Come poeta, credo che la sostanza, la vera eccellenza del suo ingegno, consista nel suo realismo. Qui sta la sua originalità, e l'attrattiva che esercita sul lettore moderno. È anch'egli un impressionista (dei buoni) che trova sempre il modo di dar forma artistica - più o meno felice, ma sempre fresca e schietta - a tutto ciò che colpisce il suo occhio, la sua fantasia, il suo sentimento. Invece di Venere o di Lucina, canta la Nenciozza, - invece di figurarsi Cipro e Delo, dipinge dal vero Careggi e il Mugello, - invece degli Auguri o delle Sibille, ritrae i Beoni e i Cialdonai. Non ha nulla dell'accademicismo del Sannazzaro, o della estetica del Poliziano. È spesso rude e scorretto - ma è il più vicino alla natura; e ha un sentimento della campagna così vivo e diretto, che in tutta la storia letteraria dell'Europa [183] (fatte le debite differenze di epoca, di nazione e di carattere) non trovo da paragonargli che Roberto Burns.
Invece, il mondo poetico del Poliziano è un riflesso di Teocrito, di Virgilio, di Ovidio, di Stazio, del Petrarca: ma la sua immaginazione trasforma, trasfigura ciò che raccoglie, in modo così felice, che ci apparisce quasi come una nuova creazione. Egli mette nelle sue reminiscenze classiche l'entusiasmo dell'umanista - e dà moto, vita e passione, ai più freddi fantasmi mitologici. Egli canta Venere e Diana, con l'ardore con cui Swinburne ha cantato oggi Federa e Atalanta.
Di più: come il Boiardo, egli è un insigne decoratore: ha il senso squisito della ornamentazione: la sua tavolozza di colori è maravigliosa. Chi non ricorda il ritratto della Simonetta, il quale è appena inferiore per colorito, e supera, per grazia, quello d'Alcina? Chi non sa a mente certi suoi versi deliziosi, come:
Ridele attorno tutta la foresta.
L'erba di sua bellezza ha maraviglia,
Gialla, cilestra, candida e vermiglia.
e le fragranti strofe della ballata Il giardino delle rose?
Dove poi il Poliziano ha note intense di vera poesia è nei Rispetti. Eccone uno, sensuale e delicato ad un tempo:
So' innamorato d'una rosa rossa,
E il giorno non mi so da lei partire.
Quando ci passo il suo bel petto mostra,
Ed è sì bianco, che mi fa morire.
E che dolore passionato in quest'altro!
Ti vengo a rivedere anima mia,
E vengoti a vedere alla tua casa:
Pongomi inginocchioni in su la via.
Bacio la terra dove sei passata!
Bacio la terra ed abbraccio il terreno:
Se non m'aiuti, bella, i' vengo meno.
[184]
Dal Poliziano al Rückert, dal Dall'Ongaro alla Robinson, quanti poeti hanno imitato i Rispetti e gli Strambotti Toscani!
Ma non credo che nessuno di questi poeti abbia raggiunto l'altezza lirica di quattro versi, improvvisati in una serenata da un contadino della montagna di Pistoia, raccolti e editi dal Tommaseo:
Una fila di nuvole d'argento
Innamorate al lume della luna
Vengon per l'aria portate dal vento
A salutarti, o bella creatura!
Che larghezza di orizzonte, che movimento, e che luce nel verso meraviglioso
Vengon per l'aria portate dal vento!
È degno di Dante - e ricorda infatti la divina terzina:
Come nei plenilunii sereni,
Trivia ride fra le Ninfe eterne
Che dipingono il ciel per tutti i seni.
Il Poliziano ha cose eccellenti anche nelle canzonette popolari. In quella - Io vi vo' donne insegnare - Come voi dobbiate fare - vi sono strofe di lepida arguzia; per esempio:
Fate pur che 'ntorno a' letti
Non sien, donne, mai trovati
Vostre ampolle e bossoletti;
Ma teneteli serrati.
I capei, ben pettinati
. . . . . . . . .
State poi sempre pulite;
Io non dico già strebbiate.
Sempre il brutto ricuoprite,
[185]
Ricci e gale sempre usate.
Vuolsi ben che conosciate
Quel che al viso si conviene:
Chè tal cosa a te sta bene,
Che a quell'altra ne dispare.
Ingegnatevi star liete,
Con bei modi ed avvenenti:
Volentier sempre ridete,
Pur che abbiate netti i denti.
. . . . . . . . . . .
Imparate i giuochi tutti,
Carte e dadi, scacchi e tavole,
Perchè fanno di gran frutti,
Canzonette versi e favole.
Ho veduto certe diavole
Che pel canto paion belle:
Ho veduto anco di quelle
Che ognun l'ama per ballare.
Accanto al Poliziano, metterei il Boiardo; e, come pura immaginazione, forse gli è superiore - anzi, senza forse. È il più essenzialmente immaginoso di tutti i poeti del Rinascimento, non solo nell'Orlando, ma anche nelle Rime. In tutti gli altri poeti epici e romanzeschi, dal Poliziano e dal Pulci a Torquato Tasso, c'è qualche cosa di artificioso e di teatrale - vi sono echi delle feste di Mantova e di Firenze, di Roma e di Ferrara - meccanismi e macchine pirotecniche, come nelle feste per Alfonso d'Este, o in quelle di Boboli e Pratolino per Bianca Cappello. Il Boiardo invece vede tutto in un mondo magico e etereo - è il più orientale dei raccontatori - è il più indigeno abitatore della Faery-Land che sia mai esistito - anche più dell'Ariosto, e di Spenser stesso.
Come lirico, unisce alla fiorente immaginazione un vivissimo colorito. Certe sue poesie ricordano nel mondo letterario il Liebesfrühling di Rückert e il Buch der [186] Lieder di Heine - nel mondo artistico, le facciate smaglianti delle cattedrali di Orvieto e di Siena - e nel mondo naturale, un prato o un campo di maggio, quando tra l'erba alta e verdeggiante brillano fiori candidi e azzurri, e, come intensi e voluttuosi desideri, ardono tra 'l verde, i petali di seta e di fiamma dei rosolacci scarlatti. Ne prendo una tra cento:
Leggiadro veroncello, ov'è colei
Che di sua luce illuminar ti suole?
Ben vedo che il tuo danno a te non duole;
Ma quanto meco lamentar ti dei!
Senza la sua vaghezza, nulla sei.
Deserti i fiori e secche le viole,
Al veder nostro il giorno non ha sole,
La notte non ha stelle senza lei.
Pur mi ricordo ch'io ti vidi adorno,
Tra bianchi marmi e colorito fiore,
Da una ridente candida persona.
Al tuo balcone allor si stava Amore
C'or te soletto e misero abbandona,
Perchè a quella gentil respira intorno.