XVII.

CONCLUSIONE.

Ed ora, dopo tanti anni trascorsi dalle vicende del '48, possiamo tranquillamente ripensare all'artefice che ribadì le catene del nostro servaggio, e dire che sulla tomba del maresciallo Radetzky non cresce l'albero del nostro rancore.

Il maresciallo eccedette, ma servì il suo imperatore, e poichè i fati d'Italia dovevano compiersi, egli stesso vi cooperò coi suoi rigori, colle sue sudate vittorie. Se egli avesse perduto, il trionfo non ci avrebbe ammaestrati come ci ammaestrò la sventura.

I tempi d'allora non eran maturi: occorreva che dai rivi di sangue versato in comune sorgesse un comune pensiero, una idea capace di farne tacere tante altre, cosicchè trascorso appena un decennio, dal caos delle primitive illusioni, sortissero gli eventi del '59.

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Non v'è pregio grande, ove non v'è grande sacrificio. Garibaldi che abbandona le navi regie; ecco lo spirito sorvivente ancora nel '48, Garibaldi che esclama: «Obbedisco» ecco il frutto d'una forte esperienza, e la ragione del vincere.

Se il Veneto fosse stato riunito al nuovo Regno di Casa Savoia qualche lustro più tardi di quando ciò avvenne, se in Roma fossimo entrati in seguito ad una grande guerra nazionale ed in epoca più prossima alla presente, l'Italia sarebbe in oggi più forte e più compatta di quanto effettivamente non sia.

È questa induzione sicura: la storia dell'umanità è la storia del dolore, ed un popolo senza vittorie, senza ideali che gli sollevino la mente e l'anima, che lo distraggano dalla miseria cupa del vivere, contempla inerte le sue piaghe e le inasprisce.

Questo spiega non poca parte de' nostri attuali disagi, e addita una mèta novella alle giovani generazioni. Quale? Io l'ho nel cuore.... voi la dovete intuire: gli eventi forse la preparano.

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