§ 8.

Come dalla diretta luce del sole al derivato riflesso della luna, passiamo ora dalla rappresentazione intuitiva, immediata, che sostiene e garentisce se stessa, alla riflessione: agli astratti, discorsivi concetti della ragione, che tutto il loro contenuto hanno solo da quella conoscenza intuitiva ed in rapporto a lei. Fino a quando noi restiamo nella pura intuizione, tutto è chiaro, solido e sicuro. Non ci sono problemi, né dubbi, né errori: non si domanda di più, non si può andar oltre; si ha riposo nell'atto d'intuire, soddisfazione nel presente. L'intuizione basta a se stessa: quindi ciò che da lei scaturisce puro ed a lei è rimasto fedele, come per esempio la genuina opera d'arte, non può mai essere falso, né essere giammai confutato: perché non si tratta di opinione, bensì della cosa stessa. Con la conoscenza astratta invece, con la ragione, penetrano nel campo teoretico il dubbio e l'errore, nel campo pratico l'ansia e il pentimento. Se nella rappresentazione intuitiva l'apparenza può per qualche istante deformare la realtà, viceversa nella rappresentazione astratta l'errore può dominare per secoli, imporre a popoli interi il suo giogo di ferro, soffocare le più nobili aspirazioni dell'umanità; e perfino colui, ch'esso non riesce a ingannare, può far mettere in ceppi dai proprii schiavi, vittime dell'inganno. Esso è il nemico, contro il quale i più saggi spiriti d'ogni tempo sostennero una lotta disuguale; e soltanto ciò, che quelli hanno a lui strappato, è divenuto patrimonio della umanità. Per questo è bene richiamar subito l'attenzione su di esso, mentre cominciamo a mettere il piede sul suolo ove si estende il suo dominio. Per quanto sia stato detto sovente che bisogna seguir le tracce della verità, anche dove non c'è da sperare alcun vantaggio, potendo questo essere indiretto e venire quando non lo si aspetta: tuttavia io qui voglio ancora aggiungere che in egual modo bisogna darsi da fare per iscoprire e disperdere ogni errore, pur dove non è da attenderne alcun danno: anche il danno potendo essere indiretto, e comparire inaspettatamente, perché ogni errore ha nel suo interno un veleno. Se è lo spirito, se è la conoscenza che fa l'uomo signore della terra, non possono esservi errori inoffensivi, e ancor meno errori rispettabili o sacri. Ed a conforto di coloro, i quali in qualsivoglia maniera ed occasione dedicano forza e vita alla difficile e così aspra guerra contro l'errore, non posso astenermi dall'aggiungere qui, che l'errore può bensì aver libero giuoco, come civette e pipistrelli nella notte, fin che la verità non è apparsa: ma è più facile attendersi di veder civette e pipistrelli respingere il sole verso l'oriente, che veder la verità, una volta riconosciuta e chiaramente, compiutamente affermata, esser di nuovo respinta, perché l'antico errore riprenda daccapo, indisturbato, il suo comodo posto. Tale è la potenza della verità: di cui è difficile e faticosa la vittoria; ma questa, una volta raggiunta, non può più esserle strappata.

Oltre le rappresentazioni fin qui considerate – le quali, per la loro costituzione, si potevan ricondurre a tempo, spazio e causalità, ponendo mira all'oggetto; ed a pura sensibilità ed intelletto (ossia conoscimento della causalità) ponendo mira al soggetto – è dunque penetrata nell'uomo, unico fra tutti gli abitatori della terra, ancora un'altra facoltà conoscitiva: è sorta una conscienza affatto nuova, molto calzantemente e con profonda giustezza chiamata riflessione. Imperocché essa è in verità un riflesso, un derivato di quella conoscenza intuitiva, pure avendo natura e costituzione fondamentalmente diversa; non conosce le forme di quella, ed anche il principio di ragione, che impera su tutti gli oggetti, assume in lei un aspetto del tutto diverso. È solo questa nuova coscienza di secondo grado, questo astratto riflesso dell'intuitivo in un concetto di ragione non intuitivo, che dà all'uomo la riflessione, per cui la sua coscienza è così nettamente distinta da quella degli animali, e tutto il suo passaggio sulla terra si compie in modo così diverso da quello de' suoi fratelli irragionevoli. Molto anche l'uomo li supera in potenza e in dolore. Essi vivono solo nel presente, mentre l'uomo per di più vive contemporaneamente nell'avvenire e nel passato. Essi soddisfano il bisogno momentaneo; egli provvede con le più accorte disposizioni al proprio avvenire, anzi perfino ad epoche che non giungerà a vedere. Essi sono in tutto sottoposti all'impressione del momento, alla azione del movente intuitivo; egli è guidato da concetti astratti indipendenti dal presente. Perciò esegue piani meditati, oppure agisce secondo massime prestabilite, senza riguardo all'ambiente e alle impressioni fortuite dell'istante. Può, per esempio, prendere con calma le complicate disposizioni per la propria morte, può infingersi, fino a rendersi impenetrabile, e portar con sé nella tomba il suo segreto; ha finalmente una vera scelta fra numerosi motivi: perché solo in abstracto possono vari motivi, l'un presso l'altro, esser presenti nella coscienza, trarre con sé il conoscimento che l'uno esclude l'altro, misurando così in contrasto il loro potere sulla volontà; quindi il motivo preponderante, dando il tratto alla bilancia, diventa meditata risoluzione della volontà, e manifesta come certo indizio la sua natura. Al contrario, la sola impressione momentanea determina l'animale: soltanto la paura di una costrizione immediata può domare le sue cupidigie, finché quella paura finisce col diventare abitudine, e allora lo determina come tale: questo significa ammaestramento. L'animale sente e intuisce; l'uomo per di più pensa e sa: entrambi vogliono. L'animale comunica la sua sensazione e disposizione per mezzo di movimento e suono: l'uomo comunica all'altro uomo pensieri, per mezzo del linguaggio, o nasconde pensieri, per mezzo del linguaggio. Il linguaggio è il primo prodotto e il necessario strumento della sua ragione; per questo in greco ed in italiano linguaggio e ragione vengono indicati con la stessa parola: λογος, il discorso . In tedesco Vernunft (ragione) viene da vernehmen, che non è sinonimo di hóren, udire, ma indica la comprensione del pensiero comunicato per mezzo di parole. Solo con l'aiuto del linguaggio può la ragione eseguire i suoi compiti importantissimi, come sarebbe la concorde azione di molti individui, la metodica collaborazione di molte migliaia d'uomini, la civiltà, lo stato; e inoltre la scienza, la conservazione dell'esperienza anteriore, l'aggruppamento delle note comuni in un concetto, la partecipazione della verità, la diffusione dell'errore, il pensare e il poetare, i dogmi e le superstizioni. L'animale conosce la morte solo nella morte: l'uomo s'appressa di ora in ora coscientemente alla morte sua, e questo rende talvolta pensosa anche la esistenza di chi non ha ancora riconosciuto alla vita intera questo carattere di perenne distruzione. Soprattutto per questo ha l'uomo filosofie e religioni: ma rimane tuttavia incerto, se sia frutto di quelle ciò che noi a buon diritto stimiamo in più alto grado nel suo operare, la volontaria giustizia e l'animo generoso. Invece come indubbi, esclusivi germogli delle filosofie e delle religioni, e prodotti della ragione, appaiono le più stravaganti e arrischiate opinioni filosofiche delle diverse scuole, e le stranissime, talora anche crudeli costumanze dei preti delle diverse religioni.

