IV.

Fedele sempre all'indole sua, anche a Roma, Raffaello cercò un impulso esteriore da cui muovere, un esemplare grande in cui ispirarsi; e questa volta lo trovò nella classica antichità. Prima di recarsi a Roma, Raffaello si era trovato poco a contatto dell'antico. Checchè ne sia del suo disegno delle tre Grazie a Siena, e per quanto a Firenze abbia visti e studiati i marmi che i Medici avevano raccolto, certo è che poco o punto il suo stile se ne risente. In Roma si trova davanti a tutti i tesori dell'arte greca e romana. Parecchi dei più meravigliosi marmi, che formano ora la invidiata ricchezza del Vaticano, erano già stati scoperti. Era stato scoperto l'Apollo di Belvedere, era stato scoperto il Laocoonte, il Torso, l'Arianna. Quasi non trascorre giornata senza che il sacro suolo non restituisca qualche frammento della antica bellezza. E gli artisti e gli umanisti e la Corte e il popolo li illustrano a gara e li accolgono in festa. Tutta questa suppellettile classica nell'anima di Raffaello ebbe un'efficacia grandissima. Egli vede quale grande partito potrà cavare da essa per le vaste composizioni che i Papi gli danno a eseguire e che egli rivolge di continuo nella mente. Da allora in poi l'antico diventa la suprema guida di Raffaello d'Urbino. Egli fonde e coordina nel suo spirito questo nuovo e grandissimo coefficiente a tutte le altre educazioni artistiche già da lui maturate a Perugia, a Urbino, a Firenze; e con la guida dell'antico va in cerca di un ideale che degnamente risponda alle nuove richieste dell'arte cattolica.

E mostrò subito d'averlo trovato con gli affreschi nella Stanza della Segnatura. Questa camera, veduta oggi, produce un senso di tristezza. Quanto guasto ha fatto il [318] tempo a quelle pitture! Dapprima subì il sacco di Roma; poi per rimediare ai guasti orribili della soldataglia, fu incaricato Sebastiano del Piombo. Cattiva scelta! Sebastiano del Piombo, l'invidioso, il nemico di Raffaello, l'eccitatore maligno degli ingiusti sdegni di Michelangelo! Che coscienza mai avrà egli potuto mettere in impresa così ardua e delicata? Fatto è che nel 1536, essendo Tiziano in Roma, passeggiava un giorno a braccetto col suo compaesano per le Stanze e per le Loggie. Voltosi a lui d'improvviso gli chiese: “Chi è stato quell'asino che ha restaurate queste pitture?„ E Sebastiano dovette confessare che era stato lui!

Ma il male non si è fermato qui. Nel secolo XVII Carlo Maratta fu incaricato di restaurare le pitture di Raffaello per comando di Innocenzo XI. Questo buon Maratta procedeva a certe sue lavature “con vino greco e panni bianchi„ così maledettamente disinvolte, che lo spirito pubblico se ne commosse e vi fu gran sussurro per tutta Roma, onde impedire tanto vandalismo. Ma intervenne il Papa e dette ragione a Maratta perchè egli, il Papa, aveva dato la commissione! Questo vi spieghi abbastanza perchè adesso quelle pitture sono poco più che l'ombra di loro stesse.

Quanto più fortunate, per esempio, le pitture del Pinturicchio nell'appartamento di papa Borgia! Paiono uscite ieri dal pennello del suo autore, perchè nessuno ha mai pensato a restaurarle. Per cui, voi lo vedete, o signore, tante volte c'è da augurarsi al mondo di non esser troppo celebrati!... Fatto sta che le pitture neglette del Pinturicchio ora sorridono di tutto il loro bel colorito, mentre, al piano superiore, quelle di Raffaello scontarono la loro celebrità, venendo esposte a tutte le ingiurie della insipienza e della presunzione restauratrice.

Ma ad onta di questo, chi guardi in quelle stanze con occhio attento e sopratutto chi si adopri a coordinare [319] il concetto informatore di quei dipinti, non può, direi quasi, non genuflettere il proprio spirito davanti alla grandezza del pittore d'Urbino. Il quale a Roma manifestò in grado eminente una dote di cui prima non si aveva per anche la misura piena; voglio dire di essere un geniale concettista libero e originale.

La Stanza della Segnatura non è un insieme di dipinti collegati fra loro da un qualche simbolo come vediamo in tanti palazzi e in tante chiese; no, qui siamo in presenza della apoteosi del cattolicismo alleato con l'umanesimo; qui è celebrata, in un poema di segni e di figure, tutta la gloria del secondo Rinascimento italiano!

