IV.

Ma - che è, che non è? - mentre codesta gara ferveva tra' letterati fiorentini, ecco che cápita qui una compagnia d'istrioni. Il popolo corse subito in frotta alla Stanza (chiamavano così il loro povero teatro), lasciando in asso e il Cecchi e Lotto e il Cino e il Buonanni. I quali rimasero con tanto di naso quando il nuovo salone della commedia fu concesso da inaugurare a quegl'istrioni vagabondi. Il Lasca se ne frega le mani e ride alle loro spalle.

Tutti i comici nostri fiorentini

Son per questa cagione addolorati:

Prima il Buonanni e la casa de' Cini

Sì favoriti e tanto adoperati;

E Lotto e il Cecchi alfin, piccin piccini,

Con tutti gli altri dotti, son restati,

Parendo questa sorba loro arcigna,

E il Lasca chiude l'occhiolino e ghigna.

Pensando il primo ognuno esser richiesto,

La sua commedia aveva apparecchiato:

Chi l'avea mostra a quello e chi a questo,

Sperando d'ora in ora esser chiamato;

Ma il popol poi veggendo manifesto

l'onor dei Zanni in fino al cielo alzato,

Senza più altro intendere o sapere,

Altre commedie non vuol più vedere.

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Sì che chi n'ha composte ne dia loro.

Pregando che le vogliano accettare;

Poi che ne fanno tanto buon lavoro,

Ch'ogni cosuzza una gran cosa pare.

La voce, gli atti e i gesti di costoro

Sì grazïosi fan maravigliare

La gente alfin fuor d'ogni umana guisa,

quasi quasi crepar delle risa.

Non credo mai che gl'istrion passati,

Volete in Roma o volete in Atene,

Sì capricciosi giuochi e sì garbati

Rappresentasser nell'antiche scene.

Se quei fur buon, questi son vantaggiati,

Questi fan meglio se quei fecer bene;

Onde assai più di lor fieno i Gelosi

Nei secoli avvenir sempre famosi.

Era dunque giunta allora a Firenze nientemeno che la Compagnia dei Gelosi! A quanti di voi questo nome riesce indifferente, e parrà fors'anco ridicolo! Eppure, codesta fu la Compagnia più famosa di quante per due secoli recitarono in Italia e fuori la Commedia dell'arte; ed ebbe per insegna un Giano bifronte col motto che dava ragione del suo nome:

Virtù, fama ed onor ne fêr Gelosi.

“Trappola mio,„ - esclamava in un suo dialogo chine fu per molti anni il condottiero - “di quelle compagnie non se ne trovano più; e ciò sia detto con pace di quelle che hanno solamente tre o quattro parti buone e l'altre sono de pochissimo, valore, e non corrispondono alle principali, [440] come facevano tutte le parti di quella famosa compagnia, le quali erano tutte singolari. Insomma ella fu tale che pose termine alla drammatica arte, oltre del quale non può varcare niuna moderna compagnia de comici„, e mostrò “a i comici venturi il vero modo di comporre e recitar commedie, tragicomedie, tragedie, pastorali, intermedii apparenti, et altre inventioni rappresentative, come generalmente si veggono nelle scene„.

Com'è tristamente efimera la gloria di chi valse per un momento a scuotere la nostra anima o ad allietare la nostra vita, ricreandone sulla scena una immaginaria e dando corpo e voce a' fantasimi che parevan fiochi nelle pagine dei poeti! Che resta ora più di quell'arte onde Gustavo Modena rapiva ed inebbriava i nostri padri? E pensate che nella storia i Gelosi lasciarono una traccia più profonda che non il grande attore del nostro secolo; anche per questo, che la Compagnia del Modena rassomigliò sempre a una monarchia assoluta, mentre quella dei Gelosi fu come un consesso di pari. Povero Andreini! che amara delusione lo aspetterebbe se potesse levare il capo dal suo sepolcro mantovano, egli che nel suo stile enfatico, espressione però sincera del suo entusiasmo, avea vaticinato che il grido dei Gelosi non avrebbe mai vista “l'ultima notte!„

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