Lettera V.

Origine, programma e caratteri della Consociazione Romagnola .

Forli, 14 Decembre 1874.

Mio caro Mario,

In una lettera, che Giuseppe Mazzini diresse, il 4 Luglio 1864, alla Società operaia di Caltanissetta, si leggono parole ch'io ho sempre tenute a mente come degne di attenta considerazione.

«Lavoriamo concordi,» Egli diceva, «a raggiungere coll'armi, ciò che non possiamo raggiungere altrimenti, l'emancipazione di Venezia: coll'espressione di unanime volontà e coll'armi - s'altro non giova - l'emancipazione di Roma: coll'apostolato, coll'ordinamento, coll'agitazione perenne, il Patto che deve costituirci nazione d'eguali e liberi.»

Con queste sentenze, il Grande italiano distingueva, se io non m'inganno, il metodo d'azione necessario ad acquistare, contro ostacoli esterni e materiali, il proprio terreno alla patria, da quello richiesto ad affrancare, dopo tale acquisto, da pregiudizi domestici, e interni privilegii ed ostacoli, un popolo già virtualmente venuto in possesso di sè medesimo: azione principalmente armigera la prima, principalmente civile la seconda. E a quest'ultima appunto, - restituite, non certo come Egli e noi avremmo desiderato, ma pure restituite Venezia e Roma all'Italia - Egli rivolse tutte le facoltà dell'anima sua, promovendo, negli ultimi anni della sua vita, l'opera educatrice, di cui affidò imperitura memoria a' suoi scritti nella Roma del Popolo. Sentì, che alla grezza materia insieme raccolta da fortuita concordia di forze intrinsecamente discordi, era d'uopo infondere spirito di vita propria, e moto conforme agli ufficii assegnati alla patria nostra dal genio della sua storia e dalle leggi della civiltà progrediente: e, conscio dell'alto compito, che i ricordi del passato, e le vocazioni dell'età presente commettono alle classi operaie nel nostro paese, si adoperò, con intelletto di verità e d'amore, a preservarle da sofismi di straniere anarchie, e a destare in esse, a pro dell'Italia, virtù di doveri patrii e sociali, curando, nel loro ordinamento e nella loro alleanza col ceto medio, il seme della democrazia civile dell'avvenire.

