VII.

E ora, o Signori, possiamo lasciare Firenze, dove, spentasi la libertà, spengesi pure nel popolo ogni operosità o speculazione politica. E dobbiamo anche dire che, con la caduta di Firenze, susseguita a venticinque anni di distanza da quella di Siena, si chiude il periodo storico delle repubbliche comunali.

Sopravvivono Lucca e Genova, ma di vita repubblicana serbano ormai poco più che il nome e l'apparenza; venute alle mani di aristocrazie grette ed esclusive, nelle quali ogni giorno più si abbassava il livello intellettuale e la dignità del sentimento politico.

In Lucca ci si offre il caso di Francesco Burlamacchi. Questi, infervorato dalla lettura delle antiche istorie, e in specie delle Vite di Plutarco, non che dai ricordi e dagli ammaestramenti dello zio fra Pacifico, fervente savonaroliano, concepì il fantastico disegno di richiamare in libertà le città toscane, e stringerle in Federazione; del quale suo proposito, appena avviato negli atti, e non agevolmente attuabile, ebbe a pagare il fio colla vita. Non porremo certo il Burlamacchi nel numero dei pensatori politici, ma dei sognatori piuttosto; un sognatore bensì onesto e generoso, e almeno non codardo: come codardo si dimostrò il governo della sua patria, che, spontaneamente, con un zelo fatto di paura e di ferocia, lo denunziò all'Imperatore e a Cosimo primo, lo processò, lo torturò, e lasciò poi consumare la strage del suo cittadino, perchè non s'avesse a sospettare, nè anche lontanamente, che quel pio e nobile senato potesse avere connivenza alcuna in un peccato di libertà.

Dei vizi della costituzione aristocratica genovese ragiona [205] Uberto Foglietta nel dialogo Della Repubblica di Genova, stampato la prima volta in Roma nel 1559, che egli scrisse col leale intendimento di predicare l'unione della cittadinanza in un sol corpo, e la razionale e patriottica ugualità dei diritti e degli uffici; e ne fu pagato coll'esilio. Questa opericciuola bensì, come libro di politica, ha un valore mediocre, e non è da porsi a riscontro per altezza di concetto nè per larghezza di vedute colle opere somme dei politici fiorentini. Noi vediamo allegati in essa, secondo il metodo consueto degli umanisti, i fatti della repubblica romana, per dare autorità al ragionamento; vi vediamo delineati, con diligenza annalistica, parecchi fatti della storia medievale di Genova; aggiuntovi qualche accenno fugace di storia esteriore; ma tutto si riduce a uno studio non profondo, nè completo, delle condizioni interne genovesi; nè lo sguardo dell'autore si protende al di fuori, nè sa che vi sia un'Italia, nè la nomina mai.

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