VI.

La splendida epopea che allora i Senesi scrissero col sangue non deve farmi dimenticare la vostra gentile sopportazione, e che al fianco del prolisso narratore si pianta la più insoffribile compagna del mondo, la noia, musa dispettosa, implacabile. Sprono adunque il mio ronzinante, e divoro la via. Carlo V manda il Toledo e Don Garzia ad invadere il territorio della repubblica; ma la piccola Montalcino che, perduta fra le balze ed i poggi, ricorda sempre, col profilo severo, quasi terribile, della sua torre oscura quelle storie d'indomito valore, vide l'oste imperiale ritirarsi schernita dai suoi spaldi. Il duca Cosimo, cervello coperto ed uno de' più saggi mondani (scrisse il Montluc) che sia stato ai nostri tempi, rimaneva in disparte ad osservare il giuoco, per cogliere il momento, nel quale il più destro de' litiganti, gode dei travagli degli altri due. Prima ebbe ricorso alle insidie tentando le congiure col Salvi, capitano del popolo e coi Vignali, che furono mandati al patibolo; poi, gittata la maschera a proprie spese, rischio e pericolo, otteneva dall'impero l'accollo della guerra, incominciandola per sorpresa e quasi a tradimento, mentre i Senesi festeggiavano il carnevale, e Brandano ritornato gridava per le vie: “Cardinale, Cardinale (alludeva al Cardinale d'Este, governatore inetto ed incurante); tu ci rechi poco sale; Siena, Siena, verrà il medico, e ti guarirà dal farnetico.„ Il medico era appunto Gian Giacomo de' Medici, marchese di Marignano, dal Brantôme salutato “il più gran capitano di tutti quelli del suo tempo„, e n'era invece il più feroce. Cominciò la carriera con un omicidio [166] proditorio, e padrone del castello di Mus sul lago di Como, aveva fatto il masnadiero, tanto che i Lombardi lo chiamavano assassino di strada. L'imperatore sospettò ch'ei prolungasse apposta l'assedio di Siena per continuare più a lungo nella sua carica; soffriva di gotta, ed allora si faceva portare in barella pel campo.

Piero Strozzi, comandante supremo delle forze del re di Francia, eppoi maresciallo dopo la presa di Foiano, fuoruscito e nemico di Cosimo, che cercò fino all'ultimo di farlo uccidere magàri a tradimento, era un bell'uomo, colto e studioso tanto che avea, dicono, tradotti in greco i Commentari di Cesare; ma troppo si compiaceva di praticare ciò che andava leggendo nelle istorie. Aveva libreria ed armeria cospicue, e perfino una sala cogli attrezzi per difendere ed espugnare le fortezze. “Più furioso che dolce„ (così il Brantôme) è tutto nell'epigramma che scrisse sulla parete della prigione di Cosimo:

Qui Piero Strozzi a mattana suonò

Perchè volevan che dicesse sì,

Ed egli sempre rispondeva no.

Amava ridere, dire il bel motto sopratutto col Brusquet “ch'era (segue il Brantôme) il primo uomo per la buffoneria in corte di Francia„. Riferisce poi non poche di queste burle, a dir vero, molto appannate ed insolenti, e chiama, scherzi a parte, lo Strozzi più abile ad assalire e difender castelli che a combattere in aperta campagna; più abile ad obbedire sotto un gran generale che ad esser generale lui stesso. Forse mirò più agli interessi della Francia ed ai propri che a quelli dei Senesi, ch'erano per lui un mezzo come un altro per offendere il duca abborrito, sebbene scrivesse al Brissac, in uno slancio di entusiasmo, che accorresse in suo aiuto, quando anche, per rendergli la pariglia, “dovesse andare a servirlo qualche [167] mese da semplice soldato con la picca e l'archibugio in ispalla„. Dopo la caduta di Siena, abbandonando la Toscana per mare, stette lungo tempo muto, fissandone le coste; indi ai suoi ricordò le sue imprese, Pompeo a Farsaglia, Bruto a Filippi, accusò l'altrui poca virtù, la viltà altrui; guardò il cielo. Eran rimorsi? Erano legittimi sdegni?

I veri eroi dell'assedio, tacendo de' veterani delle bande nere, di Sampiero da Bastelica, tragica figura riserbata sempre ai più tragici eventi, e de' valorosi mercenari tedeschi, che non aveano altro difetto se non un appetito formidabile, talchè bisognò cavarli dalla città perchè consumavano più loro di tutti gli altri; i veri eroi furono il popolo e Messer Biagio di Montluc, già pieno di collera e di bizzarria (ce lo confessa lui stesso), talchè in Siena non si volea mandare perchè sarebbe stato fuoco contro fuoco; ma che invece si dimostrò tanto prode quanto prudente. Scrisse di aver lasciata la sua collera in Guascogna, e ch'era di quelli che non hanno in corpo retrobottega. Il fuoco contro fuoco si unì quindi in una fiamma d'insuperabile eroismo. Bravo tanto, che il Murat e il Ney lo avrebbero abbracciato come un babbo glorioso; eloquente, vivace, amava la gloria, le belle donne e il vin greco, ma sopratutto e prima di tutto il proprio dovere. Buono di cuore, del prediletto vin greco che, mentre era ammalato e quasi in fin di vita gli fu regalato da un cardinale, faceva larga parte alle Senesi incinte, contento di beversene ogni mattina un bicchierino, religiosamente, come si prende l'ipocrasso. Caricando di maledizioni quelli che mettono nell'impegno le genti dabbene, eppoi le piantano là, uscì di Siena coi patti ch'ei volle, e dopo avere assicurata la vita a' ribelli di Cosimo. Preferì che i Senesi capitolassero per lui, anzichè lui pe' Senesi. I Capitani spagnuoli correvano ad abbracciargli le gambe; in Roma la gente correva ad [168] ammirarlo sulle porte ed alle finestre, ed egli sentivasi allora vieppiù confortato ad acquistare onore, e, senza un quattrino, com'egli si esprime, sentiva di essere il più ricco signore della Francia.

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