Il XII Congresso Operaio, convocatosi in Roma nel Novembre del 1871, diede notevole indizio del sorgere di questa tendenza instauratrice della vita popolare in Italia; e giovi - non per voi che, attentissimo osservatore d'ogni cosa patria, non ne avete bisogno - ma per quelli che, meno informati o meno curanti de' progressi de' nostri operai, porranno gli occhi su queste pagine, il ricordare ciò che, nel Patto di Fratellanza, votato in quel Congresso dai rappresentanti di 130 Società artigiane, raccomandavasi (art. 7) alla Commissione Direttiva, deputata a curare da Roma gl'interessi delle Società affratellate . Doveva questa provvedere « all'attuazione di Consociazioni e Congressi regionali, procacciando adesioni al Patto; suggerire i mezzi più acconci a propagare il principio di associazione fra le classi agricole e fra le donne; diffondere libri atti alla educazione della classe operaia, raccomandare la istituzione di scuole per gli artigiani, di pubbliche letture, e biblioteche popolari circolanti. Doveva inoltre consacrarsi ad una inchiesta generale sulle condizioni e sui voti delle classi operaie, e alla statistica delle società mediante norme scientifiche; promuovere la rivendicazione dei diritti politici, la tutela dei diritti del lavoro, la moltiplicazione delle Società cooperative d'ogni specie, e di Banche popolari di credito, le esposizioni d'arti e mestieri, ed infine tutto quanto possa giovare allo svolgimento delle forze collettive degli operai italiani.» Desiderii, come vedete, altamente civili, raccomandati con mezzi pacifici nelle mani di probi e sperimentati patrioti, in pubblica riunione, sotto l'occhio vigile della questura di Roma, la quale non trovò motivo o pretesto qualsiasi d'interporre divieto ai procedimenti degli adunati. E la Consociazione romagnola surse poco stante, come la Ligure ed altre consimili, quale istituzione pubblica, intesa a secondare le proposte del Congresso di Roma. Nè, a raccoglierne gli elementi ed esporli agli occhi di tutti, ci fu d'uopo scendere ne' sotterranei di sètte ignote al lume del giorno, « pandere res alta terra et caligine mersas ». Chiamammo, con semplici e franche parole, le società, già pubblicamente costituite in più luoghi delle nostre province, a darsi la mano fra loro in opera di mutua assistenza e coltura, sollecitandole di prendere a guida de' loro miglioramenti e a schermo del loro buon senso contro selvagge utopie, i principii morali e sociali predicati da Mazzini, e sanciti, a documento della mente civile degli operai italiani, dal Patto di Roma. E in vero - come toccai in altra mia, e importa ripetere, perchè la storia delle cose nostre non sia falsata da pregiudizii di parte - misteri di nascoste leghe politiche non avevano, venute meno le cagioni, più ricetto fra noi: dacchè la carboneria, per quello ch'io n'ho udito dire dai più provetti, era già cosa vieta e dismessa in Romagna sin dagli anni che succedettero al 1831; la Giovine Italia toccò il suo risolvimento storico negl'illustri fatti del 49; e le fratellanze patriottiche, che, caduta Roma in quell'anno si propagarono in tutta Italia, con titolo di Partito Nazionale - divise, dopo il 53, in parte repubblicana e parte monarchica, indi riunite di nuovo, nel 59 e nel 60, dagli intenti comuni della indipendenza e della unità della patria - vennero colla rivoluzione all'aperto. Accenno cose, di cui voi foste parte operosa, e quindi famigliari alla vostra memoria, ma è bene chiarirle riguardo a noi romagnoli. E qui come altrove - quando ai moti concordi delle patrie imprese successero i contrasti delle opposte idee intorno all'ordinamento dello Stato, gli spregii e l'obblio retribuiti in premio ai sacrificii compiuti a pro della patria, e i vizii di un reggimento, che dimezza col privilegio la vita della nazione - la parte diseredata proseguì, senza celarsi, le sue tendenze nell'arringo della vita pubblica. E molti giovani patrioti di ogni condizione sociale, e la nuova generazione de' nostri artigiani, affratellati ne' campi delle nazionali battaglie, trasferirono gli aperti legami della volontaria milizia ne' sodalizii popolari, seguendo con pari affetto, come lor guide, i due più grandi ispiratori dell'anime loro - Garibaldi e Mazzini. Non vi era segreto nelle loro file, se non forse nei nomi, dacchè il governo movea guerra ai nomi, nè cospiravano, se non ad affrettare con magnanimi sforzi il compimento delle sorti italiane, e a sospingere il governo stesso verso la meta. Ma, dall'occupazione di Roma in poi, cessata la necessità di coperti accordi ad imprese di patria, la gioventù più valorosa e colta di Romagna volse l'animo, consigliante Mazzini, ad opera di pacifica propaganda d'idee - nè v'ha processo che in ciò possa smentirci - e di educazione popolare, cercando, quanto era da lei, d'ingentilire alle dottrine, di cui Mazzini s'era fatto interprete efficacissimo agli operai italiani ne' suoi Doveri dell'Uomo, e alla coscienza de' principii inviolabili dell'ordine sociale, la miglior parte de' nostri popolani. E un nuovo pericolo rendeva più urgente l'ordinare insieme, nella fede di que' principii, le sparse associazioni artigiane e cittadine a sicurtà del paese; dacchè, dopo i casi di Francia, le influenze internazionali, favorite da generose simpatie pe' migliori fra i caduti in Parigi, si erano fatta strada in alcune delle città romagnole, e Ravenna in particolare n'era minacciata di funesti dissidii. Oltrechè, pei misfatti che qua e là contristavano le nostre terre, porgendo argomento ai nemici di parte repubblicana di atroci calunnie e alla polizia di avventate persecuzioni, era dovere di franca cittadinanza e necessaria tutela alla fama degli onesti, affermare solennemente i principii del partito, e affidare i suoi portamenti e il suo carattere alla salvaguardia della pubblicità e al sindacato dell'intero paese. Mi è grato ricordare, a meritata testimonianza d'onore, che di questi generosi intendimenti furono primi a conferir meco, al cadere dell'anno 1871, Carlo Missiroli, Ugo Leonardi e Antonio Emiliani di Ravenna, Leopoldo Maluccelli, Vincenzo Cattoli, e Pietro Liverani di Faenza - quest'ultimo ammonito di poi, comechè uomo d'integerrima vita, perchè, essendo in contatto per l'arte sua di fornaio con società di popolani e operosissimo a frenarne le cattive passioni, gli si fece colpa, come a capo-popolo, d'un'autorità, ch'egli usava ad onesto fine: e noto il fatto, perchè a questa stregua furono, nelle nostre città, prodigate sovente le ammonizioni. E nel disegno di questi concorsero volonterosi da ogni parte di Romagna que' patrioti, i cui nomi stanno registrati negli atti della Consociazione, non ultimi Eugenio Valzania e Pietro Turchi di Cesena; noto, il primo, come prode ufficiale garibaldino a tutta Italia; di colto ingegno e d'indole mitissima il secondo, lodati sovente per virtù civiche e pubblici servigli dai loro concittadini, e nondimeno fatti segno, più ch'altri, a odiosissime imputazioni.

