VI.

I Gesuiti, la forte e compatta e valorosa milizia della Curia Romana dopo la scissione della unità della Chiesa; il sodalizio che ne' nuovi tempi proseguiva, con modi secondo l'età diversa mutati, quell'impero sulle menti e sui cuori, che altri ordini religiosi di tutt'altro stampo avevano esercitato nella età media; non derogarono neanche questa volta al loro istituto, di seguire attentamente [258] e far suoi, adattandoli a' propri intendimenti, i portati dell'umano intelletto, tenersi in prima fila nel procedimento della scienza verso la verità, e, a tutti gli effetti, disciplinarlo. Così è che nella primavera del 1611 noi troviamo Galileo, qui in questa loro poderosa cittadella, assistere, festeggiato e acclamato, alla lettura d'un Nuncio Sidereo del Collegio Romano, in persona del quale il padre Clavio e i suoi valenti discepoli parlavano latinamente agli uditori in tal forma: - Essere condizione degli uomini il dubitare della verità delle grandi scoperte; le prime e più frettolose notizie voler essere confermate dalle posteriori, che arrivino magari a piè zoppo. A confermar quelle recate pel mondo dal Messaggero di Galileo, eccomi qua io, secondo corriere, ancor io dalle stelle, che vi riferisco ed attesto il veduto palesemente da noi. - Ciò avveniva dopo che essi medesimi, i Gesuiti, interrogati dal loro cardinale Bellarmino, valente ed erudito ed anche comprensivo ingegno, ma subordinatore assoluto de' resultati scientifici al criterio dell'autorità, avevano riconosciute le scoperte galileiane. Le quali poichè si collegavano strettamente col sistema Copernicano, che poneva il sole centro d'attrazione de' pianeti, compresa fra questi la Terra, e de' loro satelliti; - col sistema Copernicano, che non ancora condannato, [259] oscillava però sul dubbio e pericoloso limitare di una possibile apparenza di contradizione con la lettera delle Sacre Scritture; - così, fin dal principio, Galileo più che de' Peripatetici aveva avuto apprensione de' teologi, la cui potenza, non obbligata non che a cimento di esperienze ma quasi neanco a dibattito di argomentazioni, costituita pro tribunali, aveva per propri istrumenti l'ammonizione, il divieto, la condanna, fino all'estremo atto del sostituirsi al braccio secolare e punire col carcere, con la corda, col rogo. E per ciò stesso, appena rimpatriato, egli avea chiesto al Granduca la licenza di questo viaggio romano (il suo secondo), non con altro proposito che di far palesi ed accette ai potenti della città eterna, e sicure per l'ulteriore svolgimento, le sue scoperte e le dottrine che ne conseguivano. Ora egli poteva, tornando al suo Principe, chiamarsi sodisfatto di quei più che due mesi di soggiorno in Roma. Il Collegio Romano; - il Quirinale, ne' cui giardini aveva a cardinali ed altri prelati e a gentiluomini mostrato col telescopio i Pianeti Medicei; - il principe Federico Cesi, e l'Accademia de' Lincei che si era onorata del suo nome; - la conversazione amichevole specialmente de' cardinali Dal Monte e Maffeo Barberini, suo anche encomiaste poetico; - infine, la presentazione fatta di lui a papa Paolo V [260] dall'ambasciatore toscano; - erano i lieti ricordi del suo trionfo. Tale invero possiamo chiamarlo, quando in una lettera di quel cardinale Dal Monte al Granduca leggiamo: “Se noi fussimo ora in quella repubblica Romana antica, credo certo che gli sarebbe stata eretta una statua in Campidoglio, per onorare l'eccellenza del suo valore.„ Ma in “quella repubblica Romana antica„ non si era più; la via trionfale del Campidoglio metteva erba da un pezzo: e da un'altra via, assai più battuta, là dietro la Basilica di San Pietro, la Sacra Romana Inquisizione, in que' giorni stessi che Galileo era in Roma, mandava una lettera all'Inquisizione di Padova, la quale avea dovuto mescolarsi nelle trascendenze aristoteliche del Cremonino, una lettera che dimandava: “Veggasi se nel processo del Cremonino sia nominato Galileo.„ In quel terribile registro, scienza vecchia e scienza nuova, Aristotile e Archimede, Cremonino e Galileo, erano scritti sulla medesima linea: ma Cesare Cremonino era sempre filosofo e pubblico lettore della Serenissima; e le vicende alle quali si congiunge il nome di fra Paolo Sarpi, erano storia recente.

[261]

Share on Twitter Share on Facebook