VI.

Il Savonarola è una grande anima, e un vero poeta - ma è più gran poeta in molte sue prediche, che nelle vere e proprie Poesie. Nonostante, anche in queste, benchè scorrette, neglette di forma, circola un'aura, un soffio potente, come un'eco ancor calda delle sue ardenti perorazioni, delle sue tragiche visioni, delle sue formidabili apostrofi: ma talvolta, e non di rado, vi son note semplici, fresche, quasi festose, come in questi versi sul Natale, che sembran preludere nella loro ingenuità ai due inni immortali del Milton e del Manzoni.

Venite, Angeli santi.

E venite suonando;

Venite tutti quanti

Gesù Cristo laudando,

E gloria cantando

Con dolce melodia;

Ecco il Messia - ecco il Messia

E la madre Maria.

Venitene, Profeti

Che avete profetato,

Venite tutti lieti;

Vedete ch'egli è nato,

Il picciolin Messia!

Pastor pien di ventura,

Che state voi a vegghiare?

Non abbiate paura;

Sentite voi cantare?

Correte ad adorare

Gesù con mente pia.

I Magi son venuti

Dalla stella guidati,

Con lor ricchi tributi.

[196]

In terra inginocchiati.

Quanto son consolati

Adorando il Messia!

Altre volte, nell'ardore della preghiera, ha qualche cosa di petrarchesco come in questa strofa:

Apri, Signore, il tuo celeste fonte;

Quella tua dolce vena

Che Maria Maddalena

Trasse di basso loco all'alto monte,

Con l'anima serena

Piena di raggi e di splendor divino.

Pietà, Signor, di questo peregrino!

Amor giovine, deplorò le umane rovine della Chiesa e le morali rovine del Mondo, con versi potenti. La Chiesa di Cristo,

Povera va con membra discoverte,

I capei sparsi e rotte le ghirlande:

Scorpio la punge ed angue la perverte.

E così va per terra

La coronata, e le sue sante mani....

Bestemmiata dai cani

Che van truffando sabbati e calende....

Le Poesie sacre del Savonarola, a differenza di quelle di Feo Belcari e del Benivieni, accennano o confermano il concetto d'una Riforma Cattolica, già prenunziata da Dante. E in alcune strofe si mostra anche artista. Nonostante il falò delle vanità, nel quale è a deplorarsi l'eccesso che pur vi fu, egli aveva vivo il sentimento dell'Arte. Fondò una scuola di pittura nel suo stesso Convento, ove lavorò Fra Bartolomeo, fu agli artisti e ai letterati consigliere e ispiratore, fu intimo amico di Pico della Mirandola e inaugurò con lui gli studi ebraici e orientali - e il genio dei Profeti e di Dante che era in [197] lui, lo comunicò a Michelangiolo, e palpita ancora immortale alla volta e alle pareti della Sistina. Non facciamo dunque del grande oratore e del grande riformatore, un Erostrato selvaggio e un frate ignorante.

Egli fu in Italia la più gran coscienza morale del secolo XV, come Dante lo era stato del XIV, e come Michelangiolo lo fu del XVI. L'ardore con cui il santo monaco fuse insieme i sentimenti di patriottismo e di morale nel popolo di Firenze, non si spense con lui - e i suoi migliori effetti si videro rifulgere nel memorabile Assedio degli anni 1529-30. Il soffio vulcanico del grande oratore che ispirò il poema della Giustizia dipinto nella Sistina da Michelangelo, animò egualmente la tragedia della Libertà combattuta a Gavinana da Francesco Ferruccio.

La sua fede eccitava il suo entusiasmo, il suo entusiasmo faceva la sua forza. Nessuno, o Signori, è diventato martire per una opinione: la fede sola fa i martiri. Egli credeva e vedeva, e tuonava dal pergamo le sue visioni. Chiamatelo pure un fanatico. Era fanatico come Ezechiello, come Geremia, come Arnaldo, come Demostene, come Dante, come Mirabeau, come O'Connell - come tutti quelli che hanno comunicato l'elettricismo d'una parola di fuoco. Era un malato?... Forse. Ogni vera creazione produce uno spostamento, un disequilibrio. Se gli eroi, i martiri, i grandi poeti son tutti malati - consoliamoci - non c'è mai stata tanta salute come oggi, in Europa!