Il programma della Consociazione delle nostre società popolari, informavasi, come sapete, alle dottrine pubblicamente inculcate, a que' giorni, da G. Mazzini nella Roma del Popolo, ad argomento, quanto all'Ideale politico, di futuri svolgimenti storici nella vita e nella costituzione del popolo italiano, a scorta, quanto alla questione morale ed economica, di azione educatrice e pratica nell'indirizzo e negl'istituti presenti della classe operaia, e della democrazia italiana in generale. Nel che massimamente a noi premeva, per le ragioni dette, di definire il carattere della parte nostra, distinguendoci da tendenze al tutto dissonanti dai nostri principii. E il Comizio popolare del 25 Febbraio 1872 in Ravenna, nel quale fu inaugurata la fratellanza regionale delle Società romagnole, pose il suggello a tale definizione. «Noi siamo qui convenuti,» io diceva in quel giorno a' miei compatrioti, «come interpreti, non delle passioni di una fazione o dell'egoismo di una consorteria, ma dei principii di un partito, che ha la sua ragion d'essere in uno de' più nobili aspetti della tradizione italiana ... Come ciascuno di noi, per operare, per costituirsi in una relazione attiva co' suoi simili, ha d'uopo di conoscer bene sè stesso e di farsi conoscere, di sapere ciò che vuole e ciò che può; con più forte ragione, un partito politico, una scuola sociale, hanno il bisogno e il dovere di definire nettamente le loro idee, di annunciarle a viso aperto alla società nella quale vivono, di distinguere, nella lotta delle opinioni che agitano il mondo sociale, ciò che è lor proprio da ciò che non è, ciò che accettano e ciò che respingono ... Noi adempiamo oggi adunque, nella vostra presenza, nella presenza del paese, a questo dovere ... onde amici ed avversari sappiano, senza equivoci, su qual terreno, entro quai termini possiamo intenderci, dove finisca la possibilità della cooperazione, dove cominci la necessità, l'obbligo del contrasto… Noi rivendicheremo, come uomini liberi, le nostre convinzioni, combatteremo, con armi razionali, per ciò che crediam vero e giusto, ma non raccoglieremo dal fango in cui giacciono diatribe disoneste e incivili… Noi possiamo alzare la fronte, perchè non v'è ruga di vergogna, e le nostre mani sono pure d'ogni macchia di sangue, pure d'ogni belletta, e tali, in fede nostra, le serberemo ... Noi non mescolammo mai nè mescoleremo il fiele delle private passioni, il livore delle differenze personali e settarie, nelle cose che hanno per obbietto la patria, il popolo, l'umanità. E rispetto a quelli fra i nostri avversari cui piaccia di fare il contrario, ripeteremo col sommo poeta, delle cui sante ossa Ravenna è pia custode:

« Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.»

