IX.

E della signora Vittoria che cosa era mai avvenuto? Non risulta che andasse in Francia coi Gelosi nè che venisse a Firenze; il che vuol quasi dire che non fosse più con loro: una stella così sfolgorante non sarebbe rimasta inosservata! Nel 1580 la ritroviamo a Mantova, condottrice d'una Compagnia, ch'essa chiamava dei Confidenti ma il pubblico non sapeva indicare meglio che come la Compagnia della signora Vittoria; e par che godesse tutte le simpatie del Duca. Il quale, per la benedetta smania che avevano un po' tutti quelli della sua famiglia, di rimpastare e rimaneggiare le Compagnie, in quell'anno diede anche qualche dolore alla diva. Commuove anche noi la lettera scrittagli il 22 giugno dal pietoso segretario. Vi si tocca d'una certa donna, forse della Compagnia di Pedrolino, a cui il Duca sembra cominciasse a far l'occhiolino.

Andai dalla sig.ra Vittoria per darli il buon giorno; et la trovai di tanta mala voglia, che quasi mi fece lacrimare, dicendomi che il s.r Principe Ser.mo ha detto ad alcuni della sua Compagnia, con pena della sua disgratia, debano andare nella Compagnia di quella donna [464] (forsi non troppo sana, per quanto mi vien detto), lamentandosi detta sig.ra, dicendo non saper la causa perchè il Ser.mo sig.r Principe li voglia dare questo danno di smambrare la sua Compagnia, non havendo mai lasciato di servirlo, nè di giorno nè di notte et d'ogni hora, et poi per guiderdone di questo, habbia a meritarsi tale afronte.

Il Duca, fortunatamente, non aveva il cuore di pietra; e quei dolci ricordi, e fors'anche l'abile insinuazione che la rivale della Vittoria non fosse “troppo sana„, lo piegarono a più umani consigli; e nel dicembre di quello stesso anno, in occasione delle nozze del figliuolo, richiedeva ancora che la signora Vittoria, la quale con la sua Compagnia avea ripreso un giro per le varie città, si trovasse pel carnevale a Mantova.

Ma la vera rivale d'arte della signora Vittoria era l'Isabella; e nel maggio del 1589, per le nozze di Ferdinando de' Medici con Cristina di Lorena, ecco che, per volere del Granduca, sono tutte e due a fronte, in Firenze. La Vittoria, “che in quel tempo era il miracolo delle scene„ come attesta anche il Baldinucci, recitò nella commedia sua “favorita„, La Zingana, il 6 maggio; il 13, l'Isabella fece stupir tutti pel suo “valore ed eloquenza„ rappresentando una commedia di sua invenzione, La Pazzia. Dopo, ognuna riprese la sua via: la signora Vittoria coi Confidenti e gli Uniti, l'Isabella coi Gelosi.

[465]

Non sarebbe nè agevole nè interessante accompagnar codeste Compagnie in tutte le loro fortunose peregrinazioni e peripezie. Basterà dirvi che, lasciata Firenze nei primi giorni del '79, i Gelosi andarono in quel carnevale a Venezia, dove per parecchie sere ebbero tra gli spettatori il principe Ferdinando di Baviera. Era questi un antico ammiratore della commedia italiana, chè aveva già nel '65, in occasione delle nozze di Francesco de' Medici con Giovanna d'Austria, goduta a Verona la recita d'un Zanni, a Mantova d'una commedia, a Firenze una splendida rappresentazione preceduta da un prologo fatto da un dottore montato sur un asinello, e a Verona, nel ritorno, d'un'altra commedia molto ridicola e piacevole. Presero, dopo, la via di Mantova, che allora, in grazia della protezione di quei duchi, era come il quartier generale dei comici. Ma ohimè! qui l'accoglienza non fu lieta! Con la data del 5 maggio un decreto ducale ordinò “che tosto abbiano ad essere cacciati dalla città e dallo Stato di Mantova i comici detti Gelosi che alloggiano all'insegna del Bissone, e similmente il sig.r Simone, che recita la parte di Bergamasco, e il sig.r Orazio e il sig.r Adriano che recitano la parte amantiorum, e Gabriele detto dalle Haste loro amico„. Fortunatamente degli Andreini non si parla. Nè vi saprei dire [466] che cosa abbiano fatto gli altri per meritare una tal misura di rigore da un principe che viveva sempre in mezzo ai comici: certo, stinchi di santi questi non erano!