Che tutte queste sì svariate ed estese manifestazioni provengano da un principio comune, da quella particolare facoltà dello spirito, che è privilegio dell'uomo in confronto dell'animale e che fu chiamata ragione, λογος το λογιστικον, το λογιμον, ratio, è opinione unanime di tutti i tempi e di tutti i popoli. E anche sanno tutti gli uomini benissimo riconoscere le manifestazioni di questa facoltà, e dire ciò che è ragionevole e ciò che è irragionevole, e dove la ragione viene a conflitto con le altre facoltà e proprietà dell'uomo, e finalmente ciò che non ci si potrà mai attendere anche dal più intelligente degli animali, per la mancanza di ragione. I filosofi di tutti i tempi anche si esprimono generalmente in armonia con quell'universale conoscenza della ragione, ed oltre a ciò mettono in rilievo qualche sua manifestazione più importante, come sarebbe il dominio sugli affetti e sulle passioni, la capacità di giudicare e di porre principi generali con una certezza che talvolta precede ogni esperienza, e così via. Nondimeno tutte le loro spiegazioni intorno alla vera essenza della ragione sono traballanti, non determinate nettamente, prolisse, senza unità né centro, intese a mettere in rilievo or questa or quella manifestazione, e perciò spesso divergenti l'una dall'altra. Si aggiunga, che molte partono dal contrasto fra ragione e rivelazione, il quale è del tutto estraneo alla filosofia, e non serve che ad accrescere la confusione. È oltremodo sorprendente, che finora nessun filosofo abbia rigidamente ricondotto quelle svariate manifestazioni della ragione ad una funzione semplice, la quale sia da riconoscere in tutte, e tutte le spieghi, e costituisca perciò la vera intima essenza della ragione. L'esimio Locke indica bensì molto giustamente nell 'Essay on Human Understanding, libro 2, cap. 11, §§ 10 e 11, come carattere distintivo fra animale ed uomo, i concetti universali astratti, e Leibniz ripete lo stesso con pieno accordo nei Nouveaux essays sur l'entendement humain, libro 2, cap. 11, §§ 10 e 11. Ma quando Locke nel libro 4, cap. 17, §§ 2, 3, viene alla vera e propria spiegazione della ragione, perde affatto di vista quel semplice carattere fondamentale, e cade anche lui in una oscillante, imprecisa, incompiuta esposizione di manifestazioni derivate e frammentarie di quella: anche Leibniz, nel luogo corrispondente della sua opera, si contiene in complesso nel medesimo modo, solo con maggior confusione ed oscurità. E fino a qual punto abbia poi Kant confuso e falsato il concetto dell'essenza della ragione, ho detto ampiamente nell'appendice. Ma chi voglia darsi la pena di scorrere sotto questo riguardo la massa di scritti filosofici venuti in luce da Kant in qua, riconoscerà che, come gli errori dei principi sono scontati da popoli interi, gli errori dei grandi spiriti distendono la loro influenza dannosa su intere generazioni anche per secoli; anzi, crescendo e propagandosi, finiscono col degenerare in mostruosità: e tutto questo deriva dal fatto che, come dice Berkeley: «Few men think; yet all will have opinions» .

Come l'intelletto ha soltanto una funzione: immediata conoscenza del rapporto di causa ed effetto: e l'intuizione del mondo reale, come anche tutta l'avvedutezza, sagacia, facoltà inventiva – per quanto sia molteplice la loro applicazione – non sono tuttavia evidentemente null'altro che manifestazioni di quella funzione semplice; così anche la ragione ha una sola funzione: formare il concetto. In base a quest'unica funzione si spiegano molto facilmente, e compiutamente, e spontaneamente tutti i fenomeni sopra citati, che distinguono la vita dell'uomo da quella dell'animale. E all'uso o al non-uso di quella funzione si riconduce sempre ciò che ovunque e in ogni tempo si è chiamato ragionevole o irragionevole .

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