«Bene, a quanti hanno virtù d'animo buono e generoso, e sincero intendimento d'umanità ne' loro propositi, noi daremo di gran cuore la mano ad opera di mutua temperanza, da che il dissidio delle opinioni e de' giudizii può e deve conciliarsi colla urbanità e colla decenza del convivere civile. Questa è la sola conciliazione possibile, buona, feconda. La conciliazione fra i contrarii ideali, politici, sociali, sarebbe equivoco, o transazione immorale. Importa per l'opposto al trionfo della verità, cernere, mettere recisamente a confronto, discutere i fatti e le idee. La ragione e la coscienza pubblica, maturi i tempi, si approprieranno ciò che s'accorda colle loro esigenze, colle condizioni prime e indispensabili d'ogni società di uomini, coi fondamenti stessi dell'umana natura. Ciò che da questi discorda e minaccia violarli, cadrà ... Noi portiamo oggi adunque la modesta parte del nostro lavoro a questo gran compito di tutte le opinioni e di tutti i partiti».

E a commento di queste mie parole, un giovane, del cui affetto io m'onoro, e in cui, per virtù di mente e di cuore e serietà di studii, è riposta una nobile speranza dell'Italia, se tempi meno inclementi consentiranno in Italia sicurtà di pensiero e di fama ai generosi - Antonio Fratti da Forlì - delineava la storia e i caratteri dell'Internazionale, ponendoli a contrasto colle tradizioni dell'incivilimento popolare italiano, e rivendicando, con altri oratori, alla coscienza del vero le leggi inviolabili dell'umana società, fra il plauso degli assembrati: - fiore di quell'animosa gioventù nostra, che ad ogni chiamata della patria era accorsa a combattere le sue battaglie. Io non so s'io presuma troppo dell'opera da noi tentata, ma certo essa tendeva, ne' suoi generali caratteri, a costituire l'azione civile della parte nostra nella vita comune del paese. In ogni contrada, dove le pubbliche libertà siano patrimonio intangibile dell'universale, le idee e gli atti nostri, contemperandosi, nella libera concorrenza delle diverse opinioni, alla ragione e alle circostanze del tempo, si sarebbero svolti ordinatamente nella misura da queste prescritta ai conati dell'umano progresso. Nell'Italia d'oggi, furono ludibrio di stupide inquisizioni e di goffi arbitrii, ne' quali mal si saprebbe dire se abbia maggior vanto l'ignoranza o la tristizia di chi li commise. Se non che, le riazioni incivili non valsero mai a spegnere le idee, nè ad impedire il corso degli umani destini! detto proverbiale, ma dimenticato sovente dalla senile sapienza di certi conservatori. Del che nè io nè voi ci contristeremo, memori di quell'altro proverbio «Quos vult perdere, Deus dementat» perchè della loro demenza si avvantaggeranno la patria e la civiltà.

Vostro

A. Saffi

Lettera. VI.

Ordinamento ed atti della Consociazione.

Forlì, 26 Decembre 1874.

