I VOLONTARI.
Il volontariato personifica il movimento civico-guerresco del 48-49.
In esso si rispecchiano tutte le idee dell'epoca, tutta la poesia popolare: in esso si concentrano ed armonizzano le più disparate esigenze. Si giunge così ad una istituzione militare, che risponde perfettamente al novo ambiente politico, ma che è manchevole di quelle doti che formano il soldato delle battaglie formali e di pianura. Se si fossero fuse le schiere volontarie colle regolari, sarebbesi ottenuto quanto occorreva nel '48.
Il volontario di quel tempo ha una fiducia illimitata nella bontà della propria causa, nella potenza de' suoi mezzi, ne' suoi principi infallibili, ed ai quali non intende minimamente di rinunziare.
E poichè le masse uniformemente pensanti si fanno colle oneste transazioni e non col puntiglio; poichè la desiderata fusione non potevasi ottenere, [99] invece di una sola schiera compatta si hanno le legioni, i corpi franchi, le guerriglie, le crociate, le compagnie, le colonne mobili, distinte per nomi, per tendenze politiche e religiose, per regioni, per studi, per armi. Si vuole persino che la foggia del vestire appalesi il movente di chi l'adotta: i repubblicani, i federali, hanno cappelli a larghe falde, e pellegrine a pieghe esuberanti; i più temperati imitano le uniformi delle truppe regolari, i neo-guelfi hanno per segno esteriore la croce.
Vedete, - a riprova del nostro asserto primitivo - divisioni e suddivisioni politiche che s'infiltrano e corrompono, anche nei più minuti particolari, l'unità semplice e precisa del concetto militare?
Caratteristica dei Corpi volontari, di questa improvvisazione di guerra, è la sproporzione fra la grandezza del fine e la povertà del mezzo.
Ritornavamo ai tempi di Pier l'Eremita e di Giovanna d'Arco! Non solo i giovani lasciavan la casa nativa, ma quanti uomini, avessero o no famiglia, e sentissero nel cuore la patria. Si accorreva al campo uscendo dal teatro, dopo un festino, in seguito ad un convegno galante, e senza previdenza alcuna; uno stocco, un ferro arrugginito sembrava arma più che bastevole per la guerra santa, voluta [100] da Dio.... E d'altronde dov'è lo straniero? Esso fugge.... deve fuggire ovunque! Ogni scontro è naturalmente una vittoria italiana, tuoni il cannone di Mantova e noi risponderemo: «viva Pio IX!» Questo era il '48.
I sacerdoti si addestrano all'armi sugli spianati, gli studenti formano i battaglioni, i maestri si fan condottieri, le gentildonne arruolano armati.
Ovunque è fanatismo e delirio, rullo di tamburo e squillo di campane; ovunque è una massa proteiforme di colori, di forze, d'intenti, di voleri; ma se dal tutto erompe il carme della indipendenza, manca il preciso concetto dell'unità manca il genio pensoso, che impugni una bandiera, che, piuma al vento, trascini la moltitudine serrata, estasiata, volente, sui campi della morte e della vittoria.... No, - erriamo - quel genio poteva essere Carlo Alberto: gli eventi non lo consentirono.
Per la maggior parte de' volontari battersi voleva dire appostarsi ad un albero e far fuoco contro i croati, necessariamente obbligati a porsi in salvo: essi accorrendo alla guerra si eran votati più all'immediato sacrificio della vita, che ai disagi di una lunga campagna: volevano esser soldati, ma disconoscevano la disciplina, le afe della pianura veneta, le inerzie forzate del campo li sfibravano [101] e ne inasprivano il carattere. Ognuno di essi ha un piano proprio, infallibile, per debellare Verona, per salvare Treviso e Vicenza, per sorprendere Radetzky, e gridano contro il proprio generale che nulla sa, nulla comprende di così semplici concetti.
Le truppe volontarie riescono quindi truppe di slancio, non di resistenza; una mente superiore avrebbe a loro assegnato i più colti ed arditi ufficiali, i migliori sergenti e caporali, invece furono abbandonati a loro stessi miseramente od a capi molte volte strambi, inetti, millantatori, e fu ancora ventura emergessero, fra tante ragioni di sfacimento, splendide individualità, quali un Calvi ed un Manara.