Questo carattere di nuovità, stavo per dire di modernismo, che distingue la Gerusalemme da tutti i poemi del secolo XVI, apparisce distintamente anche in certe situazioni, in certe pitture, in certe trovate poetiche, talora anche in singoli versi. Vi citerò qualche esempio. Sofronia, a incoraggiare e confortare nell'imminente supplizio l'amante, gli dice:
Mira il Ciel com'è bello - e mira il Sole
Che a sè par che ne inviti e ci console!
E questi versi su l'infanzia e l'adolescenza di Rinaldo:
Lui nella riva d'Adige produsse
A Bertoldo Sofia - Sofia la bella
A Bertoldo il possente; e pria che fusse
Tolto quasi il bambin dalla mammella,
Matelda il volse e nutricollo e instrusse
Nell'arti regie, e sempre ei fu con ella;
Finchè invaghì la giovinetta mente
La tromba che s'udia dall'Oriente.
La improvvisa apparizione di Clorinda! Un colpo di lancia le ha fatto balzar via di testa l'elmo,
E le chiome dorate al vento sparse
Giovine donna in mezzo al campo apparse.
Gli occhi della voluttuosa Armida, nella ebbrezza delle carezze; due versi maravigliosamente moderni:
Qual raggio in onda, le scintilla un riso
Negli umidi occhi tremulo e lascivo.
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La innamorata Erminia, in una splendida notte, al lume della luna, contempla dall'alto il campo cristiano, ed esclama:
O belle agli occhi miei tende latine,
Aura spira da voi che mi ricrea!
E la stanza ineffabilmente tenera e molle, dolce come note di flauto, in cui è descritto il destarsi di Erminia, di prima mattina, nell'albergo pastorale:
Non si destò finchè garrir gli augelli
Non sentì lieti e salutar gli albori,
E mormorare il fiume e gli arboscelli,
E con l'onde scherzar l'aura e co' fiori.
Apre i languidi lumi, e guarda quelli
Alberghi solitarii de' pastori,
E parle voce udir fra l'acqua e i rami
Che ai sospiri ed al pianto la richiami.
Rinaldo prima di affrontar la impresa del bosco incantato, confessatosi a Pier l'Eremita, va solo, di prima mattina, sul monte Oliveto, pensoso in un pio raccoglimento. Qui abbiamo accenti, sentimenti, descrizioni che sono di un'assoluta novità nella poesia italiana del secolo XVI. Sentite.
Era nella stagion ch'anco non cede
Libero ogni confin la notte al giorno;
Ma l'Orïente rosseggiar si vede,
Ed anco è il ciel di qualche stella adorno:
Quando ei drizzò ver l'Oliveto il piede,
Con li occhi alzati contemplando intorno
Quinci notturne e quindi mattutine
Bellezze incorruttibili e divine.
. . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . Alle più eccelse cime
Ascese - e quivi, inchino e riverente,
Alzò il pensier sopra ogni ciel sublime,
E le luci fissò nell'Oriente.
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Quattro mirabili versi, di sentimento così essenzialmente cristiano, che potrebbero leggersi in Dante, ma che sarebbero impossibili nell'Ariosto e altri poeti del Rinascimento.
. . . . Pregava - e gli sorgeva a fronte
Fatta già d'oro, la vermiglia Aurora,
Che l'elmo e l'armi, e intorno a lui del monte
Le verdi cime illuminando indora;
E ventilar nel petto e nella fronte
Sentia gli spirti di piacevol ôra.
. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . .
La rugiada del Ciel su le sue spoglie
Cade, che parean cenere al colore;
E sì le asperge chè il pallor ne toglie
E induce in esse un lucido candore:
Tal rabbellisce le smarrite foglie
Ai mattutini geli arido fiore.
. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . .
Il bel candor della mutata vesta
Egli medesmo riguardando ammira:
Poscia, verso l'antica alta foresta
Con secura baldanza i passi gira.
Il sentimento religioso e intimamente umano che compenetra tutta la Gerusalemme, ha il suo punto culminante nella morte di Clorinda. Il pathos di quella situazione è irresistibile. L'amante che inconscio uccide la donna amata, e in quel supremo momento di conoscenza, di conversione, di perdono, di amore e di morte, la battezza con quella stessa mano che l'ha uccisa - è una delle scene più drammatiche che sia venuta in mente a un poeta. Il plastico vi è fuso col sentimentale; il realistico col soprannaturale cristiano. Alla fine siamo rapiti in un mondo che trascende l'immaginazione, e ci pare naturalissimo che
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. . . . . . . . in lei converso
Sembri per la pietade il Cielo e il Sole.
E che versi meravigliosi! Ai contemporanei dovettero parere note di un altro mondo.…
Poco quindi lontan, nel sen del monte,
Scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte.
E tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte
Non conosciuta ancor, sciolse e scoprìo.
La vide, e la conobbe; e restò senza
E voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
. . . . . . . . . . . . . . . .
Mentr'egli il suon dei sacri detti sciolse,
Colei di gioia trasmutossi, e rise:
E in atto di morir lieto e vivace,
Dir parea: S'apre il Cielo - io vado in pace.
D'un bel pallore ha il bianco volto asperso
Come a gigli sarian miste vïole:
E gli occhi al Cielo affisa; e in lei converso
Sembra per la pietade il Cielo e il Sole:
E la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole,
Gli dà pegno di pace. In questa forma,
Passa la bella donna - e par che dorma.
E com'è compreso e affascinato il poeta dal suo soggetto! Come si sente che vive della vita dei suoi personaggi! All'opposto di Sakespeare, Ariosto e Goethe, che stanno al di fuori della loro opera, e foggiano le loro creazioni con mani ardenti ma con fronte tranquilla - il Tasso, come Dante e Schiller, si appassiona coi suoi cavalieri, con le sue donne. Rinaldo, Tancredi, Sveno, e anche Solimano ed Argante - Erminia, Gildippe, Clorinda ed Armida - son sangue del suo sangue, e anima [252] della sua anima. Il De Sanctis, e altri che gli han fatto eco, osservano che il Tasso, ingegno essenzialmente lirico e melodrammatico, riesce debole nella parte epica, nei caratteri epici. A me pare che il giudizio dell'insigne critico sia per lo meno un po' troppo assoluto. E nella Gerusalemme, e nelle Liriche e nelle stesse prose, e perfino in certe lettere, il Tasso conserva un carattere di epica gravità. Talvolta è anche troppo serio e solenne. Rileggete il terribile Canto IX, e poi ditemi se Solimano non vi pare creazione epica e grande carattere! E Argante? Sarà a momenti un po' troppo selvaggio e millantatore, ma nell'ultima ora è epicamente sublime. Ricordate le malinconiche solenni parole a Tancredi, prima del duello mortale?
S'incamminano soli al luogo del combattimento. Argante è taciturno e pensoso. Tancredi gli dice:
Or qual pensier t'ha preso?
Pensi ch'è giunta l'ora a te prescritta?
E Argante:
Penso, rispose, alla città del regno
Di Giudea antichissima regina
Che vinta or cade; e indarno esser sostegno
Io procurai della fatal ruina!
Com'è grande, nobile, ed epico!