I.

Egli era l'uomo dei doni. Difficilmente, percorrendo la storia della umanità, ci potremmo imbattere in un uomo che lo valga. Humboldt avrebbe detto di lui ch'egli era un figlio prediletto della natura. Se fosse vero ciò che narra la leggenda, che le fate vanno alla culla degli uomini predestinati a grandi cose, egli è certo che alla culla di questo bastardo di Ser Piero da Vinci accorsero tutte le fate e vi buttarono dentro tutti i loro doni, e nessuna rimase a casa per dispetto o per dimenticanza.

Cominciamo dai doni fisici. Bellissimo della persona, d'una bellezza temperata di grazia e di maestà; e forte come pochi del suo tempo. Con un movimento del pollice storceva un ferro di cavallo; nella danza, nella lotta, nel nuoto vinceva i campioni più rinomati del suo tempo. Le qualità del suo ingegno darebbero luogo ad una amplissima descrizione; ma sopratutto sorprende quella interezza organica che è tutta propria di lui. Egli non ammette soluzione di continuità nello svolgimento del suo ingegno; e la sua mente vi dà l'idea di una grande tastiera d'organo ove i suoni vanno dai più profondi ai più acuti senza il più piccolo salto di tono, senza la più piccola disarmonia. Egli non si contenta mai; vuole approfondire, [312] sviscerare, esaurire tutti gli argomenti. Nella meccanica, per esempio, egli va colla medesima cura dal girarrosto ad elica (che pare egli abbia inventato) fino al più complicato congegno di idraulica, fino ai più ingegnosi strumenti di guerra, che egli offre per la vittoria ai principi ed alle repubbliche italiane. Come artista egli è lo stesso. Per lui nell'arte non esiste parvità di materia; tutta quanta la gamma artistica egli la vuol toccare, e la tocca e la tratta colla medesima scrupolosità, colla medesima maestria elevandosi di grado in grado alle più meravigliose eccellenze. Leonardo mette ugual cura nel rendere col suo pennello la appannatura dell'acqua in una caraffa ed il volto radioso e sorridente d'una Vergine; mette egual delicatezza e minuziosità nel rappresentare le damascature e l'ordito della tovaglia gettata sulla tavola del Cenacolo come a esprimere la soavità accorata dell'apostolo Giovanni, come a significare la divinità attristata e sofferente del Redentore del mondo. In tutto è sempre eguale a sè stesso e rivela un equilibrio stupendo; il quale equilibrio voi cerchereste forse invano in alcun altro dei suoi contemporanei, così completo e così scrupolosamente mantenuto. Colossi sorgono intorno a lui; ma, se li guardate, questi colossi hanno tutti qualche cosa che turba, molto o poco, la loro stupenda economia spirituale e lascia luogo a desiderare.

Onde, più lo si osserva, più si capisce il fascino che doveva esercitare Leonardo da Vinci sopra i suoi coetanei. Alle sue grandi qualità della mente e dell'estro aggiungete certe particolarità nell'essere e nella vita, che realmente dovevano colpire e quasi impaurire. Aveva del bizzarro, del misterioso, dello strano. Se vergava una lettera la vergava da destra a sinistra, alla maniera degli Orientali. Viveva fantastico, ghiribizzoso; mille cose intraprendeva e poi tralasciava, andando continuamente [313] in traccia di nuovi aspetti di verità, di nuove e insolite forme di bellezza. Racconta il suo biografo che si rinchiudeva volentieri in una stanza dove non lasciava entrare alcun uomo; e in quella stanza egli accumulava insetti, farfalle, ramarri, animali morti d'ogni specie, e là spendeva lunghe ore meditando, sperimentando, osservando, fantasticando a sua posta. C'era in lui qualche cosa come del negromante, del Gilberto, del Raimondo Lullo, del Faust; un Faust però, lasciatemi dire, più sereno, più equilibrato di quello tedesco; sopratutto un Faust onesto e benefico, che studiava la vita e scrutava la natura e cercava di indovinarne le leggi, ma non ad appagamento dei suoi egoismi crudeli e superbi, sì per scoprire utili veri, per cogliere i fiori più eletti della verità e della bellezza e gettarli, a consolazione e ad ornamento, sui passi degli uomini.

