IX.

Ma la vita di que' nove anni! - La prigionia nella propria casa; la segregazione dalla cittadinanza e dal mondo; l'essergli o vietata, o sospettata, o largita a misura, o minacciosamente redarguitagli, la comunicazione del pensiero con gli amici, coi discepoli, coi pensanti le medesime cose: - e la sua villa del Gioiello in Arcetri, sperato e sudato rifugio e conforto alla stanca vecchiaia, vicina a un povero convento che accoglie monache, ombre del sogno della vita, le due sue figliuole, convertitagli in luogo di gastigo, fatta, com'egli ne data più lettere, “la mia carcere d'Arcetri„: - e non giovargli l'obbedienza, [276] la sottomissione, il baciar la mano che lo percuote; non il remuover da sè la gloria che scende da ogni parte di mondo civile a illuminare de' suoi raggi que' bianchi capelli; non l'aver ricusato (con sodisfazione del Papa) dagli Stati d'Olanda la collana d'oro, omaggio agli studi e proposte per la determinazione delle longitudini; nulla giovargli, perchè quella schiavitù, nonostante il tre e quattro volte raccomandarsi, sia tolta; anzi minacciarglisi, se persisterà in tali suppliche che “mi faranno tornare, là, al carcere vero del Santo Ufizio„: - a mala pena, e solamente dopo bene accertato, e con visita dell'Inquisitore e del medico, il suo progressivo declinare verso il sepolcro, ottenere di trasferirsi nella sua casetta di città, concederglisi la preghiera in chiesa; ma solamente i giorni festivi, e alla chiesuola vicina, e che non ci sia gente: - intanto, prima da uno poi da tutt'e due gli occhi, accecare: “talmente che quel cielo, quel mondo è quell'universo, ch'io con mie maravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni aveva ampliato per cento e mille volte più del comunemente creduto da' sapienti di tutti i secoli passati, ora per me si è diminuito e ristretto, ch'e' non è maggiore di quello che occupa la persona mia„: - e intanto, ancora, morirgli a trentatrè anni la sua suor Maria Celeste, [277] un angelo di figliuola, che ne' silenzi del chiostro, ha della vita di lui fatta la vita sua; che dal gentile e pronto ingegno ha derivato tesori d'ammirazione per la paterna grandezza, e dal suo cuore di santa tesori d'affetto e di consolazione per le sventure di lui; che gli annunziava, povera monacella, aver prescelto lui, il processato per veemente sospezion d'eresia, a suo Patrono nella corte di que' cieli “i quali Vossignoria ha penetrati„; che aveva attratta a sè la condanna del Santo Ufizio, e addossatasene le penitenze spirituali; che mandandogli fiori di dicembre, “Le siano„ gli dice “simbolo di primavera celeste di là dal breve e oscuro inverno della vita presente„: - morirgli una tale figliuola, morirgli d'accoramento per quella inesorabile persecuzione, e rimanergli nell'anima la voce di lei, “della mia figliuola diletta,„ scrive egli piangendo, “che mi chiama, mi chiama continuamente„: - così, lungo questa agonia di vita, finir di morire; o veramente “mutar la mia presente carcere in quella comune, angustissima ed eterna„: - ecco i nove ultimi anni della vita di Galileo!

Eppure anche durante que' nove anni, anche fra quelle ombre che gli avvolgono l'anima, e di mezzo alle tenebre che gli si aggravano sulle spente pupille, quale eroico combattere con l'arme [278] invitta del pensiero pel trionfo, sia pur lontano, sia pur disperato, della verità! Eppure appartengono a que' nove ultimi anni: i Dialoghi delle Scienze Nuove, coronamento del suo pensiero scientifico, che si pubblicano, come se di contrabbando, in Leida nel 1638; - il continuamento delle pratiche per la determinazione delle longitudini in mare; un catalogo delle operazioni astronomiche; gli studi sulla titubazione del disco lunare e sul candore o luce secondaria della luna; l'applicazione del pendolo all'orologio; - le risposte ai quesiti, incessanti e molteplici, dei curiosi e dei dotti; - le oneste e liete accoglienze, quando e quanto era possibile in quella sua condizione di custodito e sospetto, verso i visitatori (un d'essi, giovane non ancora trentenne, eternò poi il ricordo di quella visita in una linea d'un suo Poema, il Paradiso perduto!); - la ripresa e continuazione del carteggio con vigore e genialità giovanile sino agli ultimi giorni; - i disegni suoi, e il conferir sugli altrui, per la pubblicazione di tutti i suoi scritti; - la trasmissione e conferma, o diciam meglio la consacrazione, del suo pensiero ne' giovani (e quali giovani! Evangelista Torricelli, Vincenzio Viviani!), che vegliavano e scrivevano accanto a cotesto letticciuolo di martirio. Insomma, nel supremo sfolgorare di quel gran lume d'anima umana, [279] par quasi che ella si sdoppi; rimanendo la parte affettiva sotto il peso di que' dolori ineffabili, e la intellettuale perdurando sino all'ultimo non alterata e non doma.

Forse il segreto di questo trionfo che in lui ebbe sulla umana la particella nostra divina, è nelle memorabili parole, che ad uno de' nobili spiriti adoperatosi inutilmente a mitigargli i rigori della condanna, con severa rassegnazione e con alterezza degna scriveva: “Non spero sollevamento alcuno; e questo, perchè non ho commesso delitto nessuno.... Sopra uno innocentemente condannato conviene, per coperta d'avere operato giuridicamente, mantenere il rigore.... Due conforti mi assistono perpetuamente: non aver mai declinato dalla pietà e dalla reverenza alla Chiesa; e la mia propria coscienza, da me solo pienamente conosciuta in terra, e in cielo da Dio.„ E ad un altro: “La rabbia de' miei potentissimi persecutori si va continuamente inasprendo: i quali finalmente hanno voluto per sè stessi manifestarmisi„: e ciò (prosegue) mediante le parole di un matematico del Collegio Romano, il quale aveva dichiarato, che “s'egli si avesse saputo mantenere l'affetto dei Padri di questo Collegio, nulla sarebbe stato delle sue disgrazie, e avrebbe potuto scrivere ad arbitrio suo così [280] del moto della Terra come d'ogni altra materia. - Sì che non è questa nè quella opinione quello che mi ha fatto e mi fa la guerra, ma l'essere in disgrazia de' Gesuiti.„

Morì perdonando. Una lettera al fido Castelli, che incomincia da filosofo “Il dubitare in filosofia è padre dell'invenzione, facendo strada allo scoprimento del vero„, finisce da cristiano: “Gli ricordo il continuare le orazioni appresso il Dio di misericordia e d'amore, per l'estirpazione di quelli odii intestini, de' miei maligni infelici persecutori.„ Così la benedizione di papa Urbano, che l'8 gennaio del 1642 si posava sul suo capezzale, nel carcere di Arcetri, vi trovò consumato il sacrifizio della vittima, intatta la coscienza del pensatore, non un sentimento di rancore nè d'odio.

Nel dicembre di quel medesimo anno nasceva il Newton, che sarà l'autore dei Principii matematici di filosofia naturale. Dei grandi sacerdoti dell'umanità, l'uno consegna all'altro, di secolo in secolo, la lampada inestinguibile: lampada tradunt!

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