VII.

Come il lato sofistico del Paganesimo era stato il consacrare la natura umana anche nella sua parte cattiva - il lato sofistico del Cristianesimo medievale fu di gettare un anatema troppo assoluto su la Natura, di vivere come lo Stilita sospesi tra il Cielo e la Terra, guardando a quello con estasi, a questa con un sacro terrore. Il centro della Idealità fu spostato nel Rinascimento; e al culto del Dolore spirituale, successe l'apoteosi della plastica Bellezza e della Euritmia. Ma tra le voci armoniose e pagane, dura anche nel Quattrocento qualche eco della grande, triste e patetica poesia del Cattolicismo. Oltre il Savonarola, vanno ricordati il Benivieni e il Belcari. Il primo essenzialmente lirico, drammatico e trovatore di patetiche situazioni, efficaci, nella loro ingenua espressione. Basti rammentare le parole d'Isacco al padre che sta per sacrificarlo.

Nella lirica satirica si distinsero il Cammelli e il Burchiello: ma il loro più gran merito consiste forse nella visibile influenza che ebbero sull'ammirabile genio del Berni.

Un soffio veramente lirico spira in alcuni canti epici del rude e possente poeta Luigi Pulci. La sua morte di Orlando è semplice, patetica, e tocca il sublime. E forse Alfredo Tennyson l'ebbe in mente, quando descrisse, negli Idilli del Re, la Morte di Arturo.

Nelle stanze narranti la catastrofe cavalleresca, Roncisvalle, e la morte del gran Paladino, è commisto in modo mirabile l'elemento lirico all'epico:

Così tutto serafico al ciel fisso

Una cosa parea trasfigurata,

E che parlasse col suo crocifisso....

[201]

Il cielo certo allor s'aperse....

E come nuvoletta che in su vada,

In exitu Israel, cantar, de Egipto

Sentito fu, dagli Angeli solenne

Chè si conobbe al tremolar le penne.

Poi si sentì. . . . . . . .

Certa armonia con sì soavi accenti,

Che ben parea d'angelici istrumenti.

Versi che certo rammentava l'Ariosto quando cantò con la magia che gli è propria:

E voci e suoni d'angeli concordi

Tosto in aria s'udîr che l'alma uscìo

La qual, disciolta dal corporeo velo,

Fra dolce melodia salì nel cielo.

Arriva Carlo Magno e benedice al morto Paladino e gli richiede la spada Durlindana.

Io benedico il dì che tu nascesti,

Io benedico la tua giovinezza.

Io benedico i tuoi concetti onesti,

Io benedico la tua gran prodezza.

E se tu hai di me nel ciel mercede,

Come solevi al mondo, alma diletta,

Rendimi se Dio tanto ti concede,

Ridendo, quella spada benedetta.

. . . . . . . . . . . . . .

Come a Dio piacque, intese le parole,

Orlando, sorridendo, in piè rizzossi;

Con quella reverenza che far suole,

E innanzi al suo Signore inginocchiossi,

E poi distese, ridendo, la mana,

E resegli la spada Durlindana.

. . . . . . . . . . . . . .

Carlo tremar si sentì tutto quanto

Per maraviglia e per affezione,

E a fatica la strinse col guanto....

[202]

Ma il personaggio più magneticamente poetico del Quattrocento, quello la cui vita è una vera lirica di bellezza, di aspirazioni e di entusiasmi, è Pico della Mirandola: e non vi dispiaccia, o Signori, che io concluda col suo simpatico nome, questi miei rapidi cenni su la poesia del Quattrocento.

Marsilio Ficino ci ha narrato come lo vide la prima volta in Firenze. Era il 1480, l'anno in cui il Ficino aveva compiuto la sua grande opera, la traduzione di Platone. Una bella giornata di settembre, verso l'ora del tramonto, il dotto ellenista meditava nel suo studio. La lampada votiva che egli teneva accesa dinanzi al busto di Platone brillava vivace nella languente luce vespertina. Entrò un giovane alto e bello, dagli occhi grigio-cerulei, dai capelli di un biondo acceso, scendentigli sulle spalle sotto un berretto di velluto nero: vestiva una cotta di raso violaceo, listato d'argento: aveva al collo la collana d'oro di Principe. Era Giovanni Pico della Mirandola.

