L’orchestra di Polizzi

A Polizzi Generosa, la patria di Giuseppe D’Alesi, del cardinale Rampolla e di ...Enrichetto Loncao , c’era una volta un’orchestra, rimasta celebre nei luoghi circonvicini per una lepida storiella che si raccontava sul suo conto.

Essa era tutta composta di nobili (a Polizzi sono più i baroni e i cavalieri che i funghi basilischi) e, tranne rare eccezioni, non sonava se non in chiesa per le feste religiose. Ad ogni sonata i professori (sic) componenti l’orchestra, prima battevano fragorosamente le mani e poi si congratulavano, s’incensavano, si esaltavano a vicenda.

— Bravo, bravone, su' compare! Sembravate Paganini!

— Bontà vostra, compare bello. Ma che debbo dire di voi? Avete vinto, ecclissato Paganini e Tartini.

— Signor barone, avete mosso al pianto anche il Crocifisso e la Madonna! Perfino gli angeli e i santi vi hanno applaudito.

— E voi, cavaliere mio, maestro e donno di tutti i Rossini, i Bellini e i Pacini presenti passati e futuri, non avete fatto delirare anche Gesù sacramentato?

— Che grandezza, che sublimità, che trionfo, o conte divino! Il Signore vi chiamerà a suonare la tromba nel giorno del giudizio.

— Che miracolo, o baronetto altissimo del Pizzo dei Cervi! Orfeo colla sua lira domò le fiere e trascinò i macigni, voi, col vostro corno e colla vostra cornetta farete piovere maccheroni dal cielo sulle salsicce, che, invece dell’erba, spunteranno a fasci dalla terra. Ecc. ecc. ecc.

Sennonché un bel giorno i nobili orchestranti furono svegliati da una musica di nuovo genere.

Al calpestio dei siculi cavalli
Da l’avel si destò dunque Ducezio?

Erano i contadini, che, ridestatisi da un lungo torpore, correvano ad impossessarsi dei latifondi. Fin' allora a Polizzi s’era quasi perduto il ricordo di qualche passata jacquerie, e nessuno più si rammentava della cavalcata di Giuseppe D’Alesi, finito poi miseramente tra i fumi della dittatura proletaria. Tutt’al più non si era udita che la voce goffa di qualche "popolare" barone di Carpinello o d’un qualsiasi funambolesco baronetto Signorino. Neanche il socialismo annacquato e camaleontico di Enrichetto Loncao era riuscito a far proseliti.

Quando ad un tratto, per opera di pochi e valorosi lavoratori autentici, i contadini polizzani si misero ad intonare canti ribelli, seguendo l’esempio di tutti gli altri contadini della Sicilia nella conquista della terra. Figuratevi perciò che scompiglio, che sbigottimento, che terrore nella vecchia orchestra borghese di Polizzi, usa ad accompagnare messe cantate, novene di Natale e sponsalizii di baroni e di cavalieri! Riavutisi però alquanto dal primo sbigottimento, i sudiciumi borghesi della rapina e dell’abigeato cercarono correre ai ripari. A tale effetto qualche gabelloto diede ad intendere alla pubblica schifezza che i contadini volevano attentare alla vita di lor signori, rapinare ogni cosa, saccheggiare il grano ammucchiato nelle case del feudo Xureni e già requisito dal governo, ecc. ecc.

Il panduro croato Menzinger, regio prefetto di Palermo, che non ha mai nascosto la sua avversione all’occupazione dei latifondi, da lui definita arbitraria e violenta, colse la bell’occasione per mandare in aiuto dei gabelloti uno squadrone di regi scherani sotto gli ordini del commissario di pubblica schifezza Petralia, un abietto e microcefalo rodomonte in sessantaquattresimo. Costui, appena giunto, minacciò il finimondo ai contadini: i quali, non addestrati alla lotta come i loro compagni d’altri luoghi e traditi dai mestatori deformati e borghesi per giunta, che s’erano scelti a condottieri, finirono coll’abbandonare le terre occupate, caso unico di tal genere successo finora in Sicilia.

Per fortuna i contadini avvistisi, benché tardi, dell’errore, si sono rivolti a ben altri condottieri, i quali presto o tardi li guideranno alla riscossa.