Li ritroviamo a Genova, nel luglio; donde risalirono a Milano. Nel maggio del 1580 vi erano di nuovo, forniti di legale licenza del Governatore; ma nel luglio fu loro proibito di più recitare. Avevano colà un formidabile nemico, nientemeno che il cardinale Carlo Borromeo, che ne avrebbe voluto veder lo sterminio. Ma essi ne seppero dire e far tante, che il Governatore accordò loro di riprendere le rappresentazioni “a partire dal settembre„. Il carnevale dell'81 erano a Venezia; dove tornarono nell'aprile dell'83. Nell'86, a Mantova; e il principe Vincenzo rese alla Isabella “il singolar benefitio et segnalatissimo favore dell'haver accettato Lavinia sua figliola per sua umilissima serva„ cioè di avergliela tenuta a battesimo. Nel gennaio dell'anno appresso, sono a Firenze; dove all'Isabella, feconda oltre che faconda, si presenta l'occasione di richiedere il Granduca di accordarle per una nuova figliuola la grazia che le avea già concessa il principe genero.

Una miglior fortuna toccò alla Compagnia sulla fine del 1602. La novella regina di Francia pur della casa Medicea, Maria, la invitò, con lusinghiera [467] preferenza, d'andare a quella Corte. E fino a che punto l'Isabella vi facesse perdere i lumi e l'intelletto ai nonni di Molière, basteranno a mostrarlo questi versi sciancateli da lei ispirati a un Isaac du Ryer:

Je ne crois point qu'Isabelle

Soit une femme mortelle;

C'est plutôt quelqu'un des dieux

Qui s'est déguisé en femme

Afin de nous ravir l'âme

Par l'oreille et par les yeux.

Nell'aprile del 1604 richiesero ed ottennero licenza dal Re; e la graziosa Regina volle provvedere d'un onorevole benservito la non meno graziosa attrice, “vous pouvant assurer„, scriveva alla duchessa di Mantova, “que pendant qu'elle a demeuré de de ça, Elle a donné tout contantement d'elle et de sa troupe au Roy Monseigneur et à moy„. Ma sulla via del ritorno, a Lione, ecco che l'Isabella s'ammala gravemente; e pochi giorni dopo, il 10 giugno, muore, o, se vi piace meglio, il suo spirito “faussa compagnie au corps, qu'il laissa à la terre pour s'envoler au ciel, sans que les vœux et les cris de ceux qui l'avoient admirè le peuvent retenir„, come dice il più autorevole storico di quei tempi. Allora, e per circa due secoli dopo, in Francia era contesa ai comici la sepoltura in terra benedetta; [468] ma la morte d'Isabella commosse perfino il curato, che scrisse nei suoi registri: “Elle est décédée avec le commun bruit d'estre une des plus rares femmes du monde tant pour estro docte que bien disante en plusieurs sortes de langues„. Fu portata al sepolcro con tutti gli onori, “favorita„, come attesta Beltrame, “dalla Communità di Lione.... d'insegne e di mazzieri, e con doppieri da' Signori Mercanti accompagnata, et hebbe un bellissimo epitafio scritto in bronzo per memoria eterna„.

Francesco Andreini, perduta la cara compagna, sciolse anche la Compagnia, e da quel giorno non attese che alla pubblicazione delle proprie opere in versi e in prosa, tutte, più o meno direttamente, consacrate alla memoria della donna adorata.