Mio caro Mario,

L'arcano è svelato finalmente in ogni sua parte. A quest'ora, da un capo all'altro del paese, la sentenza della sezione d'accusa ha chiarito al buon popolo d'Italia, che l'ostentato simulacro di un processo protratto per poco meno di cinque mesi a danno d'incolpevoli cittadini, altro non conteneva che la trista imbecillità di una falsa accusa. Noi, conscii che la nostra co spirazione stava tutta intera negli atti pubblici della nostra vita politica, sapevamo sin dagli esordi che la mal opera sarebbe riuscita a tal fine, e ne ammonimmo i nostri imprigionatori, ne leggemmo il presentimento nel volto de' giudici deputati ad interrogarci. La tarda giustizia oggi resa a tutti gl'imputati condanna all'ignominia un arbitrio, il quale - non giustificato da alcun indizio di nascoste trame - aveva contro di sè tutte le presunzioni, che un'Autorità illuminata e imparziale avrebbe desunte dai principii, dal carattere, e dall'azione palese degli uomini e del partito, ne' quali furono dai nostri governanti violate tutte le guarentigie del viver libero e della comune giustizia. Ma che sanno i nostri governanti di ciò che si pensi e si faccia fra noi?

I principii, il carattere, l'azione palese degli imputati, apparivano, tanto dagli atti risguardanti l'intero partito, quanto da quelli, che più particolarmente concernevano la consociazione romagnola, immaginato focolare della terribile congiura. La Consociazione non velava alcun mistero. Rappresentavanla, conforme allo statuto pubblicamente deliberato dai delegati delle società affratellate, varii Comitati distribuiti per Circondarii nelle quattro province di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì. Ogni Comitato era composto di tre cittadini, eletti annualmente dai soci del Circondario. I Comitati insieme riuniti sceglievano d'anno in anno sette dei loro a dirigere il lavoro comune. Un giornale - L'Alleanza - pubblicava in Bologna i nostri atti, e propugnava i nostri principii, sostenendo, con vivacità battagliera talvolta, onesta sempre, un'ardua lotta contro gli arbitrii del governo da un lato, contro i sofismi e gli oltraggi degl'internazionali dall'altro. Era compito dei Comitati e della Direzione centrale secondare i voti del XII Congresso operaio di Roma da me toccati altrove: e i nostri artigiani, di mano in mano ch'era lor dato costituirsi in società di mutuo soccorso, di cooperazione, o d'insegnamento popolare, s'iniziavano alla intelligenza e alla pratica de' loro interessi, al senso de' loro doveri, al costume delle ordinate discussioni e della razionale manifestazione dei loro bisogni. In pari tempo - avendo i ricordi, gli affetti e gl'interessi d'ogni condizione di uomini, nelle città nostre, un intimo legame colla istituzione nativa del Municipio, - i rappresentanti della Consociazione si studiavano, secondo i luoghi, di richiamare le classi operaie alla coscienza de' loro uffici nel Comune, in armonia colle altre classi della Società, stimolando i partecipi del voto ad esercitare il loro diritto, gli esclusi a prepararvisi, tutti a curare e invigilare gli andamenti delle pubbliche amministrazioni. Perchè non ultimo intento nostro era di apparecchiare, nella cerchia delle associazioni artigiane e delle municipali comunanze, cittadini capaci di maggiori doveri e diritti nell'ambito della vita nazionale. Onde i Comitati della Consociazione, come gli autori del Patto di Roma, non bandivano la politica dall'arringo della educazione popolare, anzi ne facevano argomento di nobile indirizzo a pubbliche virtù per quelli, che il privilegio oggi esclude dalla comunanza e dal culto di quella patria, nella quale dovremmo essere tutti compagni; stimando che sì fatta esclusione, la quale rende la terra natale per così dire matrigna ai diseredati, sia una delle principali cagioni per cui le moltitudini, sciolte da ogni vincolo di sentimenti e d'uffici nazionali e destituite di ogni mezzo legittimo di dar valore alla voce dei loro bisogni, aprono più facilmente l'animo agl'influssi di un vano cosmopolitismo, e ad utopie nemiche d'ogni carità di buona convivenza sociale. Noi procacciavamo pertanto levar l'animo de' popolani « alle grandi questioni di educazione, di libertà, di prosperità, d' o nore e di moralità nazionale » che costituiscono la vera, la grande politica: quella politica alla quale nessun cittadino o consorzio di cittadini può rinunziare se non rinegando il proprio dovere e il proprio paese. Nè, ad inoltrare verso la meta della maggiorìa politica della nazione, e de' progressi sociali degli operai, noi facevamo assegnamento sui mezzi improvvisi e violenti, o sull'azione particolare della parte nostra, trattandosi di causa, il cui trionfo saldo e durevole dipende dall'opinione, dalla volontà e dal concorso dell'intero paese. La Democrazia italiana, sprovveduta per nostro avviso d'ogni speranza di riuscita e non secondata dall'opinione, dov'essa intenda a lotta materiale e a subiti mutamenti, ha per sè la invitta forza delle idee, le tendenze della civiltà nazionale, gl'interessi, i bisogni e i voti dei tempi, sul cammino de' progressi normali e spontanei della vita civile. E su questo cammino essa potrà, ordinando le sue facoltà a serio e costante lavoro, avanzare in bene colle proprie le sorti della patria comune, e tradurre con maturo effetto dall'idea presente alla realità avvenire la forma vera di quella non servile e non umile Italia, alla quale aspirarono e aspirano i più nobili spiriti della nostra stirpe.

