritto pubblicato nella Roma del Popolo, sin da quando si discutevano, nella passata legislatura, le leggi eccezionali; ed oggi, che la febbre de' provvedimenti statarii si fa più intensa e più cieca, parmi dovere l'insistere sovr'esse, e associare la mia umile voce a quella di tutta la stampa liberale d'Italia, mentre questa combatte strenuamente pel buon diritto. E ciò ch'io sentiva tre anni or sono, e sento tuttora, delle condizioni sociali e morali di queste province - dov'io nacqui ed ho stanza - rispetto alle esigenze della ragion penale, varrà, insieme, a chiarirvi la situazione, nella quale la parte nostra tentò di costituirsi pubblicamente, in Romagna, a pacifica manifestazione di principii, e ad opera di educazione popolare, come avea fatto in altre regioni d'Italia.

È digressione, che non si scosta dal soggetto, anzi ne spiega le circostanze e i veri intendimenti; però vorrete essermi cortese di paziente indulgenza se trascorro alquanto oltre i limiti, ch'io mi era da principio prescritti in queste mie lettere. «Questi provvedimenti,» io diceva, «peccano di tutti i vizii di quelle tradizioni settarie de' così detti ordini di giustizia del medio-evo; che già servirono di norma alla legge Pica sul brigantaggio; e meritano tanto più biasimo quanto men gravi e meno estesi sono i disordini delle nostre province, in confronto di quelli, che diedero pretesto a quella legge. Che non esistono in Romagna bande poderose e permanenti di briganti, non manutengoli, che cospirino con essi per connivenza o paura in ogni classe della società. La distribuzione sociale della proprietà e de' profitti del lavoro campestre è più equa tra noi, che in altri contadi d'Italia; la campagna, mercè l'antica consuetudine delle colonie parziarie o mezzerie, è tutta popolata: frequenti le ville, i borghi, i mercati, le città: benigne in generale le relazioni fra proprietarii e coloni; le violenze e gli omicidii, per riazioni agrarie contro i possidenti, ignoti nelle nostre terre. E in effetto i delitti comuni a danno delle persone e degli averi non escono in queste province dai termini di una ristretta complicità, ed ogni tentativo di associazione organizzata e stabile di malfattori, o non allignerebbe, che che si dica in contrario, in mezzo alle nostre cittadinanze, o potrebbe, coi mezzi ordinarii di una provvida ed onesta polizia, agevolmente scoprirsi, e sottoporsi ai procedimenti regolari della giustizia penale. Le aggressioni e i ricatti tentati in alcuni distretti di Romagna ... non superano le cospirazioni di malandrini e le depredazioni, che travagliarono a' giorni nostri alcuni luoghi della culta Toscana e del disciplinato Piemonte, comechè sia divenuto oggi quasi di moda il trattare la Romagna come la terra più barbara ed inabitabile della penisola. E vuolsi notare, che questi misfatti sono generalmente circoscritti, o più frequenti, in quelle parti del territorio, nelle quali, o perchè remote dalle città, o perchè incolte e sterili, le mezzerie sono più rare: o dove, anche tra fiorenti borgate, è più numerosa la classe de' lavoratori ad opera giornaliera: classe che ricetta, qua e là, quanti scadono, per imprevidenza, vizii o sventure, dalla condizione di coloni e d'artigiani. Questa classe, che noi chiamiamo de' braccianti, è quella che, per la sua miseria ed ignoranza, costituisce fra noi, come in ogni altro paese, il maggior pericolo e la maggior vergogna della società: ma, per le ragioni dette, avviene che in Romagna appunto sia meno numerosa e meno desolata che altrove: e quanto meno difficilmente se ne potrebbero migliorare le condizioni morali e materiali col promuovere la educazione e la prosperità economica del paese, e invigilarne le cattive propensioni con una solerte polizia, tanto più è da condannare la insipienza di un metodo di governo, che non sa trovare rimedio alle violazioni dell'ordine sociale, se non violando dalla parte sua l'ordine legale della giustizia comune.»

«All'infuori de' misfatti qui sopra toccati i delitti di sangue che contristano la Romagna hanno radice, più che in generali tendenze di carattere antisociale, nella perversità delle cupidigie individuali, o nella esagerazione morbida e cupa dell'orgoglio dell' io, proprio della fiera natura di questi popoli, nel profondo risentimento che genera negli animi meno educati a temperanza civile tutto ciò che ha colore d'oltraggio personale, di prepotenza o d'ingiustizia, nell'abito infine della vendetta privata, alimentato e provocato costantemente, durante secoli di mal governo, dall'esempio de' maggiorenti e dalle angherie dei reggitori. In breve, l'assassinio proditorio, in Romagna, muove principalmente dal pervertimento del senso morale nel giudizio delle offese personali, dalla mancanza d'ogni fede o rispetto alla virtù riparatrice della legge, e dalla conse­guente tendenza a sostituire, in luogo di quella, i feroci argomenti dell'arbitrio privato.»