Le più ammirabili prediche del Savonarola, come ben nota l'illustre Villari nel suo classico libro, son quelle su i Salmi: e quella dove l'impeto lirico è sommo ed unico, dove il Savonarola è veramente poeta, e gran poeta, è la predica-visione dei flagelli d'Italia. Il Cielo stesso combatte; i Santi, gli Angeli spingono i barbari vendicatori. Son loro che li hanno chiamati, che hanno [198] messo le selle ai cavalli, e affilate le spade. E il diluvio degli stranieri, il gran gastigo italico, comincia. Dove andiamo? San Pietro grida: A Roma! a Roma! San Giovan Battista e Santo Antonino: a Firenze! E San Marco: là verso la città superba e voluttuosa, che inalza le sue cupole d'oro sovra le acque!

La impressione che riceviamo anche oggi, dopo quattro secoli, e alla semplice lettura, da questa predica, è solo paragonabile a ciò che proviamo al primo ingresso nella Cappella Sistina. Vi ricordate? Un fremito, un tumulto, corre sulle pareti. Non si sa dove riposare lo sguardo. Da tutte le parti, visi minacciosi, e pianti disperati. Ezechiello si volta impetuosamente, in furiosa disputa con un Angelo. Geremia appoggia l'enorme testa sulle mani, come schiacciato dal peso di tutti i dolori di Gerusalemme. La Libica si alza terribile, con in mano il gran libro dei fati. La Persica legge con occhi ardenti. Daniele scrive tremando. Qua, il tronco di Oloferne versa una fiumana di sangue; là, gli adoratori degli idoli si contorcono, ignudi, sotto i morsi dei serpenti divoratori. Madri spaventate urlano e fuggono, stringendo al seno i bambini. Un altro vede passare in uno specchio visioni così terribili, che indietreggia atterrito, e batte la spalla nella muraglia. Par di sentir ruggire di lontano il tuono della vendetta divina. La Giustizia e il Giudizio - riparatore e vendicatore - respirano da ogni angolo della tremenda Cappella.

In quegli anni tragici e sinistri di saccheggi e di incendi, di orgie e di tradimenti, Michelangelo, che doveva assistere ai funerali della libertà e dell'Italia, si ricordò soprattutto del Savonarola, e leggendo assiduamente i Profeti, Dante, e le Prediche e le Liriche del Ferrarese, dipinse i Profeti, e scolpì la Notte, la Notte d'Italia.

In una delle sue ultime prediche, il Savonarola, presago dello imminente martirio, disse queste parole: “O [199] Signore, io non tengo modi di cercar gloria umana. Io non voglio cappelli, nè mitrie piccole o grandi. Non chieggo se non quello che tu hai dato ai tuoi Santi - la morte. Un cappello rosso, un cappello di sangue, questo desidero.„

E l'ebbe. E prima, le agonie dell'infame processo, i dubbi e i terrori, la fune che gli slogò tutte l'ossa, le tenebre della segreta, le smanie e gli scoramenti, e i sudori di sangue dell'eterno Getsemani....

Fu allora che in un momento di tregua, in un'ora di grazia e di respiro, - fra la tortura e il rogo - compose un salmo sublime, che il Tommaseo ammirava tanto, e tradusse.

Eccone alcuni versetti:

Conoscerò dunque, fra poco, Voi, o mio Dio, conoscitore di me.

O mio consolatore, mostratevi a me finalmente;

Siatemi adiutore - non mi lasciate.

Perchè il padre e la madre mia mi lasciarono....

Ma il Signore misericordiosamente mi assunse.

Non mi date alle animosità di quei che mi tribolano,

Poichè insorsero contro me testimoni iniqui - e l'iniquità mentì a sè medesima.

Sospeso dal laccio infame sul rogo, e non ancor morto, il Savonarola potè forse vedere le mani impazienti e furiose del popolo, appressare le torce accese alla catasta già sparsa d'olio e bitume; mentre altre mani scagliavano una pioggia di sassi su quel volto tante volte illuminato dalla luce del genio e dalla santità della vita.

Ah! da quando insultò Socrate, e preferì ad alte grida Barabba a Gesù; al giorno in cui sputò in faccia a Bailly e imprecò a Madama Roland moritura - la plebe ingannata e pervertita, o abbandonata al cieco istinto bestiale, ha sempre applaudito all'eccidio dei suoi più insigni benefattori.

[200]

Share on Twitter Share on Facebook