VIII.

Era codesta Compagnia appunto che nei primi giorni del 1578 veniva a Firenze a metter lo scompiglio tra quei commediografi rivali. Il Lasca compose una specie di cartello per annunziarne l'arrivo, e sempre a strazio dei suoi prosuntuosi colleghi:

Facendo il Bergamasco e 'l Veneziano,

N'andiamo in ogni parte,

E 'l recitar commedie è la nostr'arte....

Questi vostri dappochi commediai

Certe lor filastroccole vi fanno,

Lunghe e piene di guai,

Che rider poco e manco piacer dànno;

Tanto che per l'affanno,

Non solamente agli uomini e alle donne,

Ma verrebbero a noia alle colonne.

E invitava a più riprese i concittadini a venir

. . . . . alla Stanza ad udir Zanni,

La Nespola, il Magnifico e 'l Graziano,

E Francatrippa che vale un tesoro,

E gli altri dicitor di mano in mano,

Che tutti fanno bene gli atti loro!

Il Magnifico Pantalone era ancora quel medesimo che aveva destata l'ammirazione di Enrico [460] III. Il Graziano, vale a dire il pedante bolognese, era Lodovico de' Bianchi, il più famoso interprete ma non il creatore di quel tipo dacchè già col Ganassa recitava un Lus Burchiello Gratià. Il Lasca descrive il modo onde si cavava la berretta:

Che gentilmente la piglia con mano,

Poi la scuote e dimena con gran fretta;

E quanto l'usa più di dimenare

Più vuol amico o signore onorare.

Francatrippa, che parlava il dialetto bolognese turbato da qualche toscanesimo, era Gabriello Panzanini. E poi, un altro bolognese, Simone, recitava da Arlecchino, e si trova segnalato come osservatore del “vero dicoro de la Bergamasca lingua„. E non mancava una caricatura locale, Zanobio da Piombino, affidata a Girolamo Salimbeni.

Conduceva tutta questa brava gente il pistoiese Francesco Andreini, il Capitano Spavento. Non contava che trent'anni; ma li aveva molto ben vissuti. Imbarcatosi giovanissimo sulle galee toscane, era caduto nelle mani dei Turchi; donde non riuscì a scappare che dopo otto anni di schiavitù. In grazia della sua coltura e del suo talento, aveva trovata buona accoglienza nella Compagnia dello Scala. Recitò prima da Innamorato, ma rivelò meglio sè stesso nella parte di [461] Capitan Spavento da Vall'inferna (Valdinferna è una città che occorre sentir nominare nei romanzi cavallereschi); e, a volte, si provava ad inventarne anche qualche altra. A Milano, per esempio, ei racconta d'aver rappresentata “la parte d'un Dottor Siciliano, molto ridicola„ e quella “d'un Negromante detto Falsirone, molto stupenda per le molte lingue ch'egli possedeva, come la francese, la spagnuola, la schiava, la greca, la turchesca„, e “maravigliosamente poi la parte d'un pastore nominato Corinto nelle pastorali, suonando varii e diversi stromenti da fiato, composti di molti flauti, cantandovi sopra versi boscarecci e sdruccioli ad imitazione del Sannazaro„.

A Firenze, nei primi mesi di quel 1578, ebbe la fortuna di sposarsi all'artista che ha lasciato il più illustre nome nella storia del nostro teatro, a quella maravigliosa Isabella “bella di nome, bella di corpo e bellissima d'animo„ (lo attesta il marito che lo doveva sapere!) “monarchessa delle donne belle e virtuose„, la quale adoperava “per rocca il libro, per fuso la penna e per ago lo stile„. Aveva allora sedici anni (era nata a Padova nel 1562). E non vorrei sospettaste che nelle parole del comico marito ci fosse dell'esagerazione. Tommaso Garzoni - il lodatore della divina Vittoria, che pare quindi fosse specialista [462] pei panegirici delle prime donne - la dichiarava “decoro delle scene, ornamento de' theatri, spettacolo superbo non meno di virtù che di bellezza„, e prognosticava che “mentre il mondo durerà, mentre staranno i secoli, mentre havranno vita gli ordini e i tempi, ogni voce, ogni lingua, ogni grido risuonerà il celebre nome d'Isabella„. Il Bayle riferisce ch'essa “chantait bien et joüait admirablement des instrumens„; il Della Chiesa, che “scriveva benissimo in latino, spagnolo e francese, et haveva non poca cognitione delle cose di filosofia„; il Quadrio, che alla sua arte, “riputata universalmente pericolosa per l'onor delle donne, seppe ella una somma pudicizia e un costume innocentissimo accompagnare„. E a lei viva inneggiò il Chiabrera quando l'ebbe sentita recitar a Savona nel 1584; a lei morta, il Marino. E se vi par poco, sappiate ch'ella commosse anche la musa del Tasso; il quale - in un banchetto dal cardinale Aldobrandini dato in onore di lei, a cui erano pure invitati altri sei cardinali, Antonio Ongaro “ed altri poeti chiarissimi„ - potè sederle vicino, ed indirizzarle un sonetto olezzante di raffinata galanteria.

[463]

Share on Twitter Share on Facebook