Nella vôlta abbiam detto che Raffaello dipinse la Poesia, la Teologia, la Filosofia e la Giurisprudenza, messe là come i sommi principii direttivi della vita civile e religiosa. Accanto ad ognuna di esse, pure nella vôlta, sta un primo quadro, che è come una più viva illustrazione del concetto astratto, già personificato nelle belle figure delle Virtù. Così, vicino alla Giurisprudenza si vede rappresentato il Giudizio di Salomone, una specie di giustizia primitiva, elementare, mitica. - Accanto alla Poesia egli mette Apollo e Marsia, appropriatissimi a simboleggiare l'assidua lotta, la eterna lotta che in tutti i tempi servì di stimolo e di incremento a tutte le arti. Di fronte alla Filosofia si vede una Musa pensosa (forse Urania) ascoltante l'armonia delle sfere, fissa sopra un globo armillare, tutta compresa dal concetto dei mondi fatti da Dio in numero, pondere et mensura. Di fianco alla Teologia, Raffaello dipinge La colpa di Adamo, ossia tutta la storia della umanità, quando alla maniera di Sant'Agostino e di Bossuet, la si voglia considerare come un gran dramma sacro, un poema religioso. - Alla figura della Giurisprudenza corrispondono due episodi storici e giuridici: L'imperatore Costantino che dà le Pandette a Triboniano, e Il papa Gregorio che [320] bandisce i Decretali. Ecco il diritto romano e il diritto canonico, le due forze meravigliose dalle quali uscirà il Medio Evo colle sue lotte e affermazioni potenti. - Corrisponde alla Poesia Il Parnaso, dipinto in una delle pareti, con Apollo in cima, il bellissimo Dio che suona e canta; circondato dal coro delle Muse e dal sacro stuolo dei poeti, accompagnati dalle care donne che in vita li amarono, li fecero soffrire, li ispirarono. Il concetto artistico della Filosofia è meravigliosamente svolto e completato con la Scuola d'Atene, un modello di composizione euritmica. - E finalmente alla Teologia corrisponde La Disputa del Sacramento, forse, anzi senza forse, la più elevata, ideale, bella, fra le composizioni di Raffaello Sanzio. Se l'idea venne da Giulio II, bisogna dire che il Papa ebbe un presentimento del suo grande significato. Notate una coincidenza strana! Mentre Raffaello dipingeva la Disputa capitava a Roma un frate tedesco, un giovine tutto chiuso in sè stesso, dallo aspetto nordico, dall'occhio meditabondo. Era Martino Lutero, il quale, nel fervore della sua prima fede, era venuto, come tanti Tedeschi, in pellegrinaggio a Roma. S'aspettava di trovare la mistica Gerusalemme, invece (a detta sua) aveva trovato qualche cosa che gli ricordava Sodoma e Babilonia. Forse in quell'epoca il frate ribelle cominciò a pensare il motto: “Io farò un buco in questo tamburo„ che fu poi il grido di battaglia, che eccitò tante sollevazioni di anime e doveva rompere la unità spirituale nel mondo cristiano. L'unità del mondo cristiano stava per rompersi, e precisamente il dogma che doveva servire di principio a tutte le altre negazioni, era appunto quello dell'Eucaristia. E allora un giovane pittore d'Urbino segnava in una pagina immortale la glorificazione di questo dogma!... Poi verrà il Bellarmino e i Gesuiti col loro apostolato di riconquista; e il Concilio di Trento con l'Antiriforma; ma a difesa del [321] dogma, per certe anime, varrà forse meglio di tutti questo argomento di sovrana bellezza espresso dal pittore in una parete del Vaticano....

Qui si apre l'epoca in cui Raffaello, forse perchè ha raggiunto una specie di apice, incomincia a somministrare delle forti prese alla critica. Già egli si eleva troppo; tutti sono intorno a lui ammirati e quasi genuflessi. Il Papa, non contento di averlo pittore di palazzo, lo fa architetto di San Pietro. Poi gli dà un incarico che sarebbe stato da solo bastante a riempire la vita di un uomo centenario e a domare i muscoli di un Ercole. Gli dà niente meno che la missione di risuscitare tutta la Roma classica, di notare e illustrare tutti i monumenti dell'antichità pagana. Leone X, preso da una specie di furore di restaurazione classica, vuole che tutto quello che è rimasto di pregevole e di salvabile della antichità, si salvi e si illustri; e ne incarica Raffaello. Ed ecco Raffaello a capo anche di questa grandissima impresa! Egli allora, con la meravigliosa agilità del suo ingegno, si converte in un grande archeologo; e non solo di Roma si occupa; ma in Sicilia, in Grecia, in Provenza, manda uomini di sua fiducia, che lo ragguaglino di memorie, di disegni, di schizzi, per poter con opportuni confronti misurare le rovine di Roma. Intanto egli conduce e termina una relazione al Papa che avrebbe fatto onore al più consumato archeologo del suo tempo.... dirò meglio, o signore; nessuno degli archeologi contemporanei avrebbe saputo fare altrettanto. E in vero Raffaello, in mezzo ai pregiudizî del tempo inevitabili sempre, ci manifesta, oltre l'intuito sicuro del bello, tanto rispetto alla verità e un tale senso storico dell'arte delle varie epoche, che, leggendo oggi la sua relazione, siamo costretti a stupirne come di un felice anacronismo.

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