II.

Cacciati i Medici nel 1495, la Repubblica Fiorentina, sotto l'ispirazione di frate Girolamo Savonarola, si riordinò in istato popolare, con un Consiglio grande, un Consiglio o Senato degli Ottanta, un magistrato dei Dieci di libertà e balìa, che soprintendeva in special modo alle cose della guerra; e più tardi, con la instituzione di un gonfaloniere a vita, che fu Piero Soderini. Questo reggimento, nato onestamente, pur avendo di continuo a lottare con gravi difficoltà interne e con gravissime minaccie esteriori, governò con onestà e con decoro la Repubblica [188] sino al 1512, e alla storia di esso è legato il nome del più grande dei nostri politici del Cinquecento, di Niccolò Machiavelli.

Il Machiavelli era nato nel 1469, e a ventinove anni entrava negli uffici della Repubblica, come coadiutore della seconda cancelleria, ed era più particolarmente deputato all'ufficio di segretario dei Dieci. Mantenuto sempre, quanto a ufficio, in un grado secondario, fu bensì adoperato in gravi e delicate missioni, che egli adempì con grande fedeltà e zelo; quivi si formò la sua educazione politica, quivi si presentarono alla sua mente i gravi problemi politici e sociali della sua età, e ne fu indotto a cercarne la soluzione e a comporne gli elementi di una dottrina o arte di Stato.

Il professore Pasquale Villari, nel suo libro magistrale intorno a Niccolò Machiavelli e ai suoi tempi , osservò giustamente che uno dei documenti più importanti a conoscere la vita del segretario fiorentino sono le sue Legazioni e Commissarie; trovandosi in esse non solo la storia fedele della sua attività diplomatica, ma anche i primi germi delle sue dottrine politiche. Poichè debbo oggi esporvi ciò che più volentieri sarei stato ad ascoltare dalla sua voce autorevole, permettetemi, Signori, di toccare brevemente di queste Legazioni.

Nell'ufficio di mandatario della Repubblica Niccolò Machiavelli visitò vari paesi e varie Corti in Italia e fuori; conobbe uomini di Stato ragguardevoli; assistè e partecipò a fatti politici di non piccola importanza. Io non m'indugerò, o Signori, a riferirvi le cose trattate in queste Legazioni, e basterà, per il fine nostro, che ne rileviamo certi lineamenti più caratteristici, dai quali si desume [189] il metodo d'osservazione e la preparazione sperimentale e dottrinale del Machiavelli.

Fu quattro volte in Francia dal 1500 al 1511 e una volta, nel 1507-8 in Germania (passando per la Svizzera e per il Tirolo); e le sue osservazioni su quelli Stati, oltrechè nei dispacci quotidiani, si trovano raccolte in particolari relazioni che egli chiama “Ritratti„. Osserva in Francia la gagliardia di quella Corona, e ne pone come cagione principale l'avere essa sottomessi tutti i baroni. Non benevolo ai Francesi nei ragguagli che dà della natura loro, nota sopratutto il disprezzo che hanno verso gl'Italiani, perchè questi sono senz'armi e senza denari; e con occhio attento segue la fortuna dei Francesi in Italia, essendo con quella congiunta la fortuna di Firenze, per cagione di un'amicizia che egli malinconicamente dice: “essersi mendicata e nutrita con tanto spendìo, e con tanta speranza mantenuta„. In Isvizzera rimane ammirato di quella “libertà libertà„ (com'egli la chiama), e della piena ugualità d'ogni ordine di cittadini. Delle comunità di Germania loda i costumi patriarcali, e studia minutamente le relazioni tra imperatore, principi e comunità. In tutti quei paesi stranieri studia inoltre, con profonda attenzione, gli ordini delle milizie, esaminandoli con particolare riguardo all'Italia; e ne nota la forza e la debolezza; o indaga con che metodi possano esse vincere, e con quali opportuni rimedi potrebbero essere vinte dagli Italiani, se questi avessero armi proprie. Delle armi mercenarie aveva il Machiavelli già fatto trista esperienza nella guerra di Pisa, delle faccende della quale aveva dovuto occuparsi giorno per giorno come segretario dei Dieci. Quando poi, nel 1500, fu dato per compagno a Luca di Antonio degli Albizi, commissario al campo dei Francesi che assediavano, per conto di Firenze, quella città; potè sempre meglio conoscere la mala fede, la violenza, le ruberie infinite di quelle soldatesche. [190] Del resto, dalla discesa di Carlo VIII in poi, e anche prima, erasi fatto palese come l'Italia, per mancanza d'armi nazionali, fosse corsa e sopraffatta dalle milizie straniere senza difesa, o dovesse commettere la difesa sua in milizie mercenarie anche più ladre. E io voglio qui citare il buon speziale Luca Landucci, che, nel suo Diario fiorentino, all'anno 1478, con grande semplicità e dirittura, così giudica dei soldati a servizio delle repubbliche italiane: “L'ordine dei nostri soldati d'Italia si è questo: tu atendi a rubare di costà, e noi faremo di qua.... Bisogna venga un dì di questi tramontani, che v'insegnino fare le guerre.„ .