Questi concetti, che preoccupavano da tempo l'animo mio, si venivano disegnando sempre più chiaramente, dinanzi al sincero esame delle condizioni del paese, nella mia e nella mente di molti amici miei: onde, sin dall'autunno del 1873, in un manifesto diretto alle Consociazioni delle Società popolari d'Italia da me e da miei maggiori per virtù e sacrifici offerti alla patria, Maurizio Quadrio e Federico Campanella, noi rivolgemmo alla parte nostra queste parole: «L'Italia, conchiuso o quasi il periodo del suo riscatto dalle dominazioni straniere, entra oggi in quello dell'interno rinnovamento della sua vita. Al compito dell'indipendenza sottentra il compito della libertà; alla milizia de' campi di battaglia, la milizia delle popolari associazioni, chiedenti diritto di cittadinanza e istituti ad esso corrispondenti nel seno della patria comune. L'Italia ha d'uopo, per essere, per durare, di perseverante operosità di popolo conscio de' suoi doveri e ordinato a potenti manifestazioni di volontà collettiva… È legge dell'età nostra creare, intellettualmente e moralmente, all'Italia il suo popolo… Noi non vi predicheremo la lotta per la lotta ... noi non vogliamo ingannarvi con fatui entusiasmi di parole, quando l'esperienza della situazione ci avvisa, che alle parole non potrebbero rispondere fatti degni di Voi e della patria nostra. Le grandi crisi, nelle quali una nazione si leva a dar sentenza finale d'istituzioni corrotte e discordi da' suoi bisogni non sono nell'arbitrio de'pochi, nè può uomo o partito fissarne l'ora. Ma tutti possiamo, propagando la verità e temperando animi e forze a combattere il male, aiutare d'assidui incrementi ed affrettare l'opera trasformatrice, da cui sorgono rinnovate e potenti le nazioni, che hanno favilla di avvenire nell'anima.

... «Voi tutti, operai dell'intelletto ed operai della materia, affratellati a promovere quell'armonia fra la scienza e il lavoro, fra la teorìa e la pratica, che è guida al progresso dell'umanità, iscriveste nelle insegne delle vostre Società il motto col quale G. Mazzini definiva l'unità della vita, e l'obbligo morale che lega fra loro il sapere e il fare, il pensiero e l' azione. Fate vostra l'alta sentenza ne' suoi vasti e perenni intendimenti: non materializzatela in una sola forma - e la più accidentale e transitoria - d'azione. L'azione che G. Mazzini vi predicò, abbraccia tutte le relazioni della vita, tutti gli aspetti e i modi, ne' quali possono tradursi in atto i principii, tutte le forme di lavoro e di sacrificio, colle quali ciascuno di noi può contribuire al miglioramento delle sorti comuni ... E la solerte coltura del bene nelle quotidiane funzioni della vita sociale, l'operosità seria e costante, il cercar di conoscere per fare, il predicare la verità ed attuarla di grado in grado in tutte le vie del progresso, lasciando nell'opera dell'oggi l'addentellato all'opera del domani: questo è ciò che avanza le nobili cause, accelera le grandi emancipazioni, e distingue i popoli, che camminano laboriosamente nelle vie della realtà e della vita, da quelli che vaneggiano nel sonnambulismo della decadenza.»

