III.

Questo carattere di nuovità, stavo per dire di modernismo, che distingue la Gerusalemme da tutti i poemi del secolo XVI, apparisce distintamente anche in certe situazioni, in certe pitture, in certe trovate poetiche, talora anche in singoli versi. Vi citerò qualche esempio. Sofronia, a incoraggiare e confortare nell'imminente supplizio l'amante, gli dice:

Mira il Ciel com'è bello - e mira il Sole

Che a sè par che ne inviti e ci console!

E questi versi su l'infanzia e l'adolescenza di Rinaldo:

Lui nella riva d'Adige produsse

A Bertoldo Sofia - Sofia la bella

A Bertoldo il possente; e pria che fusse

Tolto quasi il bambin dalla mammella,

Matelda il volse e nutricollo e instrusse

Nell'arti regie, e sempre ei fu con ella;

Finchè invaghì la giovinetta mente

La tromba che s'udia dall'Oriente.

La improvvisa apparizione di Clorinda! Un colpo di lancia le ha fatto balzar via di testa l'elmo,

E le chiome dorate al vento sparse

Giovine donna in mezzo al campo apparse.

Gli occhi della voluttuosa Armida, nella ebbrezza delle carezze; due versi maravigliosamente moderni:

Qual raggio in onda, le scintilla un riso

Negli umidi occhi tremulo e lascivo.

[249]

La innamorata Erminia, in una splendida notte, al lume della luna, contempla dall'alto il campo cristiano, ed esclama:

O belle agli occhi miei tende latine,

Aura spira da voi che mi ricrea!

E la stanza ineffabilmente tenera e molle, dolce come note di flauto, in cui è descritto il destarsi di Erminia, di prima mattina, nell'albergo pastorale:

Non si destò finchè garrir gli augelli

Non sentì lieti e salutar gli albori,

E mormorare il fiume e gli arboscelli,

E con l'onde scherzar l'aura e co' fiori.

Apre i languidi lumi, e guarda quelli

Alberghi solitarii de' pastori,

E parle voce udir fra l'acqua e i rami

Che ai sospiri ed al pianto la richiami.

Rinaldo prima di affrontar la impresa del bosco incantato, confessatosi a Pier l'Eremita, va solo, di prima mattina, sul monte Oliveto, pensoso in un pio raccoglimento. Qui abbiamo accenti, sentimenti, descrizioni che sono di un'assoluta novità nella poesia italiana del secolo XVI. Sentite.

Era nella stagion ch'anco non cede

Libero ogni confin la notte al giorno;

Ma l'Orïente rosseggiar si vede,

Ed anco è il ciel di qualche stella adorno:

Quando ei drizzò ver l'Oliveto il piede,

Con li occhi alzati contemplando intorno

Quinci notturne e quindi mattutine

Bellezze incorruttibili e divine.

. . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . Alle più eccelse cime

Ascese - e quivi, inchino e riverente,

Alzò il pensier sopra ogni ciel sublime,

E le luci fissò nell'Oriente.

[250]

Quattro mirabili versi, di sentimento così essenzialmente cristiano, che potrebbero leggersi in Dante, ma che sarebbero impossibili nell'Ariosto e altri poeti del Rinascimento.

. . . . Pregava - e gli sorgeva a fronte

Fatta già d'oro, la vermiglia Aurora,

Che l'elmo e l'armi, e intorno a lui del monte

Le verdi cime illuminando indora;

E ventilar nel petto e nella fronte

Sentia gli spirti di piacevol ôra.

. . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . .

La rugiada del Ciel su le sue spoglie

Cade, che parean cenere al colore;

E sì le asperge chè il pallor ne toglie

E induce in esse un lucido candore:

Tal rabbellisce le smarrite foglie

Ai mattutini geli arido fiore.

. . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . .

Il bel candor della mutata vesta

Egli medesmo riguardando ammira:

Poscia, verso l'antica alta foresta

Con secura baldanza i passi gira.

Il sentimento religioso e intimamente umano che compenetra tutta la Gerusalemme, ha il suo punto culminante nella morte di Clorinda. Il pathos di quella situazione è irresistibile. L'amante che inconscio uccide la donna amata, e in quel supremo momento di conoscenza, di conversione, di perdono, di amore e di morte, la battezza con quella stessa mano che l'ha uccisa - è una delle scene più drammatiche che sia venuta in mente a un poeta. Il plastico vi è fuso col sentimentale; il realistico col soprannaturale cristiano. Alla fine siamo rapiti in un mondo che trascende l'immaginazione, e ci pare naturalissimo che

[251]

. . . . . . . . in lei converso

Sembri per la pietade il Cielo e il Sole.

E che versi meravigliosi! Ai contemporanei dovettero parere note di un altro mondo.…

Poco quindi lontan, nel sen del monte,

Scaturia mormorando un picciol rio.

Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte.

E tornò mesto al grande ufficio e pio.

Tremar sentì la man, mentre la fronte

Non conosciuta ancor, sciolse e scoprìo.

La vide, e la conobbe; e restò senza

E voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

. . . . . . . . . . . . . . . .

Mentr'egli il suon dei sacri detti sciolse,

Colei di gioia trasmutossi, e rise:

E in atto di morir lieto e vivace,

Dir parea: S'apre il Cielo - io vado in pace.

D'un bel pallore ha il bianco volto asperso

Come a gigli sarian miste vïole:

E gli occhi al Cielo affisa; e in lei converso

Sembra per la pietade il Cielo e il Sole:

E la man nuda e fredda alzando verso

Il cavaliero, in vece di parole,

Gli dà pegno di pace. In questa forma,

Passa la bella donna - e par che dorma.

E com'è compreso e affascinato il poeta dal suo soggetto! Come si sente che vive della vita dei suoi personaggi! All'opposto di Sakespeare, Ariosto e Goethe, che stanno al di fuori della loro opera, e foggiano le loro creazioni con mani ardenti ma con fronte tranquilla - il Tasso, come Dante e Schiller, si appassiona coi suoi cavalieri, con le sue donne. Rinaldo, Tancredi, Sveno, e anche Solimano ed Argante - Erminia, Gildippe, Clorinda ed Armida - son sangue del suo sangue, e anima [252] della sua anima. Il De Sanctis, e altri che gli han fatto eco, osservano che il Tasso, ingegno essenzialmente lirico e melodrammatico, riesce debole nella parte epica, nei caratteri epici. A me pare che il giudizio dell'insigne critico sia per lo meno un po' troppo assoluto. E nella Gerusalemme, e nelle Liriche e nelle stesse prose, e perfino in certe lettere, il Tasso conserva un carattere di epica gravità. Talvolta è anche troppo serio e solenne. Rileggete il terribile Canto IX, e poi ditemi se Solimano non vi pare creazione epica e grande carattere! E Argante? Sarà a momenti un po' troppo selvaggio e millantatore, ma nell'ultima ora è epicamente sublime. Ricordate le malinconiche solenni parole a Tancredi, prima del duello mortale?

S'incamminano soli al luogo del combattimento. Argante è taciturno e pensoso. Tancredi gli dice:

Or qual pensier t'ha preso?

Pensi ch'è giunta l'ora a te prescritta?

E Argante:

Penso, rispose, alla città del regno

Di Giudea antichissima regina

Che vinta or cade; e indarno esser sostegno

Io procurai della fatal ruina!

Com'è grande, nobile, ed epico!

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