III.

A costituire questa scuola abbisognava un genio vasto insieme e accomodante; e questa era appunto, o signore, la duplice qualità che distingueva, fra gli altri grandi suoi contemporanei, Raffaello. Egli potè imporsi ai pittori che venivano a Roma da ogni parte d'Italia, ai Veneziani, ai Padovani, ai Mantovani, ai Ferraresi, ai Bolognesi, ai Fiorentini, agli Umbri, potè imporsi a tutti perchè con tutti egli se la intendeva, con la sperimentata famigliarità nella pratica dell'arte. Ed essi, gli artisti, senza contrasto, abdicavano il particolarismo della loro arte e lo deponevano ai piedi di Raffaello, perchè trovavano qualche cosa di loro stessi nella pittura di Raffaello. C'era, insomma, una specie di do ut des, una specie di scambio geniale, attraentissimo, che seduceva i pittori di tutte le parti d'Italia, rappresentanti istinti, maniere, ideali d'arte spesso notevolmente dissimili. E Raffaello graziosamente li tirava tutti dentro la sua orbita e li disciplinava, perchè a tutti aveva conceduto qualche cosa, da tutti qualche cosa avea mutuato. Ognuno, a qualunque regione o tradizione italica appartenesse, si sentiva meno umiliato nel cedere alla supremazia romana, perchè il Raffaellismo si presentava come una federazione degna, come una apoteosi [316] armonica concordata di tutte le scuole che si erano venute svolgendo in Italia.

E quale fu il carattere di questa scuola romana? L'argomento, o signori, meriterebbe di per sè solo una lunga conferenza. Il cattolicismo, giunto all'apice della potenza mondana, si crea e inspira un'arte conforme al suo genio moderno e ai nuovi bisogni suoi. Fino a quel tempo i pittori delle varie parti d'Italia avevano rappresentato il sentimento religioso con libera scelta, secondo l'indole e le tradizioni dei vari paesi; devoto, raccolto, e quasi monastico nell'Umbria; più vivace a Firenze; smagliante di bellezza felice e di pompa signorile a Venezia. Tutto ciò in Roma bisognava che si fondesse, generando finalmente un'arte cattolica, ossia universale. E mentre la Chiesa voleva un'arte in corrispondenza alla propria universalità, il pittore romano, guidato da questo grande impulso, dimenticava a poco a poco ogni intento particolare e sentiva che d'ora innanzi dalle sue pareti, dalle sue cupole, dalle sue tele, doveva parlare a tutta quanta la cattolicità. La Chiesa, dal canto suo, sentiva ingrossare i tempi e s'affrettava a circondare di tutti i prestigi dell'arte il dogma, onde meglio preservarlo dai prossimi assalti. Aveva dominato il mondo nel medio evo con la pietà e con la scolastica; ma ora sentiva che la nuova società, tutta impregnata di umanesimo, meglio si sarebbe dominata con l'arte e con la bellezza.... Questa pittura romana, destinata a così grande ufficio, doveva avere, caratteristica speciale, una spiccata magniloquenza; e questo vi spieghi, signore, quel che di ampolloso, e di violento e di sforzato che troviamo talvolta nelle composizioni anche dei migliori. Quegli artisti vi danno l'idea di un oratore, il quale parli ad un grandissimo uditorio in una piazza smisurata. Egli istintivamente è tratto a forzare la voce e il gesto, perchè vuole che il senso della voce e del gesto arrivi ai lontani termini del suo uditorio....

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