E a questi o somiglianti giudizii e consigli si erano venute informando tutte le nostre corrispondenze, sì pubbliche che private, colle Società della nostra e di altre regioni d'Italia, e con particolari cittadini. Potrei citare in proposito fatti e documenti, prodotti ne' Diarii di questi ultimi anni, in tal copia da comporne un volume, dall'indirizzo votato, in un'adunanza generale de' Comitati della Consociazione, in Rimini, il 21 luglio 1872, alle Consociazioni della Sicilia, dell'Emilia, delle Marche, della Liguria ecc., sino all'ultimo Manifesto della Direzione Centrale della Consociazione Romagnola (giugno 1874) in occasione de' tumulti annonarii. E fra le mie corrispondenze, una lettera da me scritta in privato, il 19 novembre 1872, ad Alfonso Giarrizzo a Messina, da lui pubblicata nella Trasformazione, e riprodotta dall' Unità Italiana e Dovere. , ed altre parecchie a Nicolò Montenegro e ad altri egregi italiani, e ai Circoli e alle Società operaie di Genova, di Brescia, di Savona, e con maggiore frequenza ai sodalizii politici ed operai di Romagna, ogni qual volta a me si volgevano per consiglio e conforto all'opera loro.

A Rimini - città fra l'altre di Romagna ottimamente composta d'industri abitudini e urbana domestichezza fra i suoi cittadini - la Commissione direttrice della Fratellanza di que ' sodalizii popolari prescriveva a norma dell'ammessione de' soci la loro moralità privata e pubblica, e a regola della loro condotta l'osservanza d'ogni giusta libertà, il rispetto delle oneste convinzioni anche negli avversarii e negli estranei, il rifiuto d'ogni solidarietà coi disonesti e cattivi d'ogni colore. E perchè i fatti corrispondessero ai propositi, dava mano a nutrire fra gli operai le buone e temperate costumanze, fondava una fiorente biblioteca popolare, promoveva, d'accordo con benemeriti cittadini di parte moderata, istituti utili alla istruzione e al lavoro. Ed erano della Commissione direttiva, insieme ad altri, Camillo Ugolini, Domenico Francolini, Antonio Grassi, Domenico Bilancioni, Innocenzo Martinini, catturati poi meco a Villa Ruffi, come cospiratori e petrolieri. E a Bologna, altri complici nostri, Venturini, Fortis, Rossi - imputati, nella ignobile commedia del recente processo, di reità i due ultimi, lasciato libero il primo e a parte della difesa - mentre combattevano, colla parola e cogli scritti, gli errori dell'Internazionale, davano opera, coi migliori Bolognesi, a preservare da quegli errori gli operai di quella illustre città, volgendoli a bene ordinati miglioramenti in società cooperative, e collaborando alle conferenze della lega per l'istruzione popolare: benemerito istituto ivi fondato da culti e riputati cittadini ad incremento di civiltà nella loro provincia. E l'esempio di Bologna - antica maestra di civili avanzamenti alla nostra regione - era con nobile gara seguito da Ravenna, da Forlì e da parecchie fra le minori terre di Romagna; dove, come a Medicina, a Massa Lombarda, alle Alfonsine, sorgevano spontanee società di mutuo soccorso e d'istruzione, e biblioteche popolari, e una santa volontà ne' giovani popolani e borghesi di apprendere e liberarsi dalla servitù dell'ignoranza e dell'ozio. Ricordo fra molti esempii, quest'uno d'alcuni giovani delle Alfonsine venuti, l'anno scorso, a consultarsi meco sull'opera educatrice da essi intrapresa, e sul modo di regolarsi nella loro Società verso credenti e non credenti in fatto di religione. «Noi vogliamo istruirci» essi mi dicevano «vogliamo farci migliori per migliorare con noi i nostri fratelli.» Dal che io presi argomento a dire e scriver loro parole volte a confermarli nel loro proposito e nel rispetto di tutte oneste credenze. I decreti dei regii Prefetti, ignorando uomini e cose, trattarono naturalmente quelli e gli altri sodalizii di parte nostra come nidi di sedizione o peggio, e li sciolsero. E sciolsero, fra l'altre, una delle due Società operaie di Forlì , nata sino dal 1862, riordinata, nel 1873, con ottimi istituti di amministrazione, ed ufficii educativi, e irreprensibile condotta degli onesti artigiani, che la componevano in numero di ben cinquecento, intesa a relazioni di buona cittadinanza colla Società sorella, e benemerita, insieme con questa, quantunque men provveduta di mezzi, per generose offerte largite sui suoi risparmi a sollievo dei poveri, durante il caro dei cereali nella scorsa estate. E fu sua colpa, io presumo, l'avere a Preside onorario Giuseppe Garibaldi, me a Presidente effettivo, i Doveri dell'Uomo di G. Mazzini per testo di precetti morali, e il vivere di vita indipendente, con proprii sforzi, a differenza dell'altra, patrocinata da governo e signori. E per poco non fu sciolta cavallerescamente, per somiglianti peccati, la Società femminile di mutua assistenza e lavoro, istituzione benefica, condotta con amore e frutto singolarissimi, da donne gentili e devote al bene, a provvedere lavoro, e soccorso nelle infermità, alle socie artigiane, coll'obolo santamente prelevato sulla loro mercede, e coi profitti della industria sociale.