Una delle legazioni più notevoli del Machiavelli è quella al duca Valentino in Romagna dall'ottobre del 1502 al gennaio 1503. Aveva già egli conosciuto di persona Cesare Borgia, fino dal giugno precedente, avendo allora accompagnato in Urbino il vescovo Soderini, che la Repubblica Fiorentina inviava al Duca, per congratularsi del violento acquisto di quel ducato, e per invocare intanto la restituzione di certe terre aretine ribellate da Vitellozzo Vitelli. E fin d'allora il Machiavelli delineò del Valentino un ritratto che mostra com'egli ne ricevesse una vivissima impressione. “Questo signore è molto splendido e magnifico; e nelle armi è tanto animoso, che non è sì gran cosa che non li paia piccola; e per gloria, e per acquistare stato, mai si riposa, nè conosce fatica e pericolo. Giugne prima in un luogo che se ne possa intendere la partita donde si lieva. Fassi ben volere a' suoi soldati, ha cappati i migliori uomini d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunto, con una perpetua fortuna.„ Il Machiavelli era in Sinigaglia quando Cesare Borgia, il 31 dicembre del 1502, fece prendere con fine astuzia, e poi tranquillamente [191] strangolare, Vitellozzo Vitelli, gli Orsini ed altri signorotti della Romagna, già suoi emuli, e ora suoi troppo creduli alleati; del quale eccidio il Machiavelli stesso fece poi una distesa e vivace Descrizione. Ch'egli ne fosse consigliatore, come qualche storico mediocre ha vociferato, è una stupida accusa, che non ha ombra di fondamento; ma certo è che, per quel fatto, la immaginazione sua fu profondamente colpita dall'energia, dall'audacia, dalla rapidità di quel giovane tiranno che non conosceva ostacoli, e li superava tutti, con qualsiasi mezzo, buono o cattivo, ma sempre opportuno, capacissimo di ogni malvagità, ma (come bene osserva il Tommasini), “non di fare male vano„; e notevole anche in questo, che di quelle opere sue, che a noi paiono malvagie, cercava avidamente la lode. In fatti raccontò al Machiavelli la cosa “con la migliore cera del mondo„ e si rallegrò tanto di questo successo che (dice il Machiavelli) “mi fece restare ammirato„. Diedegli poi ordine che se ne rallegrasse colla sua Repubblica, alla quale diceva d'aver fatto un gran bene, collo spegnere quei nemici di lei capitalissimi, e avere “tolto via ogni seme di scandolo, e quella zizzania che era per guastare Italia„. E i Dieci di balìa, non meno stupefatti del loro segretario, prima gli scrissero che si rallegrasse col Duca di “questa sua felicità„, bensì “con modestia„ per salvare almeno l'apparenza del pudore morale; ma, quando seppero che tra gli strangolati v'era anche il rubatore delle terre d'Arezzo, allora misero da parte ogni scrupolo, e di gran cuore confermarono al Machiavelli la commissione dei rallegramenti; “tanto più vivamente (dicono), da poi s'è inteso la morte di Vitellozzo, della quale questa città ha cagione di contentarsi assai.„

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