XII.

SITUAZIONE DEGLI ESERCITI

NELLA SECONDA QUINDICINA DI APRILE.

Fallita la possibilità di schiacciare l'esercito austriaco scarso di combattenti ed in piena fuga, innanzi alle popolazioni italiane, noi troviamo al 20 aprile le forze belligeranti così situate:

Nel quadrilatero sta Radetzky con 44,000 soldati: lungo il Mincio ed il Po si stendono 68,000 italiani ai quali si possono immediatamente aggiungere circa 12,000 volontari, ed avere con ciò in linea 80,000 uomini.

Gli austriaci sono nella situazione morale di un [110] esercito battuto, sono uniti all'Impero per la sola via dei monti, hanno viveri limitati, a loro d'intorno stanno popolazioni ostili: gli italiani, forti per numero e per buoni successi, vivono tuttora nel periodo dell'entusiasmo e della fiducia.

Le forze alleate sono così disposte: 53,000 piemontesi, con pochi volontari parmensi e napoletani e con 88 cannoni, fra Goito e Peschiera: 7000 regolari e volontari toscani, con pochi napoletani, tra Castellucchio, Curtatone e Montanara; 1100 modenesi a Governolo; 6500 pontifici regolari con 12 cannoni ad Ostiglia (generale Durando), 9000 a Bologna.

Dietro questa prima linea stanno 2 o 3000 volontari a Bergamo e a Brescia, in tutte le città italiane si costituisce la Civica.

In Piemonte si completa l'esercito di prima linea, i quarti ed i quinti battaglioni: verso Ancona 15,000 napoletani sono in marcia, ma su di loro si può fare assegnamento soltanto dopo il 20 maggio. Tutte le città del Veneto, dal bacino del Brenta a quello del Tagliamento, sono ingombre di crociati, di bande armate, di comitati di difesa, non aventi fra loro nesso veruno, ma che nel loro complesso non possono non preoccupare il Nugent, generale austriaco, che dall'Isonzo mira a [111] congiungersi col Radetzky. Se quindi fosse bastata la forza del numero, la sorte doveva sorridere all'Italia; sventuratamente mancavano ai nostri ben altri fattori di vittoria.

Da ogni parte sorgeva chi voleva comandare: dai vecchi avanzi napoleonici agli imberbi universitari tutti avevano il recipe per vincere.

I primi successi, aventi del miracoloso, esaltavano le menti, nessuno credeva possibile una riscossa del nemico, ferito nei suoi stessi domini dalla rivoluzione, e quindi provvedevasi alla guerra, scontando tra feste patriottiche le future vittorie.

I servizi amministrativi erano manchevoli e difettosi, le armi scarse e di vario modello, pessima la impresa dei viveri, nulle le previdenze in fatto d'ospedali, di rifornimenti ecc., ecc.

Bisognava scegliere fra battere il Radetzky nel quadrilatero ed il Nugent, che dall'Isonzo muoveva verso l'Adige. Nel primo caso tutti gli eserciti confederati nostri dovevano concentrarsi fra Goito e Peschiera e poi puntare sopra Verona; nel secondo tutte le forze italiane radunate fra Governolo e Ferrara avrebbero «girato il quadrilatero» e fatto massa verso il Brenta.

In quest'ultima ipotesi Venezia e le marine confederate del Piemonte e di Napoli avrebbero [112] rifornito l'esercito nazionale, le fortezze venivan così prese di rovescio, e Radetzky disgiunto dall'esercito di soccorso.

Come spiegare l'essere le forze italiane disseminate su tanta vastità di territorio e la loro azione slegata, se non collo spettro d'una politica obliqua che inquinava le operazioni militari? Re Carlo Alberto era duce di nome e non di fatto, a Milano ed a Venezia si temeva l'annessione al Piemonte e volevasi la Repubblica; ogni staterello comprendeva la cacciata dell'Austria, come ora si comprende la cacciata del Turco, e cioè all'intento di arrotondare i propri domini: ogni esercito faceva quindi casa a se, non voleva abbandonare il legame politico ed amministrativo colla propria regione, dalla quale riceveva ordini diretti. Per far massa bisognava amalgamare i volontari coi soldati di ferma, i capi rivoluzionari coi generali e questo assolutamente non volevasi da nessuna parte.

Sono, come vedete, sempre le stesse cause, sempre le stesse ragioni, che producono le stesse conseguenze che permettono a Radetzky di raggiungere il quadrilatero, di soggiornarvi, e di risortirne poi terribile castigatore delle colpe nostre.

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