IV.

Roma è la città unica che simboleggia e comprende le cose più disparate. Vi sono in Roma cinque o sei Rome che hanno il loro carattere particolare e i loro speciali visitatori ed ammiratori. Winckelmann e Overbeck, Goethe e Chateaubriand, Shelley e Lamartine, Byron e Ruskin, Veuillot e Mazzini, l'hanno adorata con eguale entusiasmo. Dall'Apollo di Belvedere ai mosaici bizantini; dal semplice altare scavato nel tufo delle catacombe, alle magnificenze liturgiche di San Pietro; dal palazzo dei Cesari, dal Colosseo e dalle Terme, alle chiese dei gesuiti e ai palazzi e fontane del Bernini; dalla desolata e pittoresca solitudine della Campagna, ai parterres ricamati e agli alberi pettinati delle ville principesche; esistono in Roma i più spiccati contrasti. È la città dialettica per eccellenza: concilia tutte le espressioni della storia e della vita, nella solenne unità della sua grandezza, e nella infinita malinconia delle sue memorie.

Ma la Roma del barocco grandioso, non ancora delirante, ma ardito e solenne, è quella che più [396] apparisce, e direi quasi s'impone, a chi visita per la prima volta l'eterna città. Nè la democratica vita contemporanea, nè il movimento sociale e politico di capitale del Regno, hanno minimamente alterato quel carattere di una grandissima parte di Roma. Noi rivediamo anche oggi tal quale la Roma delle vecchie stampe, che facevan tanto fantasticare Gœthe fanciullo: anzi, nelle vecchie incisioni ritroviamo Roma più vera e rassomigliante che nelle moderne fotografie. Una fotografia è cosa troppo elegante, troppo nuova, troppo lustra, per rappresentarci la vecchia Roma barocca, pontificale e blasonica. Quelle immense piazze con un obelisco e una fontana nel mezzo, traversate da carrozzoni stemmati a sei cavalli, e da qualche cavaliere in cappa, spada e parrucca - quelli scaloni popolati di mendicanti - quei muraglioni di convento a cui s'affaccia la punta di qualche cipresso - quei palazzi enormi, dai cui cancelli di ferro arrugginito s'intravedono delle rose e si ode il murmure di una fontana - quelle rovine di acquedotti tra cui sono sdraiati dei ciociari e dei bufali - quelle architetture strane ma sempre grandiose e indimenticabili; periodi ciceroniani scanditi in pietra ed in marmo - tutte queste romanità non si possono sentire e gustare che nelle vecchie stampe.

E questa Roma barocca o baroccheggiante [397] (scusate il vocabolo) è quella che meglio mi riesce di ripopolare, di risuscitare con la mia immaginazione. Passeggiando in certe ville romane ho rivisto quei principi, quelle dame, quei cardinali antiquari e latinisti, quelle file di servi gallonati, quelle grandi carrozze dorate fin su le ruote. Queste ville sono come il guscio di un animale sparito, lo scheletro fossile di una vita durata più di due secoli, vita che consisteva quasi tutta nella rappresentazione cerimoniosa, nella decorazione pomposa, nella etichetta di anticamera e di Corte. Essi non s'interessavano nè alla natura nè all'arte per sè medesime, nè a un bell'albero o a un bel tramonto, nè a una bella statua o a un bel quadro, per un sentimento disinteressato e istintivo di ammirazione; ma li riguardavano come elementi necessari alla decorazione, e ne facevano come l'appendice della propria vita. Ville fatte non per viverci in libertà, per amare o rêver, ma per passeggiare e conversare in buona compagnia, scambiandosi riverenze e saluti.

Che abisso, o signori, fra quella gente e noi! La Rivoluzione francese, come un formidabile terremoto, ha spezzato e separato due mondi: di mezzo, vi corre oggi un terribile mare, che non sarà mai superato.

O cavalieri e dame del Secento, dal gran sussiego [398] e dalla scrupolosa etichetta, principi di baldacchino, grandi di Spagna, Conti zii e Cardinali nipoti, Eccellenze e Eminenze!... E voi incipriati, rubantés e profumati cicisbei del Settecento, dame dai nèi e dai poufs, dai volants e dai guardinfanti. Come vi ritrovo in queste ville romane! In villa Albani ho sentito l'eco delle toccate del Galluppi e dei duettini dello Scarlatti. - Dillo, o caro.... - Dillo, o cara.... - Se tu m'ami - S'io t'adoro - e la voce esciva dal torace di un cicisbeo che potea far da modello per Ercole, e dalla superba abbondanza di un petto di donna che pareva quello della madre Cibèle. Ah! essi non logoravano la vita quei cari nostri antenati.... Non avevano nè letteratura naturalista, nè romanzi estetici e psicologici, nè teatro educatore, nè discorsi delle Camere, nè musica dell'avvenire.... e prima che la ipocondria di Rousseau mettesse di moda l'aurora, si levavano sempre a mezzogiorno. Le passioni eran capricciosi volani, scambiati a leggeri colpi di racchetta. Il buon Goldoni lo attesti.

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