V.

In Roma un senese, pur di umile stirpe, il Benedetti, soprannominato Giramondo, eccitava i Francesi a soccorrere la sua infelice città; due congiure si ordivano, e le fila se ne propagavano in Siena e pel suo territorio. Enea Piccolomini ed altri animosi colle bande della montagna eran pronti. Gli Spagnuoli insospettiti ordinano ai cittadini di rimaner chiusi in casa per lunghe ore; cercano di munire il castello; pongono dappertutto vedette. Ed ecco una di queste a gridare dalla torre del Mangia: “Molta gente è arrivata a Porta Nuova!„ Erano i liberatori; dai tetti e dalle torri i poveri Senesi tendevano loro le braccia. Vi fu un momento di ansietà, d'incertezza inesprimibile. In quel lungo e fervido tramonto d'estate tutti i cuori battevano impetuosamente. Ad un tratto è abbruciata una porta; i liberatori sono entrati; [164] un grido si propaga: Francia, Francia; vittoria, vittoria, libertà! Tutte le finestre, calando le grandi ombre notturne, come d'incanto appaiono illuminate “a tal che per tutta la città si andava come se fosse levato il sole„. Gli Spagnuoli in silenzio si schierano nel Campo, presso la fonte; ma già sono assaliti da ogni parte con quell'impeto del quale solo un popolo oppresso ha il terribile segreto; ricacciati via via per le strade tortuose ed anguste, molti balenano e cadono, mentre dai rossi palagi, che a' riflessi delle fiaccole paiono anch'essi ardere di sdegno, dai gotici balconi, dagli alti tetti sporgenti vien giù ogni sorta di proiettili; è una tempesta più formidabile di quelle dell'Oceano; un'ira di Dio; l'aria è piena di grida, di lamenti; il selciato, le case rosseggiano di larghe chiazze di sangue. È sempre deplorevole una zuffa, orrida sempre la strage; ma le battaglie contro lo straniero insolente ed oppressore hanno una poesia, un'armonia che scuote e rapisce come i versi più belli di Omero e di Dante; come gli Ugonotti del Meyerbeer ed il Guglielmo Tell del Rossini.

Pur troppo i frutti principali di tanto valore andarono alla Francia, misera condizione dei deboli che non escono dalle mani di un prepotente se non per cadere in quelle di un altro, che li protegge o li abbandona secondo il proprio tornaconto. Comunque, ebbero quei cittadini la soddisfazione suprema di buttar giù la fortezza; magistrati, preti, nobili e plebei, e, come là dicono, citti e citte con picconi, martelli e pali di ferro, come se ciascuno andasse a nozze, con quell'unanime entusiasmo del quale essi soli son capaci, la spianarono sì bene che nello spazio d'un'ora ne fu guasta tanta “che non ne saria murata in quattro mesi„.

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