VII.

Parve singolare al Gibbon che de' cinque maggiori poeti epici venuti nello spazio di quasi tremila anni sul teatro del mondo due sieno reclamati a sì breve intervallo da sì piccol territorio quale il ducato di Ferrara. Ma lasciando da una parte Omero e dall'altra Virgilio e Milton, i quali solo l'antica poetica poteva ammettere nella stessa famiglia con l'Ariosto, e aggiungendo il Boiardo che nel genere romanzesco è de' poeti maggiori, pare anzi naturalissimo, chi ricordi e accetti le cose in principio discorse su lo svolgimento dell'epopea romanzesca, che Ferrara producesse nello spazio di un secolo i tre maggiori poemi cavallereschi a distanza quasi precisa d'un cinquant'anni fra loro, cominciando il movimento coll'Innamorato nel 1486, toccando la perfezione col Furioso nel 1532, determinando la reazione con la Gerusalemme nel 1581. Contro altre osservazioni e meraviglie che nell'aer crasso della bassura ferrarese potesse accendersi quel gran sole della fantasia ariostesca, io volli diffondermi a raccogliere i particolari delle condizioni economiche e delle difficoltà politiche, delle incertezze e inquietezze quasi continue tra le quali fu concepito e composto [237] il Furioso, io volli distendermi a raccontare le strettezze, le taccagnerie, le ingratitudini e iniquità delle quali l'Ariosto fu tribolato tutta quasi la vita; perchè, raffrontate tali condizioni alle condizioni di pace, di agiatezza, di pompa, tra le quali scrissero Virgilio ed il Goethe, raffrontata alla villa di Posilipo e al casino di Weimar la casa paterna dell'Ariosto onde la veduta del piano è scarsa e sconsolata e la casetta di Mirasole ove la vita è imprigionata fra pochi metri di orti e di mura, e ripensando quanto spirital mondo fosse intuito e creato, quanta e quale serenità di poesia si spandesse da tali confini, l'uomo si rialzi e si rallegri e conforti, che in fine in fine l'ingegno umano trovi tutto in sè stesso. Nell'animo di Ludovico Ariosto non tramontava mai il sole interno più veramente che non tramontasse su i regni di Carlo quinto il sole della natura.

Più degna di esser notata mi pare la somiglianza delle circostanze, di preparazione, d'inspirazione, di svolgimento e di effetti, che è tra il lavoro letterario dell'Ariosto e quello, da una parte, di Dante, dall'altra di Alessandro Manzoni. Nati e cresciuti tutti tre nei principii d'un movimento e d'un mutamento politico e letterario che determinò le più differenti e in diverso aspetto più importanti età della vita italiana, tutti tre, modificate essenzialmente ma non spogliate al tutto le idee e le affezioni della gioventù, accompagnarono il mutamento e il movimento, fin che, non dico lo fermarono, ma lo illustrarono al punto più alto dell'ascensione con un'opera che, raccogliendo tutte le idealità del loro passato ed agendo con grande efficacia su gli spiriti le opinioni e le concezioni estetiche del presente, eccitò pure una reazione. Dante, cresciuto nel primo scadimento del papato e dell'impero, del medio evo in somma, e quando il reggimento delle città italiane passava nelle forme o del comune o della signoria dalle oligarchie gentilizie all'autorità [238] democratica, mutatosi da guelfo a ghibellino e da dicitor d'amore a neoclassico, scrisse, dopo la rivoluzione di Giano della Bella che gli tolse la nobiltà, dopo il colpo di stato del Valois che gli tolse la patria, la Commedia, opera guelfa insieme e ghibellina, scolastica e popolare sì nel concepimento sì nell'esecuzione; e pur raggiando gli albori dell'età nuova chiuse il medio evo, levandone alle maggiori altezze l'idealità e universalità artistica: alle quali seguirono per reazione l'opera individuale del Petrarca e l'opera realistica del Boccaccio. Nato e cresciuto quando l'umanesimo finiva d'abbattere i resti di quelle comunità d'arte e pensiero indigene e plebee che s'erano mantenute nell'intermezzo tra il medio evo e la riforma, quando le signorie nazionali erano per disparire attratte nella violenza dell'impero risorto come monarchia conquistatrice, l'Ariosto, da poeta latino trasmutatosi a poeta di romanzi, dopo la invasione francese, durante la guerra della lega santa contro Venezia e del papa contro il suo duca, scrisse, e dopo la caduta della repubblica di Firenze compiè, il suo poema, chiudendo i periodi della poesia romanzesca, l'ideale delle plebi, dei signori e dei capitani di ventura de' secoli decimoquarto e decimoquinto; il poema che canta le glorie d'una dinastia contro l'impero e la chiesa; il poema che trasforma con un lavoro perfettamente classico la materia medioevale e rende finalmente italiana la lingua toscana; il poema che, pure operando con grandissima efficacia su'l movimento letterario non pure italiano ma europeo, provoca sì negli spiriti sì nelle forme la riazione cristiana aristotelica individuale del Tasso. Nato il Manzoni tra i fulgori ed i fulmini della rivoluzione francese, crescendo quando il filosofismo dell'Enciclopedia della Costituente della Convenzione impersonatosi nel Bonaparte provocava la reazione tra medioevale e liberale dell'Europa, quando la invasione francese con le forme di repubblica [239] o di regno conturbando e sommovendo la vecchia società italiana cagionava un risvegliamento quasi nazionale degli spiriti guelfi e ghibellini, egli, di giacobino e classico, tramutatosi in cattolico e romantico, chiudeva quel periodo di sconvolgimento e di turbazione con un libro di raccoglimento individuale, di realismo ideale, in cui il soggettivismo autoritario giacobino persistendo riforma a imagine sua le idee cattoliche e le teorie romantiche; un libro, che pure efficacemente operando su l'educazione estetica provocò una reazione subitanea sì nei pensieri e sentimenti sì nelle forme. A compiere i paralleli, anche gli anni della pubblicazione delle tre opere si corrispondono. La Commedia, pensata e lavorata per tutti i primi anni del secolo decimoquarto fu finita nel 1321: fu finito nel 1516, corretto nel 21, riformato nel 32 il Furioso: i Promessi Sposi finiti nel 1826 furono corretti nel 40.

