II.

Per questo non è di nulla esagerato il dire che Leonardo da Vinci è il primo a cui completamente si addice il titolo di “uomo nuovo„ secondo il concetto di Giordano Bruno. Egli anticipa sopra tutte le scienze e gli scienziati che vennero dopo. Nella metodologia viene prima di Bacone da Verulamio quasi di cento anni. Quello che v'ho detto circa il metodo suo d'osservazione è, in sostanza, il “nuovo organo„ che di poi con tanta pompa di novità il Cancelliere inglese proclamerà al mondo. Nella idraulica anticipa il Castelli; nella geologia Pomponio Leto; nell'ottica egli precede La Porta, [316] prevenendolo nella scoperta nientemeno che della camera oscura; nella caduta dei gravi anticipa di molti teoremi il lavoro di Galileo Galilei; nella intuizione dei tratti della fisonomia come manifestazione delle interne facoltà dell'animo, egli spiana la strada al La Porta e al Lavater. Un'altra anticipazione importantissima ci dà Leonardo. In un passo molto caratteristico egli dice: “Lascio stare i libri sacri, incoronati di suprema verità„; e procede oltre liberamente nelle indagini della natura, tralasciando ogni preoccupazione dogmatica e teologale. Anche in questo delicato argomento, lo spirito di Leonardo precedette di molti anni il Pomponazzo, il Cremonino e lo stesso Galileo Galilei, che con tanto studio e tanta arte, nella sua famosa lettera Alla granduchessa madre, si adoperò a dimostrare che il procedimento teologico e il procedimento scientifico devono andare avanti di pari passo senza intralciarsi l'uno coll'altro, e senza che i dogmi rivelati gravitassero con troppo frequenti intromissioni nel lavoro e nelle conclusioni dello scienziato.

Se non che, per quanto mi ha dettato lo studio amoroso dei manoscritti leonardeschi ora in molta parte editi, io penso che, mentre lo scienziato pare alle volte che dietro a sè ci nasconda l'artista, l'artista invece tiene sempre il campo. È sempre l'Arte la regina della mente di Leonardo. Basta leggere alcune delle pagine del Trattato in cui celebra le lodi della sua prediletta fra le arti, la pittura, per capire da che sovrano entusiasmo estetico fosse riscaldato e mosso l'animo suo. Per cui tante volte, mentre direste alla prima che la indagine scientifica prepari in Leonardo il lavoro dell'arte; la verità vera è invece il contrario: vale a dire che il lavoro della scienza non è altro che un prolungamento, per dir così, della ricerca artistica. E con questa gran differenza che, mentre gli altri artisti suoi contemporanei si fermavano alla [317] parvenza della cose e quella cercavano di ritrarre secondo le regole dell'arte, Leonardo, spinto da un fervore d'animo tutto suo particolare, andava anche al di là della parvenza artistica, e voleva trovare e trovava in fatto la ragion d'essere di questa in una più alta regione speculativa.

Così quand'egli studia la prospettiva lineare ecco che egli a poco a poco si incammina e s'ingolfa nel mondo della geometria: quando studia la prospettiva aerea ecco che l'ottica gli apre i suoi grandi orizzonti, e lì spigola e raccoglie verità nuove e spesso mirabili. Medesimamente la pittura del corpo umano lo traeva ad investigare tutto il magistero della nostra struttura corporea; ed ecco che si associa a Marcantonio della Torre e dà al mondo i primi saggi completi e veramente scientifici di anatomia grafica. Lo stesso gli avviene, o signore, in tutti mai i rami dello scibile. Egli è condotto sulla via delle scienze dalla mano dell'arte. Nel libro VI del Trattato della pittura egli parla delle piante. Pittoricamente parlando, uno si sarebbe fermato alla apparenza di queste piante e ad indicare il modo con cui il pittore deve fedelmente ritrarle giusta i varii stati in cui ce le dimostra ai nostri occhi la natura, sia ch'esse siano sguarnite di foglie nell'inverno o abbiano il primo tenero verde nell'aprile o le foglie diffuse nella pienezza della buona stagione; sia che vengano o battute dalla pioggia o scrollate dal vento o illuminate dal sole e via discorrendo. Invece Leonardo da Vinci vi dà tutto questo per il pittore; ma il suo spirito non può fermarsi qui. Egli procede più oltre investigando e speculando: “La natura ha messo le foglie degli ultimi rami di molte piante in modo che sempre la sesta foglia sia sopra la primiera, e così segue successivamente, se la regola non fu impedita.„ Qui, come vedete, abbiamo qualche cosa di più che una semplice osservazione bastante per gli occhi [318] del pittore. E non è cosa di piccolo momento, o signore, ma una vera e propria legge botanica (la fillotassi) che farà poi la gloria del naturalista Brown. Sempre rimanendo dentro l'ambito della pittura ed andando oltre, Leonardo scrive: “Le parti meridionali della pianta mostrano maggior vigore e gioventù che le settentrionali. Li circoli degli rami segati mostrano il numero degli suoi anni, e mostrano l'aspetto del modo con cui erano volti, poichè più grossi sono a settentrione che a mezzodì. Così il centro dell'albero per tal causa è più vicino alla scorza sua meridionale che alla sua scorza settentrionale.„ Nelle quali parole è pure anticipata una dimostrazione che farà, dopo un secolo, Marcello Malpighi, meritamente salutato dall'universale come l'inventore ed il fondatore della anatomia botanica.

