X.

L'assedio di Firenze è nella storia d'Italia come lo sfavillare estremo d'una fiaccola (la virtù d'intelletto e di braccio de' nostri Comuni), che soffocata si estingue. La caduta della Repubblica fiorentina segna l'aggravarsi della tirannide, domestica e straniera, sotto la quale la nazione italiana prostrata espierà le sue colpe, e ne parrà come morta. Ma le nazioni non muoiono: e anche ne' trionfi della forza che le ha schiacciate, Dio matura la rinnovazione de' loro destini. È una vittoria spagnuola, ventisett'anni appena da quella caduta, una vittoria d'armi imperiali, che a San Quintino, sotto la spada poderosa d'Emanuel Filiberto, affranca da quei ladronecci stranieri di Spagna e di Francia un angolo predestinato di terra italiana, il Piemonte. E quando, di lì a tre secoli, da quel lembo di patria moverà l'impresa della liberazione e dell'unità d'Italia, Firenze avrà già consegnati fiduciosa all'invocato avvenire i tesori delle sue grandi memorie. L'Assedio di Firenze sarà una delle [111] bandiere prime ad essere agitate nel nome della libertà italiana. Un patriotta, che nell'anima di poeta, burrascosa come il suo mar di Livorno, accoglie il fremito delle nostre antiche democrazie, farà di quell'Assedio un libro, non potendo combattere una battaglia. Un gentiluomo del vecchio Piemonte, pittore e romanziere, statista e galantuomo, cavaliere d'Italia e ministro del Re, ritrarrà su quel fondo di storia italiana, e renderà popolari, le figurazioni ideali della virtù cittadina. E un poeta eroe (due delle maggiori grandezze della umana personalità) un poeta eroe, che reca il tributo del generoso sangue napoletano alla difesa di Venezia; Poerio, le cui ossa deposte nell'isoletta di San Michele “con affetto di sorelle„, come le gentildonne veneziane vi scrissero sopra, furono una delle anticipate consacrazioni della nostra unità,

dalle vette ghiacciate

dell'Alpi, al monte onde Sicilia fuma;

Alessandro Poerio canterà la gesta del Ferruccio, auspicando la nuova Italia:

Questa ed altre frementi ombre placate

fian, quando raggi, come sol che sale,

non più la fiorentina

l'itala libertate.

Oggi le colline che furono desolate da quella guerra, lussureggiano di oliveti e di vigne, si ammantano a festa nelle soavi primavere fiorentine: e dove scalpitarono i cavalli di Lamagna e di Spagna, e si piantarono le artiglierie anche di città sorelle, la vaporiera trasvola di vetta in vetta, lungo le bellezze che natura ed arte hanno accolto nella sottoposta convalle, e porta seco la letizia [112] delle paesane brigate, l'ammirazione degli ospiti benaccetti. Nel seno verde della florida pendice, Pitti e Boboli sono la reggia del Re d'Italia, il giardino della nostra graziosa e diletta Sovrana. Ma, degnamente vicino a tal reggia, San Miniato, col suo vecchio campanile mitragliato gloriosamente, torreggia tuttora: ed ivi presso, il genio di Michelangiolo, nelle forme gigantesche, eternamente splendide di gioventù e di forza, del biblico liberatore, domina ancora e protegge la sua Firenze.

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