III.

Come poeta, credo che la sostanza, la vera eccellenza del suo ingegno, consista nel suo realismo. Qui sta la sua originalità, e l'attrattiva che esercita sul lettore moderno. È anch'egli un impressionista (dei buoni) che trova sempre il modo di dar forma artistica - più o meno felice, ma sempre fresca e schietta - a tutto ciò che colpisce il suo occhio, la sua fantasia, il suo sentimento. Invece di Venere o di Lucina, canta la Nenciozza, - invece di figurarsi Cipro e Delo, dipinge dal vero Careggi e il Mugello, - invece degli Auguri o delle Sibille, ritrae i Beoni e i Cialdonai. Non ha nulla dell'accademicismo del Sannazzaro, o della estetica del Poliziano. È spesso rude e scorretto - ma è il più vicino alla natura; e ha un sentimento della campagna così vivo e diretto, che in tutta la storia letteraria dell'Europa [183] (fatte le debite differenze di epoca, di nazione e di carattere) non trovo da paragonargli che Roberto Burns.

Invece, il mondo poetico del Poliziano è un riflesso di Teocrito, di Virgilio, di Ovidio, di Stazio, del Petrarca: ma la sua immaginazione trasforma, trasfigura ciò che raccoglie, in modo così felice, che ci apparisce quasi come una nuova creazione. Egli mette nelle sue reminiscenze classiche l'entusiasmo dell'umanista - e dà moto, vita e passione, ai più freddi fantasmi mitologici. Egli canta Venere e Diana, con l'ardore con cui Swinburne ha cantato oggi Federa e Atalanta.

Di più: come il Boiardo, egli è un insigne decoratore: ha il senso squisito della ornamentazione: la sua tavolozza di colori è maravigliosa. Chi non ricorda il ritratto della Simonetta, il quale è appena inferiore per colorito, e supera, per grazia, quello d'Alcina? Chi non sa a mente certi suoi versi deliziosi, come:

Ridele attorno tutta la foresta.

L'erba di sua bellezza ha maraviglia,

Gialla, cilestra, candida e vermiglia.

e le fragranti strofe della ballata Il giardino delle rose?

Dove poi il Poliziano ha note intense di vera poesia è nei Rispetti. Eccone uno, sensuale e delicato ad un tempo:

So' innamorato d'una rosa rossa,

E il giorno non mi so da lei partire.

Quando ci passo il suo bel petto mostra,

Ed è sì bianco, che mi fa morire.

E che dolore passionato in quest'altro!

Ti vengo a rivedere anima mia,

E vengoti a vedere alla tua casa:

Pongomi inginocchioni in su la via.

Bacio la terra dove sei passata!

Bacio la terra ed abbraccio il terreno:

Se non m'aiuti, bella, i' vengo meno.

[184]

Dal Poliziano al Rückert, dal Dall'Ongaro alla Robinson, quanti poeti hanno imitato i Rispetti e gli Strambotti Toscani!

Ma non credo che nessuno di questi poeti abbia raggiunto l'altezza lirica di quattro versi, improvvisati in una serenata da un contadino della montagna di Pistoia, raccolti e editi dal Tommaseo:

Una fila di nuvole d'argento

Innamorate al lume della luna

Vengon per l'aria portate dal vento

A salutarti, o bella creatura!

Che larghezza di orizzonte, che movimento, e che luce nel verso meraviglioso

Vengon per l'aria portate dal vento!

È degno di Dante - e ricorda infatti la divina terzina:

Come nei plenilunii sereni,

Trivia ride fra le Ninfe eterne

Che dipingono il ciel per tutti i seni.

Il Poliziano ha cose eccellenti anche nelle canzonette popolari. In quella - Io vi vo' donne insegnare - Come voi dobbiate fare - vi sono strofe di lepida arguzia; per esempio:

Fate pur che 'ntorno a' letti

Non sien, donne, mai trovati

Vostre ampolle e bossoletti;

Ma teneteli serrati.

I capei, ben pettinati

. . . . . . . . .

State poi sempre pulite;

Io non dico già strebbiate.

Sempre il brutto ricuoprite,

[185]

Ricci e gale sempre usate.

Vuolsi ben che conosciate

Quel che al viso si conviene:

Chè tal cosa a te sta bene,

Che a quell'altra ne dispare.

Ingegnatevi star liete,

Con bei modi ed avvenenti:

Volentier sempre ridete,

Pur che abbiate netti i denti.

. . . . . . . . . . .

Imparate i giuochi tutti,

Carte e dadi, scacchi e tavole,

Perchè fanno di gran frutti,

Canzonette versi e favole.

Ho veduto certe diavole

Che pel canto paion belle:

Ho veduto anco di quelle

Che ognun l'ama per ballare.

Accanto al Poliziano, metterei il Boiardo; e, come pura immaginazione, forse gli è superiore - anzi, senza forse. È il più essenzialmente immaginoso di tutti i poeti del Rinascimento, non solo nell'Orlando, ma anche nelle Rime. In tutti gli altri poeti epici e romanzeschi, dal Poliziano e dal Pulci a Torquato Tasso, c'è qualche cosa di artificioso e di teatrale - vi sono echi delle feste di Mantova e di Firenze, di Roma e di Ferrara - meccanismi e macchine pirotecniche, come nelle feste per Alfonso d'Este, o in quelle di Boboli e Pratolino per Bianca Cappello. Il Boiardo invece vede tutto in un mondo magico e etereo - è il più orientale dei raccontatori - è il più indigeno abitatore della Faery-Land che sia mai esistito - anche più dell'Ariosto, e di Spenser stesso.

Come lirico, unisce alla fiorente immaginazione un vivissimo colorito. Certe sue poesie ricordano nel mondo letterario il Liebesfrühling di Rückert e il Buch der [186] Lieder di Heine - nel mondo artistico, le facciate smaglianti delle cattedrali di Orvieto e di Siena - e nel mondo naturale, un prato o un campo di maggio, quando tra l'erba alta e verdeggiante brillano fiori candidi e azzurri, e, come intensi e voluttuosi desideri, ardono tra 'l verde, i petali di seta e di fiamma dei rosolacci scarlatti. Ne prendo una tra cento:

Leggiadro veroncello, ov'è colei

Che di sua luce illuminar ti suole?

Ben vedo che il tuo danno a te non duole;

Ma quanto meco lamentar ti dei!

Senza la sua vaghezza, nulla sei.

Deserti i fiori e secche le viole,

Al veder nostro il giorno non ha sole,

La notte non ha stelle senza lei.

Pur mi ricordo ch'io ti vidi adorno,

Tra bianchi marmi e colorito fiore,

Da una ridente candida persona.

Al tuo balcone allor si stava Amore

C'or te soletto e misero abbandona,

Perchè a quella gentil respira intorno.

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