Espropriazione o saccheggio?

Alcuni proletari incoscienti e certe folle amorfe, dopo gli ultimi avvenimenti, quasi quasi credono che la rivoluzione sociale consista nel saccheggiare magazzini, nello svaligiare negozii, nel depredare case. Intanto è bene mettere le cose a posto fin da ora per evitare conseguenze funeste e terribili disinganni appresso specialmente in quei luoghi dove mancano o difettano le minoranze proletarie coscienti, i propagandisti dell'idea e i condottieri sociali.

I recenti saccheggi sono stati innanzi tutto una magnifica lezione per la borghesia assassina e affamatrice, per i pescicani divoratori, per gli esosi avvoltoi. Ma, prescindendo da ciò, essi possono dirsi manifestazioni naturali, irrefrenabili del parossismo popolare.

Un organismo colpito da malattia mortale ha i suoi delirii, i suoi spasimi, le sue febbri, tranne il caso non comune di morte improvvisa. Ora quello che avviene negli individui, avviene anche nelle società; un organismo politico o sociale qualsiasi quando si ammala gravemente, va in preda agli stessi delirii, agli stessi spasimi, alle stesse febbri, che tanto più si prolungano e si inacerbiscono quanto maggiore è la resistenza al male del corpo ammalato. Se la resistenza al male invece è minima, se la forza del morbo è irresistibile e fulminea, o se il colpo vibrato arriva da una mano potentissima, allora avrete la morte istantanea per apoplessia, per paralisi cardiaca, per colpo violento, il qual caso, come nella morte degli individui, è molto più raro dell’altro.

La rivoluzione dunque non è altro che un fenomeno morboso ineluttabile, cioè l’agonia e la morte di una società; e chi pretende che essa debba svolgersi cerimoniosamente, placidamente e regolarmente come una festa di ballo, o come un lauto banchetto familiare, o come una sonnifera partita a scacchi, non può essere che un gaudente, un impostore o un imbecille. Nella rivoluzione quindi per necessità di cose debbono esserci le contorsioni spasmodiche, i vaneggiamenti, le convulsioni, i delirii, le febbri di ogni specie, che in linguaggio povero si chiamano saccheggi, rapine, vendette, stragi ecc, ecc.

Ma questi non sono e non possono essere il fine della rivoluzione, che come la morte dell’individuo, tende a dar vita a nuovi organismi colla materia del corpo caduto. Non sono e non possono essere neanche un mezzo; perché il vero mezzo è la rivoluzione sociale, che deve tendere ad espropriare tutti i beni mobili ed immobili posseduti dai dominatori, dai privilegiati, dai gaudenti di oggi, permetterli in comune in una nuova società sorta dalla putrida carcassa borghese. Il saccheggio a scopo di rapina individuale perciò non ha nulla a vedere coll' espropriazione anarchica o socialista, la quale è condizione assoluta della buona riuscita della rivoluzione sociale. Lo svaligiamento sistematico, cieco, egoista, imprevidente può produrre anzi gli effetti deleterii dello sperpero, dell’accaparramento per mano di pochi predatori, della carestia, della fame, specialmente se avviene durante la rivoluzione.

È risaputo, per altro, che le predonerie degli avventurieri e i saccheggi degli incoscienti non hanno mai condotto ad alcuna rivoluzione, ma che invece molte ne han fatto fallire o ritardare. È anche risaputo per lunga esperienza che i saccheggiatori di mestiere e i predatori di occasione, tostoché riescono ad impinguarsi, abbandonano di corsa il campo di battaglia, infischiandosene del trionfo delle idee e dell’avvento di un nuovo ordine di cose.

Ecco infatti che cosa è successo nel paese dove mi trovo, qui a piè delle Madonie. Tostoché giunse la notizia degli svaligiamenti vendicatori di Palermo, la popolazione tutta quanta, compresa la più sudicia e canagliesca borghesia, fu invasa da una specie di delirio di preda.

Tutti gongolavano di gioia e battevano le mani, anche gli sbirri, i forcaiuoli, i pecoroni e i sagrestani. I proprietari e i contadini approvavano il saccheggio delle scarpe, dei tessuti e delle merci; i bottegai invocavano man bassa sull’olio, sui legumi, sul grano; gli ubriaconi e i rivenditori di vino adocchiavano le cantine: le donnicciuole prendevano di mira le cianfrusaglie, il sapone e le bagattelle, e così via di seguito. Ma nessuno voleva toccate le cose proprie; tantoché quando ci fu il pericolo di un saccheggio generale, tutti rivolsero gli occhi lacrimosi alla caserma dei reali carabinieri; e quando poi l’amministrazione comunale incominciò a requisire e ad imporre il calmiere sopra ogni cosa, non ci fu porco, o corvo, o pecoro che non avesse strillato, imprecato, maledetto.

Tutti volevano predare la roba altrui; ma nessuno voleva toccata la propria.

Voi proletari dunque, dovete tendere con tutte le vostre forze ad espropriare la borghesia per porre ogni cosa in comune, senza nulla saccheggiare, nulla distruggere, nulla sperperare, affinché non abbia a mancarvi il necessario durante la terribile mischia che sconvolgerà il mondo e che dovrà assicurarvi la libertà, l’eguaglianza e il benestare.

I predatori d' istinti borghesi, gli accaparratori di mala intenzione, i cercatori di fortuna vanno fucilati su due piedi senza tante cerimonie.

Che il sangue coli pure a torrenti purché la rivoluzione sociale sia salva, quella rivoluzione che già mugghia procellosa da un capo all’altro del mondo e che dovrà porre fine una volta e per sempre a tutte le ingiustizie, a tutte le viltà, a tutte le infamie.

Siamo già alla sinfonia, o lavoratori. Quanto prima si alzerà il sipario e comincerà l’opera.

Il bandito delle Madonie

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