Questi esempi, o signore (e tanti altri che potrei citarvi), riconfermano quello che io vi accennava, cioè che, a guardare bene nella mirabile struttura dell'ingegno di Leonardo da Vinci e in tutti gli atteggiamenti della sua attività, noi vediamo ch'egli si diffonde mirabilmente nel campo dello scibile, ch'egli corre dietro a tutte le forme del vero, ma che la sua stella polare è sempre l'Arte, e che all'Arte egli vuole che convergano gli elementi della sua cultura meravigliosa. Se tale la sua propedeutica artistica, voi avete un primo dato per argomentare subito quale e quanta debba essere stata l'arte di Leonardo da Vinci.

Egli venne in tempi in cui, massime in Italia, la pittura si avvicinava alla sua più alta fioritura, anzi alla sua radiosa maturità. Antonello da Messina aveva già divulgato fra noi il processo della pittura ad olio per il quale delle più smaglianti grazie ed una maggiore evidenza acquistavano i colori; a Firenze nel tempo di Leonardo dipingevano artisti come Sandro Botticelli; nella Umbria tenevano il campo Pinturicchio e il Perugino, [319] preparando Raffaello; a Bologna Francesco Raibolini detto il Francia di grande orafo si mutava in grande pittore; Ferrara aveva avuto il Tura e il Cossa e il Costa. Di là dal Po, Mantegna, svincolatosi dalle dotte pedanterie dello Squarcione, popolava di meraviglie Padova, Verona e Mantova e associandosi e accostandosi al Giambellino, fondeva la robusta evidenza del suo disegno con le grazie del colorito veneziano. Volgeva dunque un momento di grande ricchezza e di grande splendore per l'arte. Egli, Leonardo, doveva coronare e glorificare tutto questo movimento.

E gli si aprivano due vie. Il suolo d'Italia restituiva, come per grazioso miracolo, alcuni dei più bei documenti dell'arte antica: le menti ne rimanevano stupite e irresistibilmente attratte ad imitarli. Leonardo da Vinci, quest'alunno della natura, tutto il tesoro delle osservazioni fatte nel campo della vita portava nel campo dell'arte, e voleva un'arte essenzialmente naturale, che dalla natura prendesse tutto il suo vigore e tutte le sue grazie. È molto notevole, o signore, questo atteggiamento preso di Leonardo nella grande contesa fra il naturale e l'antico, che allora appunto stava per raggiungere il suo momento critico e decisivo. Leonardo portò tutto il peso del suo sapere, tutta la potenza delle sue attitudini artistiche, tutta la sua autorità immensa in favore del movimento naturalista, ampiamente inteso e nobilmente significato.

Osservate in fatti che egli non accetta i “moduli„ che si cominciano ad insinuare nelle pratiche dell'arte, e coi quali si tendeva già a sostituire qualche tipo fisso ed inalterabile al lavoro personale e continuamente vario, al movimento fluido, infaticabile della natura, l'eterno e inesauribile esemplare. Guardate il Cangiasio, il Durer, Leon Battista Alberti escogitano misure e proporzioni determinate al corpo umano; fra Bartolomeo della Porta [320] tira fuori dalla sua mente, o piglia dalla Germania, il manichino. Leonardo scarta tutto ciò. Egli guarda con diffidenza tutto quello che tende a sostituire nell'arte degli schemi già finiti e per così dire cristallizzati all'incessante mutualità che deve passare fra l'animo dell'artista e la natura. Egli primo fra i moderni, comincia già a tracciarvi la storia dell'arte in un modo che ci fa davvero stupire e che dà ragione della sua maniera di sentirne l'essenza. Ascoltiamolo: “Le arti giacquero in Italia perchè fu negletto ogni studio di imitare la natura, finchè venne Giotto fiorentino, il quale nato in monti solamente abitati da capre e simili bestie, cominciò a segnar su per li sassi gli atti di simili capre, delle quali era guidatore; e così cominciò a fare tutti gli altri animali, che nel paese trovava. In tal modo che questi dopo molto di studio avanzò, nonchè i maestri dell'età sua, tutti quelli di molti secoli passati.„ Ecco il giusto criterio naturalista sostituito ad ogni altro criterio! Il tipo dell'artista per Leonardo infatti è Giotto, l'uomo semplice, quasi primitivo, che non guarda, come Nicola Pisano, il sarcofago antico, ma le cose naturali e vive che stanno dintorno a lui e ingenuamente le ritrae. E prosegue a dire: “Dopo, gli uomini imitarono Giotto, e l'arti decaddero.„ L'imitazione sostituita allo studio diretto della natura, quindi perniciosa all'arte. “Finalmente sorse Tommaso fiorentino cognominato Masaccio, il quale mostrò con opere perfette come quelli che pigliano per autore altri che la natura, maestra de' maestri, si affaticano invano.„

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