Di simili avviamenti delle nostre Società popolari potrei addurvi altri esempii lodevoli in più città di Romagna, se i limiti della presente me lo permettessero, e quello che ho detto non bastasse a rappresentarvi lo spirito, che s'andava svegliando in questa generosa e infelice contrada d'Italia, alla quale non manca che un buon governo per risorgere a stato migliore. Una nobile gara di civili operosità, di esperimenti varii d'associazione, e di mutui ufficii ed aiuti, s'era desta ne' più istrutti e virtuosi fra i nostri operai. Poteva dirsi de' nostri sodalizi ciò che fu detto delle Società delle arti e delle giovani borghesie ne' risurti Comuni del medio evo: « Incaluere animi. » La terra, non isterilita al tutto dalle vecchie tirannidi, cominciava a gittare i germi del nuovo incivilimento nazionale, qui come in altre parti del nostro paese. Ma i ministri e i prefetti del Regno d'Italia videro, in ciò ch'era opera di virtù patria e moto di forze civili, una fattucchiera di cospiratori e un pericolo per lo Stato, e calpestarono leggi, diritti e costumi, emulando, con inconscia perversità, il piede de' barbari del passato.

In verità, cospiratori eravamo e siamo, ma non quali ci denunziavano gli odierni arbitri dell'afflitta Italia. Cospiravamo ad inalzare gli animi de' nostri concittadini al senso della loro dignità, come uomini liberi di una nazione chiamata a belle e nobili cose nel mondo: cospiravamo a istituire i nostri popolani alla parte che loro spetta nel civile consorzio: cospiravamo a renderli capaci di giudicare ciò che merita giudizio e condanna nel reggimento del nostro paese. E a questo giudizio verrà cospirando con noi quanto resta o si ralligna in Italia all'intelletto e all'amore della giustizia e della libertà, se io e voi, con quanti sentono e sperano, non ci inganniamo sui progressi delle cose umane.

Vostro

A. Saffi.

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