«Ora, ogni legge eccezionale produce naturalmente, davanti a tali disposizioni, effetti contrarii al fine che si propone, e in vece di spegnere i cattivi umori che infettano il corpo sociale, aggiunge nuova materia ai vecchi mali. Sì fatte leggi, mentre contradicono teoricamente ai principii razionali della scienza del diritto, perturbano profondamente in atto pratico la coscienza giuridica del paese. Sono tristi espedienti dei cattivi governi contro i disordini, che derivano dalla loro incapacità. E di tali provvedimenti può dirsi ciò che l'illustre giureconsulto toscano, Francesco Forti, ne diceva, con sentenza oggi più che mai memorabile, a proposito degli statuti ingiusti e faziosi de' comuni del medio-evo: «Non è raro nei governi popolari, ed in quelli che ne ereditarono le male abitudini, il dettare provvedimenti violenti allorchè un grave disordine fa emergere alcuni dei naturali effetti del cattivo governo delle cose pubbliche. L'esempio dei padri di famiglia abitualmente trascurati, o viziosi, che talora escono in collera contro i mali che avrebbero dovuto e potuto prevenire, nè serban modo nelle risoluzioni repentine colle quali intendono ripararvi, spiega pur troppo la violenza che i consigli repubblicani portarono nel dettare le leggi a seconda dei casi e sotto l'influenza delle passioni suscitate da qualche fattispecie, anzichè con piena maturità di consiglio». Ma, nelle condizioni presenti, il governo costituzionale-monarchico fa peggio di que' governi repubblicani da' quali discendono questi esempii: crea una legge stataria del genere delle vecchie, e la sottrae interamente nelle sue applicazioni alla giurisprudenza moderatrice dei tribunali ordinarii: costituisce l'autorità politica arbitra della fama e della libertà dei cittadini, facendone, nello stesso tempo, uno strumento possibile di atti di riazione estralegale fuori del campo dei delitti comuni, ovvero un'arma anche più odiosa in mano delle fazioni municipali che, sotto gli auspicii del governo, procacciano di sormontare - in breve, organizza il parteggiare. Nè ci si accusi di combattere fantasmi, che tale è la naturale tendenza di questa maniera di leggi, e, quando venga l'occasione, il vizio, che in esse si cela sotto altre apparenze, si manifesta subitamente chiaro ed aperto.»

«Pur troppo, questa maledizione de' modi straordinarii e violenti negli ordini della sicurezza pubblica a danno delle forme ordinarie della giustizia comune, è inveterato errore degl'Italiani, e fu prima sorgente, massime in Romagna, della ribellione dell'arbitrio privato contro la legge, della poca autorità dei magistrati, e della ripugnanza dei cittadini a prestar mano all'ufficio loro. Sì fatti mezzi, o mirino alla prevenzione de' delitti comuni, o debbano servire a fine politico, sono nell'un caso e nell'altro immorali ed iniqui. Ed oggi il parlamento italiano, dove pur siedono in maggioranza uomini che, sotto i caduti governi, sperimentarono tali ordinamenti di giustizia, e ne trassero le più serie ragioni a gridar loro la croce addosso e atterrarli, sta nondimeno discutendo una proposta di legge, la quale raccoglie, con caratteri meno sinistri pe' tempi mutati, ma con eguale offesa alle eterne inviolabilità del diritto, gli stolti esempii lasciati da quelli. Così, mentre la storia e la scienza s'accordano a condannare queste cattive tradizioni del passato, un cieco empirismo legislativo rientra ostinatamente nel giro vizioso, che fece smarrire la retta via ai nostri antichi e ai nostri oppressori, e che rinchiude il terribile segreto della secolare impotenza degl'Italiani a fondare l'ordine giuridico della libertà e della sicurezza sociale. D'onde poi tutte l'altre sventure della patria nostra».

... «No: non si riuscirà per tali vie a contenere i tristi, e a sanificare lo spirito pubblico de' nostri paesi. Occorre, per tale effetto, ristampare anzi tutto nella coscienza popolare la convinzione della imparzialità, della santità e della forza del regime giudiziario: occorre creare, nelle nostre cittadinanze, quel rispetto della giustizia, della legge e de' magistrati, che fu creato in altre nazioni dalla scrupolosa, tradizionale, costante osservanza delle guarentigie della libertà e della innocenza, e dalla partecipazione del popolo nell'esame delle prove e nel magistero de' giudizii, mediante la istituzione profondamente educativa dei giurati: occorre rialzare, nobilitare, e far che risplenda di tutta la sua luce purissima l'idea della giustizia tutrice de' diritti e de' doveri sociali, mercè la forte e intemerata virtù de' suoi regolari uffici. Insomma, trattandosi massimamente di mali morali prodotti da pessimi ordini di reggimento e di polizia, bisognano, a rifare giusti, virtuosi e civili i nostri paesi, esempii ed ordini virtuosi, giusti e civili: scienza e legislazione d'uomini serii non intemperanze di gente debole apprensiva e ignara del vero stato delle cose nelle popolazioni, che osa giudicare e reggere ad occhi ciechi ».

Queste cose io diceva, convinto, nel 1871: queste ripeto oggi con ferma persuasione di essere nel vero, essendo obbligo di buon cittadino il dire la verità e predicare la giustizia anche senza speranza nel presente, perchè, se i governi non sanno seguirle, il popolo, che ha in sè gli elementi e le forze dell'avvenire, si educhi a coltivarle per quando verranno tempi propizii a cose migliori. E noi, per la parte nostra, curammo come vi mostrerò, mio egregio amico, nelle seguenti lettere, di spargere i semi di questa educazione nelle società popolari, che deferivano ai nostri consigli. Per oggi, a non riuscire indiscreto con troppo lungo discorso, io fo punto e vi saluto di cuore.

Vostro

A. Saffi.

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