II.

Esaminando le opere dei principali lirici del Quattrocento, vediamo che la poesia idillica è la predominante: poi vien quella amorosa, sensuale o elegiaca: poi la popolare, sacra o profana. Vediamo che il Pulci nella sua stravagante e possente fantasia pare un'eco medievole in mezzo al Rinascimento - che il Poliziano è il più essenzialmente greco-latino, e il più artista - che il Magnifico ha più di tutti il senso della realtà, e il Boiardo quello della poesia e della bellezza. In tutti c'è, più o meno, l'intendimento e l'attitudine a rappresentare nel verso la natura esteriore. Sotto un certo aspetto, son tutti poeti naturalisti: ma il metodo descrittivo varia nei diversi poeti. Lorenzo, come in pittura il Ghirlandaio, trascrive la immagine esteriore delle cose, con una grafica precisione. Il Boiardo e il Poliziano, vedono nella figura esteriore qualche altra cosa; e, come il Botticelli, sono immaginosi più che drammatici.

In tutti però, eccetto Lorenzo de' Medici, l'osservazione della natura è piuttosto limitata. Al lettore moderno, che ha letto Rousseau e Goethe, Wordsworth e Shelley, Lamartine e Giorgio Sand, Tennyson e Victor Ugo, pare che quei lirici del Quattrocento non abbian visto che la primavera tra le stagioni, le rose e le viole tra i fiori, e il rosignolo tra gli uccelli. Somigliano un [180] po' a certi lirici tedeschi, i cui Lieder son composti con un limitatissimo e monotono dizionario poetico: cielo, luna, aprile, sorriso, vergine, rose, gigli, rosignoli, amore e dolore.... Ma la nota monotona, insistente come il ritornello d'un merlo, è sempre la Primavera. Talchè, leggendoli, alla lunga ci prende un desiderio, una simpatia, una voglia irresistibile di un po' di pioggia, di neve e di tramontana....

Il vero realista è Lorenzo. Esso il primo interrompe la convenzionale tradizionale ottimista nelle pitture rurali. Ha visto il grano e le rose, ma anche le ortiche ed il concio - le ghirlandette e i pruneti - i rispetti e le serenate, e il sudiciume e la fame.

Nel suo delizioso poemetto, L'Ambra, la piena del fiume è descritta nei più realistici e dolorosi particolari.

Appena è stata a tempo la villana

Pavida a aprire alle bestie la stalla.

Porta il figlio che piange nella zana.

Segue la figlia grande, ed ha la spalla

Grave di panni vili, lino e lana:

Va l'altra vecchia masserizia a galla,

Nuotano spaventati i porci e i buoi....

Non pare staccato da una pagina della Terre di Emilio Zola? E com'è schiettamente contadinesco il Canto d'amore la Nencia da Barberino! Immagini e favola, tutto è perfettamente rusticano e fiorentino.

Non vidi mai fanciulla tanto onesta,

Nè tanto saviamente rilevata:

Non vidi mai la più pulita testa,

Nè sì lucente nè sì ben quadrata.

Ell'ha due occhi che pare una festa

Quand'ella li alza, e che ella ti guata:

E in quel mezzo ha il naso tanto bello

Che par proprio bucato col succhiello.

[181]

E che efficacia di rappresentazione nei suoi Canti Carnascialeschi! Sia nei Mitologici, come le Parche, Bacco e Arianna, il Trionfo d'Amore; sia nelle Mascherate dei Mestieri, come i Cialdonai, le Filatrici d'oro, i Calzolai.... In moltissimi il doppio senso è lubrico, spesso addirittura osceno, quale sarà più tardi in certi Capitoli del Berni, dei Bernieschi, e dell'Aretino - talvolta è velato da una maliziosa ironia, come nel Carro delle Mogli giovani e dei Mariti vecchi.

I Vecchi. - Deh? vogliateci un po' dire

Qual cagion vi fe' partire,

D'aver preso altro amadore

Vi farem tutte pentire.

Le Mogli. - Deh, andatene al malanno,

Vecchi pazzi rimbambiti!

Non ci date più affanno!...

Contentiam nostri appetiti.

Questi giovani puliti

Ci dann'altro che vestire....

E che movimento bacchico, che allegra spensieratezza pagana, che gioconda esultanza di ritmo, nel Trionfo di Bacco e Arianna!

Donne e giovinetti amanti,

Viva Bacco e viva Amore!

Ciascun suoni, balli e canti!

Arda di dolcezza il cuore!

Non fatica, non dolore!

Quel c'ha a esser, convien sia,

Chi vuol esser lieto, sia;

Di doman non v'è certezza.

Quant'è bella giovinezza

Che si fugge tuttavia.

La figura di Sileno in questo medesimo Canto ha tanto rilievo, che par gettata in bronzo dal Pollaiolo.

[182]

Questa soma che vien dreto

Sopra un asino, è Sileno:

Così vecchio, è ebbro e lieto,

Già di carne e d'anni pieno.

Se non può star ritto, almeno

Ride, e gode tuttavia....

Chi vuol esser lieto, sia:

Di doman non v'è certezza.

Lo stesso Lorenzo scriveva poi Laudi e Sacre Rappresentazioni. Spesso, una medesima aria serviva a una Lauda divota, come Crocifisso a capo chino, - e a una lasciva Canzonetta, come Una donna d'amor fino. Lorenzo è un gran dilettante, pel quale tutti i motivi poetici sono buoni - e passa con intrepida disinvoltura dal Canto sacro della Mater dolorosa, al Canto carnescialesco dei Bericuocolai.

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