E a proposito di Faust, vien subito fatto di indicare un altro lato singolare e argomento di molta curiosità nella vita di Leonardo da Vinci. Questo Faust trovò egli la sua Elena o la sua Margherita nella vita mortale?... Fra i tanti punti oscuri della vita di Leonardo, questo è rimasto oscurissimo. In tanti volumi di manoscritti ch'egli ha lasciato non ricorre il nome di una donna. Quest'uomo che aveva tutto per essere amato, che, secondo la bella frase del Vasari, colla voce soave “tirava a sè gli animi delle genti„, che professava così vivo il culto della bellezza, e quindi doveva essere così inclinato a sentirne il fascino, quest'uomo non ha una donna nella sua vita. Tutto ciò naturalmente è spiaciuto ai romanzieri e ai poeti, ai quali è parso che questa grande figura mancasse di qualche cosa senza un romanzo o almeno un idillio d'amore. Alcuni quindi, guardando il sorriso così vivo, così suggestivo e quasi invitante della Lisa del Giocondo, hanno voluto fantasticarci su e fabbricare un romanzetto al quale io non credo; non perchè [314] io lo reputi genericamente inverosimile, ma perchè in storia non bisogna affermare se non ciò che è sorretto da qualche maniera di argomenti. Noto anzi un particolare. Il Vasari racconta che per togliere al bellissimo volto di monna Lisa quella fissità e tristezza che hanno quasi sempre i ritratti pel disagio e la noia che invade l'originale nel posare, Leonardo faceva venire intorno alla bella donna dei sonatori e dei buffoni che la mantenevano sempre graziosa ed allegra.... Oh! se Leonardo e monna Lisa si fossero intesi d'amore, voi ben vedete, che sarebbe bastato il bello e spiritoso pittore a tenere allegra la sua modella; e non avrebbero pensato ad altra compagnia!

Di quanti hanno cercato di definire la figura di Leonardo da Vinci il più vicino al vero mi pare sia stato Gino Capponi, nel primo volume della Storia di Firenze, ove dice che “in Leonardo vennero a far capo le due correnti per le quali s'era condotta l'Italia, da un lato nelle arti e dall'altro nelle scienze.... Con ciò parmi molto fedelmente resa la grande singolarità della figura di Leonardo da Vinci e il suo posto nella storia ideale del nostro Rinascimento. Noi possiamo avere nel medesimo individuo delle attitudini artistiche e delle facoltà scientifiche; può darsi benissimo che tanto le prime quanto le seconde procedano di pari passo in un armonico sviluppo. Ma in Leonardo da Vinci abbiamo qualche cosa di più: abbiamo la compenetrazione di questo doppio ordine di qualità. Non è che lo scienziato vada per la sua via e per la sua via vada l'artista; la via dello scienziato e quella dell'artista non formano che una medesima grande strada regia, che porta verso delle altitudini sconosciute.

Sono meravigliose le scoperte, le antiveggenze di questo genio che non ristava mai dall'osservare nel volume della natura. Guglielmo Libri nella sua storia delle matematiche [315] quando arriva a Leonardo, a questo scultore, a questo pittore, a questo sonatore di cetra, è costretto a fermarsi a lungo e dedicargli quasi un intero capitolo. E le benemerenze di Leonardo verso le matematiche non sono che una parte dei titoli che ha verso la scienza universale. Egli è dei primi, il primo forse, che scuote completamente l'apriorismo della scolastica e che non accetta la concezione del mondo già fatta, già costituita secondo la sentenza degli antichi. - Che importa a me, egli scrive, se non cito gli antichi e se non seguo le loro massime? Io cito la Natura e segno la Natura che è la maestra di quei maestri. - E di tali massime, che esprimono il libero procedimento del suo ingegno nell'osservare, i suoi manoscritti sono pieni. Torna sempre sopra questo concetto: ammira gli antichi, li venera, ma dice che se essi valsero in qualche cosa, se essi scoprirono invidiosi veri, fu perchè essi osservarono la Natura. Dunque egli vuol risalire a questa grande maestra, a questo universale esemplare, e da esso direttamente, non di seconda mano, attingere la verità.

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