Parlarono di filosofia - di Platone, naturalmente. E il giovine Principe suggerì al vecchio filosofo di tradurre Plotino, il mistico panteista dell'Antichità. Parlò dell'Oriente; il mio Oriente, diceva, l'alma mater d'ogni scienza e poesia. Parlò della Bibbia e del Cristianesimo, di un Cristianesimo eterno, indistruttibile, conciliabile col Platonismo. Parlò dell'Uomo, che è un piccolo Mondo, una sintesi portentosa e divina, “dov'è, diceva, l'essenza angelica e il senso del bruto, e la vegetale anima delle piante, e il fuoco e il mercurio„. Disse al Ficino di un Commento che intendeva fare alla Canzone del Benivieni su l'Amor divino: e ne discorse con una stupenda profusione di immagini colorite e poetiche, prese dall'Astrologia, e dalla Cabala, da Salomone e da Omero.

E la notte calava sulle grandi vetrate dello studio, e [203] la lampada votiva illuminava il marmoreo volto di Platone e i capelli d'oro di Pico.

Era allora poco più che ventenne: ma avea già provato le tempeste della passione e n'era restato disilluso, e abitualmente un po' mesto.

Aveva scritto molti versi d'amore, e gli aveva, un giorno, tutti bruciati. (Grande e raccomandabilissimo esempio!...) Aveva viaggiato, visto uomini e cose. Veniva ora a Firenze, attratto dalla fama del Magnifico Lorenzo, e dall'amicizia per il Ficino.

Una bellissima bruna, una ardente Savonaroliana, soprannominata la profetessa, Camilla Rucellai, s'innamorò perdutamente di lui.... ma non fu corrisposta. La irrequieta curiosità teologica e scientifica, la triste sazietà dei piaceri, preservarono Pico da nuove passioni. La Rucellai gli predisse che sarebbe morto al tempo dei gigli.... E il giorno che Pico della Mirandola spirava tra le braccia del Savonarola, Carlo VIII entrava in Firenze preceduto dalla bandiera con li aurei gigli di Francia. Fu sepolto in San Marco. Aveva 32 anni. I contemporanei lo chiamarono la Fenice degli ingegni. Per noi è una Fenice soprattutto in questo, che fu un Erudito poetico. Non si è visto ancora il secondo.

Sapeva e scriveva il greco, l'arabo, l'ebraico, il caldaico. All'età di ventisette anni, trasse dai suoi immensi studi novecento tesi di fisica, filosofia, teologia, astronomia, magia naturale, comprendenti quasi tutto lo scibile del suo tempo, e le pubblicò in Roma, proferendosi pronto cavallerescamente a sostenerle contro chiunque osasse oppugnarle. Poeta e filologo, filosofo e mistico, ebbe un'ardente curiosità dell'ignoto, del miracoloso, intravedendo e indagando il Soprannaturale nell'intima essenza del Naturale; come Leonardo, Paracelso, Fichte, Novalis, Carlyle. Simpatizzava con tutto quello che le morte generazioni hanno sinceramente e passionatamente [204] creduto: e studiava, rievocava, resuscitava le antiche mitologie. Vedeva in esse l'eterno Io dell'umanità, vi leggeva un motto del grande Enimma. Egli disse pel primo la feconda parola: in ogni fede, è una parte di verità.

La sua teoria è essenzialmente poetica e consolante, e rammenta la teoria Browninghiana. - Tutto quello che rettamente si volle e nobilmente si amò sulla Terra, non andrà mai perduto. Dovremo traversare altri mondi - molto avrem da imparare, molto da dimenticare, ma quel momento verrà. Tutto quello che ardentemente aspiravamo ad essere, e non potemmo essere su la Terra, ed a cui pure ci sentivamo chiamati; tutto ciò che era in noi e che il mondo ignorò, la poesia muta, l'amore represso, il momento fatale perduto, tutto avrà un giorno, altrove, sviluppo e trionfo. Pico della Mirandola serbò intatte, nel suo poetico naturalismo, la coscienza individuale, e la libertà morale dell'anima umana. Nel suo trattato De Hominis dignitate, scrisse queste belle e memorande parole: “I bruti sono eternamente bruti, gli angeli, essenze angeliche eternamente. Tu solo, o Uomo, puoi degenerare fino a divenire un bruto, e rigenerarti e sollevarti fino a parere un Dio. Tu solo hai un incessante sviluppo; tu solo porti in te i germi di ogni specie di Vita.„

Se Pico della Mirandola distrusse i suoi versi, restò poeta nella vita, nel sentimento, nell'intelletto. Nè mi è parso inopportuno parlare di lui, in una lettura su la poesia del Rinascimento. Per esserne il più poetico simbolo, non gli è mancato nulla. Ha avuto l'ingegno, la dottrina, la bellezza, la gioventù, la nobiltà, l'entusiasmo, la morte precoce; e finalmente un certo mistero che avvolge il suo nome, la sua vita, e tutti i suoi scritti.

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