LEONARDO DA VINCI

DI

ENRICO PANZACCHI.

Signore e Signori!

Il pittore francese Paolo della Roche nella più insigne forse delle sue opere, il famoso Emiciclo che è nell'Accademia di belle arti a Parigi, riprendendo e imitando liberamente il pensiero di Raffaello, nella Scuola d'Atene, ha inteso di rappresentare e disporre in certi gruppi gerarchici gli artisti principali del Rinascimento italiano ed europeo.

A destra del riguardante attira lo sguardo un gruppo, forse il più riuscito di tutta la composizione. Sul davanti Michelangelo siede solo sopra un frammento di basso rilievo antico e guarda triste dinanzi a sè, voltando le spalle agli altri. Dietro di lui, elegante figura giovanile, si leva Raffaello d'Urbino, e lievemente del capo sovrasta a tutti gli altri. Ma guardando bene, si capisce che il protagonista vero di questo gruppo non è nè Raffaello nè Michelangelo. È invece un bellissimo uomo sontuosamente vestito, con una ricca barba, col gesto largo e con quell'obbliquo atteggiamento dei diti della mano sinistra, proprio del pittore che discorre analiticamente dell'arte sua. E quest'uomo ha l'aria d'insegnare a tutti, e tutti hanno l'aria di ascoltarlo con rispetto. Non è il dottore ascetico e austero del medio-evo; è piuttosto, all'aspetto, uno di quei tipi di gentiluomini culti e compiti [310] che Baldassare Castiglione metteva nei dotti e piacenti colloqui alla corte del duca e della duchessa d'Urbino. E tutti, vi ripeto, lo ascoltano. Lo ascolta attentamente frate Bartolomeo della Porta ritto vicino a lui e guardandolo col volto serio e sereno; lo ascolta più lungi Hans Holbein col profilo teutonico e la chioma arruffata; lo ascolta con gli occhi intenti Alberto Durer nel suo sfarzoso abbigliamento signorile. Anche il Domenichino più d'ogni altro premuroso si accosta a lui per non perdere parola. Con l'orecchio è attentamente inclinato verso il maestro; ma nell'inquietudine del suo eclettismo bolognese si vede che egli erra cogli occhi tra Michelangelo e Raffaello.

Quest'uomo sedente o docente, tutti hanno ben ragione di ascoltarlo perchè egli è Leonardo da Vinci, grandissimo fra i grandi, l'uomo più portentoso del Rinascimento italiano, che di portenti ebbe così grande ricchezza.

Ed io, o signore, dovrò parlarvi di quest'uomo? C'è proprio da sentirsi tremare le vene e i polsi! Tanto più, ve lo confesso, perchè anche dopo le copiose pubblicazioni e illustrazioni che si sono fatte dei manoscritti di Leonardo da Vinci in Inghilterra, in Francia, in Alemagna e in Italia; anche dopo le belle fatiche di tanti eruditi stranieri e nostrani, tra i quali non bisogna scordare Gustavo Uzielli e il vostro Milanesi, un libro sopra Leonardo da Vinci ci sarebbe da arrischiarsi a scriverlo: e non sarebbe forse per me un atto di disperata audacia. Ma parlare di lui nel breve tempo d'una conferenza, ma costringere, ma pigiare entro questo breve circolo tanti elementi così disparati, è cosa che io credo impossibile, o che, a ogni modo supera di troppo le forze di cui posso disporre. Però, o signore, io faccio appello colla più viva instanza alla benevolenza vostra, a quella benevolenza che altre volte esperimentai e di cui serbo sempre così vivo il ricordo e la gratitudine.

[311]

Ascoltatemi dunque attente e scusatemi se, per la terribilità e vastità del soggetto, invece di narrare io dovrò procedere per brevi accenni, invece di dimostrare, il più delle volte, dovrò contentarmi di affermare; insomma se invece di rendervi intera e rilevata questa colossale e complessa figura, io sarò costretto a darvene una pallidissima immagine, simile ad ombra di gigante fuggente sul muro in una giornata scarsa di sole.

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