VII.

In questa guerra, che fu la più atroce e l'ultima che desolasse la Toscana, e della quale la Maremma serba ancora le squallide vestigia ed i paurosi ricordi, si erano ravvivati ed accumulati il furore e gli odii fra i due comuni rivali, Siena e Firenze, che dalle nebbie del più folto medio evo erano durati e cresciuti via via, funestando di ruine e di sangue le campagne irrigate dall'Arno, dall'Elsa e dall'Arbia fatale. Con questa guerra il nuovo principato accentratore dava la battaglia suprema al Comune mediovale, che lanciava l'ultima protesta, l'ultimo grido delle sue più fiere passioni, e de' suoi più ardenti entusiasmi; da un lembo glorioso della Toscana si alzavano una speranza, un lungo anelito d'indipendenza contro l'incombente predominio spagnuolo, il peggiore di tutti nella povera Italia! Questa guerra fu l'ultimo tempestoso tramonto dello splendido giorno de' Comuni toscani che formano, nonostante i loro terribili contrasti, una delle più belle armonie della storia. Anzi la nostra storia, la nostra civiltà è così ricca e varia perchè risulta da più civiltà, perchè ogni nostro principale comune ebbe una sua propria fisonomia, un suo proprio e completo organismo, un suo peculiare e completo incivilimento, lettere, arti, politica, costumi, legislazione e perfino superstizioni e pregiudizi propri, quasi alla pari di uno de' più grandi stati e delle più importanti nazioni. Siena fu tra i Comuni ch'ebbero fisonomia più [169] spiccata, singolare, risentita; vita più completa, originale, tenace. Solamente le repubbliche di Lucca, di Genova, di Venezia e di San Marino durarono più a lungo. Fu tra i Comuni che formarono un elemento essenziale, un'aspirazione, un palpito vigoroso dell'animo e della vita d'Italia. Ebbero i Comuni, ebbe Siena gravissime colpe; peccato supremo la discordia; ma qual fu nel medio evo il feudo, il regno, l'impero, il duca, margravio o barone che non odiò, non uccise, non funestò terre e vassalli col diritto del pugno, colle gare e le ribellioni implacabili? Ma qual è il regno, il ducato ch'ebbe operosità e commerci più floridi, sorriso così divino di arti e di studi, provvedimenti legislativi ed economici molto più liberali e più saggi? La partigianeria, o Signori, non è sempre vizio peculiare delle nostre repubbliche; mentre la cultura e la potenza economica e commerciale fu loro gloria peculiarissima. Non compresero la vera libertà? ma i principi forse la intesero? e chi la intese allora degnamente? Per quanto cieca e partigiana, quella libertà segnava ad ogni modo un progresso; mentre il principato co' suoi livelli e colla sua disciplina, preparando indirettamente la unione, pure non di rado illanguidì, sfibrò i caratteri, e ne tarpò sì bene le ali che dalla Toscana del Ferrucci e dei Senesi dell'assedio si degenera a quella di Cosimo III, di Gian Gastone, dei Ruspandi e di Stenterello! Non è preferibile il Mediterraneo volubile, capriccioso, colle sue brezze riparatrici, colle sue libecciate furibonde, che lo solcano di striscie candide e frementi di spuma, ad un lago, al padule di Bientina e di Massaciuccoli, calmo, uniforme, colla sua quiete sonnolenta ed i suoi pesanti vapori? Torno alla tetra e grande poesia dell'assedio che sembra velare anche oggi di fosca malinconia le antiche mura di Siena, le sue vie, la sua torre comunale che sfida impavida il tempo e i terremoti, come già sfidava le ingiurie nemiche.

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