Noi intanto rivolgiamo alcune domande al panduro croato Menzinger:

"Voi avete prestato così facile orecchio alla denunzia del gabelloto, che venne ad accusare i contadini di saccheggio, di rapina ecc.; e se costui fosse venuto a dirvi che io voglio saccheggiare e rapinare, puta caso, il vostro culo o magari vostra moglie, voi per questo solo fatto della denunzia gli avreste dato retta? Avreste per ciò mandato una compagnia di regi paltonieri ad arrestarmi? Avreste posto lo stato d’assedio attorno al vostro culo e a vostra moglie senza prima accertarvi se veramente c’è al mondo un porcone che dia la caccia a pattume sì sudicio?

I contadini non vanno, no, per saccheggiare, rapinare o devastare, e molto meno poi quelli di Polizzi. Essi sono lagens nova, che irrompe alla conquista della madre terra, cantando l’inno orfico, che dovette correre sulle bocche dei callicirii di Ducezio e dei servi di Satiro.

Terra, tu madre di tutto che
spandi ricchezza, Demeter!

I veri saccheggiatori, gli abigeatarii, i rapinatori, gli assassini, i delinquenti d’ogni specie bisogna cercarli fra i vostri gabelloti, e voi non lo ignorate, signor panduro croato della prefettura di Palermo.

Voi sapete benissimo che i latifondi in mano ai gabelloti sono stati sempre covi di lupi, nidi d’avvoltoi, tane di sciacalli; che hanno disonorato per secoli la Sicilia, ponendola a capo della delinquenza europea. E intanto di deliberato proposito conservate, alimentate, proteggete ancora quei turpi e micidiali focolari d’infezione, anche contro lo spirito e la parola delle vostre leggi e dei vostri decreti.

Questi parlano di terre incolte o mal coltivate. Ebbene, ditemi un po’ pezzo di somarone: vi sono al mondo terre peggio coltivate dei nostri latifondi? Gli agronomi addottorati che vi circondano, con alla testa quel maiale idiota di Salvatore Accardi, non vi hanno ancora fatto sapere che se la media produzione annua d’un latifondo è, per esempio, di mille quintali, passata quella terra ai contadini direttamente ne produce per lo meno cinquemila,con una media uguale, se non superiore, alla media produzione dell’alta Italia?

Ciò smentisce le viete e stereotipate affermazioni dei vostri agronomi salariati e dei sociologi della forca come Napoleone Iannicola, che addebitano interamente i nostri cattivi raccolti al clima, alla deficienza d’acqua ecc. ecc.

Anche quest’anno con una siccità eccezionale e nei territorii più disgraziati per la composizione del suolo e per lo scirocco che vi imperversa, le terre poste a coltivazione veramente intensiva hanno reso venti sementi per le fave e non meno di dodici o quattordici pel frumento, pur difettando i concimi chimici e mancando in modo assoluto ogni specie di moderni utensili agricoli, a cominciare dall’aratro, che è ancora quello del patriarca Adamo: l’aratro a chiodo. Se non lo credete, venite un po' qui, ché ve lo farò vedere con gli occhi e toccare con le mani. E non vi parlo dei terreni meglio dotati, che, coltivati direttamente e intensivamente dal contadino, supererebbero nella produzione l’Inghilterra e il Belgio.

Perché dunque ci state a rompere i coglioni coll’eterna geremiade: Producete! Producete! Producete, altrimenti falliremo, moriremo di fame cc. ecc.? Che cosa volete produrre col laccio della forca e colla mitraglia della guardia regia, forse malva per ornare le vostre corna ed erba trastulla per ingannare i gonzi?

Ah no, signor panduro croato! Sappiate bene che l’orchestra dei nobili di Polizzi ha finito di sonare una volta e per sempre, ed ora incomincia un po’ la musica della falce villana e del piccone ribelle. Mandate pure quante guardie di pubblica schifezza volete a presidiare i covi dei mafiosi, degli abigeatarii, dei rapinatori, degli assassini di Lorenzo Panepinto e di Cola Alongi, dei trucidatori di Caltavuturo, di Giarratana, di Grammichele, di Castelluzzo, di Riesi: la vostra fine è già segnata, e nulla varrà più a fermare la valanga che vi subisserà. La sinfonia della pasqua rossa villana è già cominciata: quanto prima si alzerà il sipario e principierà l’opera, nonostante il tradimento dei "pompieri" e la viltà dei mestatori.

Il bandito delle Madonie

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