E qui basta. Le generazioni e l'ordine sociale fiorenti e dominanti in Italia in questo scorcio di secolo hanno il diritto e anche il dovere di riconoscere nel Manzoni il loro più affine rappresentante artistico. Ma, se alcun voglia comparare o anteporre l'efficacia e l'importanza storica dell'opera in prosa di lui alla poesia di Dante e dell'Ariosto, quegli obbedirà a una preoccupazione del presente che si può bene intendere ma non può esser levata alle regioni della storia, quegli sottometterà il vero oggettivo alle sue parziali impressioni estetiche, quegli correrà pericolo di scambiare una riforma di sentimento e stile in Italia per una rivoluzione della letteratura europea. Lasciamo di Dante. Ma dirimpetto alla esuberanza di vita e alla calda rappresentazione di tutto il sentimento, di tutta un'epoca che tutta l'Europa ammirò nel Furioso, la novella provinciale del Manzoni è domesticamente e democraticamente modesta. Che se lo spirito giacobino d'accordo questa volta con l'umiltà cristiana [240] parvero audacia rivoluzionaria persuadendo al Manzoni di scegliere a eroi due contadini brianzoli, gli vietarono però di fare poema; e al meraviglioso inventore e analizzatore prosastico venne a mancare un addentellato nella tradizione non pur nazionale ma europea, la quale si perpetua in un retaggio di grandi leggende e di grandi fatti di razza e di nazione congiunti ai grandi problemi psicologici che si rinnovano nei secoli. I poemi del secolo decimonono sono il Faust e il Prometeo liberato. Il problema psicologico dei Promessi Sposi fu un fenomeno passeggero in alcune anime di sola una generazione, e la preoccupazione di cotesto breve momento, la restaurazione romantica del cattolicismo, forse che rattrista, se non raffredda, lo spirito artistico del vero e nobil volume. Il quale forse per ciò non s'ebbe fuori d'Italia, in Europa, che un successo inferiore al valor suo reale, inferiore di molto alla fortuna di altri romanzi francesi e inglesi che gl'Italiani reputano di gran lunga inferiori al romanzo lombardo. Il Furioso, oltre le versioni e le edizioni moltissime in Francia, in Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Olanda fin dal secolo in cui fu composto, ispirò a tempi diversi quattro dei più varii e favoriti ingegni della letteratura europea, lo Spencer nella Regina delle fate al secolo decimosesto, il Byron nel Don Giovanni al nostro, e al settecento i due tra loro più simpatici ingegni delle due più avverse nazioni, il Voltaire nella Pulcella, il Wieland nell'Oberon. Il Furioso dunque tiene un luogo ben alto nella letteratura europea.

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