Ma alla sua gloria e all'onore di quell'arte di cui era stata tanto decoro, l'Isabella avea provveduto meglio da sè stessa; e in verità non colle sue commedie e i suoi poemi, bensì mettendo al mondo, in Firenze, sulla fine di quello stesso anno 1578 in cui il Lasca vi avea così festosamente salutato l'arrivo dei Gelosi, il suo primogenito, Giambattista. Erede delle virtù e delle virtuosità materne, questi, rispetto a suo padre, sta come il poeta dell'Aminta rispetto a quel dell'Amadigi. Sul teatro si chiamò Lelio, e fu lungamente a capo della Compagnia dei Fedeli, che nel 1604 si [469] ricompose in gran parte con i comici di quella disciolta dei Gelosi. Nel 1601 sposò, a Milano, la diciottenne Virginia Ramponi, che, sotto la intelligente direzione del marito, dovea ben presto, col nome di Florinda, far sembrare non del tutto irreparabile la perdita della suocera. Lo affermava al dolente figliuolo uno di quei tanti rimatori che si sciolsero in lagrime sulla tomba d'Isabella:

Vive la madre tua ne la tua sposa,

Chè de lo suo divin dandole parte,

In Virginia respira e in lei si cole.

E con migliore eloquenza lo dissero i fatti. Celebrandosi nella primavera del 1608 in Mantova le nozze del principe Francesco con Margherita di Savoia figlia di Carlo Emanuele I, una delle romanine, la Caterinuccia Martinelli, doveva cantarvi l'Arianna, opera di Ottavio Rinuccini colle arie del Monteverdi e i recitativi del Peri. Nei primi giorni di marzo, colpita di vaiolo, la cantatrice muore. Dove e come trovare in sì poco tempo chi potesse sostituirla? Ecco che si offre la Virginia Andreini! Antonio Costantini, l'amico del Tasso, scriveva di là il 18 marzo:

Iddio ha inspirato di far prova se la Florinda fosse abile in far questa parte; la quale in sei giorni l'ha benissimo a mente, e la canta con tanta grazia ed affetto, che ha fatto maravigliare Madama, il signor Rinuccini e tutti i signori che l'hanno udita.

[470]

Tra codesti ultimi c'era fors'anche il Marino, che nell'Adone (VII, 68), parlando degli effetti della Lusinga, ne lasciò ricordo:

E in tal guisa Florinda udisti, o Manto,

Là nei teatri de' tuoi regi tetti,

D'Arïanna spiegar gli aspri martiri,

E trar da mille cor mille sospiri.

La Florinda fu gran parte dei trionfi dei Fedeli in Italia e in Francia, fino a che, nel 1627, scomparve dalla scena del mondo. L'infedele capo dei Fedeli non seppe però imitare l'esempio paterno, e rimase a diriger la Compagnia fino al 1652, quando, vecchio settantenne e rimaritato per di più alla commediante Lidia, abbandonò finalmente il teatro.

Egli lasciò dietro di sè un gran fardello di poemi lirici ed eroici, commedie, tragedie sacre e profane, tragicommedie, pastorali, sonetti, dialoghi, visioni; e se per essere un gran poeta gli mancaron parecchi numeri, non fu di sicuro uno di questi il numero delle produzioni. Qualcosa però gli sopravvisse; e attira ancora su di sè gli occhi curiosi degli eruditi e dei dilettanti quella sacra rappresentazione l'Adamo, che par certo servisse di scenario al Paradiso Perduto. “Il y a souvent„, dice il Voltaire, “dans des choses où tout paraît ridicule au vulgaire, un [471] coin de grandeur qui ne se fait apercevoir qu'aux hommes de génie„; e Milton “découvrit, à travers l'absurditè de l'ouvrage, la sublimitó cachée du sujet„.

Share on Twitter Share on Facebook