VII.

Giova, a questo punto del nostro rapido discorso sopr'una delle più nobili vite che mai abbiano onorata ed esaltata l'umana natura, soffermarsi un tratto, e considerare. Galileo, non ancora toccato il suo cinquantesimo anno, aveva ormai in pugno l'intento nobilissimo di tutte le sue fatiche. Aveva dissotterrato dalla congerie de' vacui e speciosi filosofemi il principio sovrano dell'esperienza, e del ragionamento matematico sui dati genuini di lei; e dopo molte e varie e squisite applicazioni di tale principio ai fenomeni naturali, aveva, sempre mediante l'uso di quello, resa sensibile, al lume della razionale evidenza e dello splendore degli astri, invitta a qualsiasi impugnamento, la costituzione dell'universo. D'ora innanzi, ed era nel vigore d'una sana e ben complessa virilità, la parte ch'egli aveva da Dio verso gli uomini era la divulgazione della nuova dottrina, il suo svolgimento compiuto, la dimostrazione de' particolari, le riprove molteplici del già dimostrato o argomentato, le induzioni ulteriori; [262] ed inoltre, come genialmente egli concepiva il proprio ufficio, l'abbellimento di quella verità coi lumi dell'arte, con le attrattive del sentimento: che fu il creare la prosa scientifica italiana. A ciò fare gli erano sembrate meno atte od anguste le aule della scuola, e aveva traveduto mezzo più efficace la immediata dipendenza da un Principe: aveva presentito ostacoli da Roma, e si era subito mosso a remuoverli o prevenirli. Questa parte, che egli teneva da Dio, doveva essergli contrastata dagli uomini; e più duramente da quelli, fra gli uomini, che parlavano nel nome di Dio.

Le maggiori opere di quei tre ultimi decennii della sua vita, le “grandi opere„ che gli abbiam sentito annunziare, non tanto al desiderato Principe quanto con gioiosa fiducia a sè stesso, nel trasferirsi da Padova a Firenze, furono il Dialogo de' Massimi Sistemi e i Dialoghi delle Scienze Nuove: - il Dialogo de' Massimi Sistemi, in dichiarazione e dimostrazione del sistema Copernicano comparato al Tolemaico, interlocutori i due suoi grandi amici e patroni, il Sagredo veneto e il fiorentino Filippo Salviati, e un buon diavolo di peripatetico, che da uno de' commentatori di Aristotile ha il nome, al quale fa molto onore, di Simplicio: - l'altra opera, i Dialoghi delle Scienze Nuove, pur co' medesimi interlocutori, [263] lavoro eroico de' suoi estremi anni, da cieco infermo e perseguitato, dove, ripigliando i suoi giovanili studi sul Moto, “suggetto eterno„ son sue parole “e principalissimo in natura, speculato da tutti i gran filosofi„, su questo, e “sulla resistenza de' corpi solidi ad essere per violenza spezzati„, pone i principii o, com'egli dice quasi affacciandosi all'avvenire, “apre le prime porte di due nuove scienze, che gl'ingegni speculativi ne' seguenti secoli accresceranno con progresso e trapasso da quelle proposizioni ad altre infinite.„ Insomma, ne' Massimi Sistemi la costituzione della macchina mondiale: nelle Nuove Scienze le fondamenta della fisica moderna. E frammezzo a queste monumentali opere, il cui concepimento occuperebbe esso solo degnamente la vita intera d'un uomo, s'interpongono, materia adeguata all'operosità di tutta intera la vita d'un altro, gli studi (e le incresciose ma pur feconde controversie che li conseguitano) sulle macchie solari, quelli sulle cose galleggianti, quelli sul flusso e riflusso del mare, la trasformazione del telescopio in microscopio e il perfezionamento di questo, il ritrovato per la determinazione delle longitudini in mare, gli studi sulle comete, e da questi quella maraviglia di scrittura polemica che è il Saggiatore: nè la enumerazione è completa: e vi si aggiunge un [264] immenso indefesso carteggio, prezioso del pari per quant'altro contiene di contributo alla scienza, e per essere in troppe pagine il desolato giornale d'un sublime martirio.

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