VI.

Ma torniamo indietro, a tempi più lieti. Quando, nel 1578, la celebre Compagnia venne a Firenze con tanto piacere del Lasca e tanto dispetto degli altri commediografi, essa tornava dalla Francia, dove aveva mietuta una larga messe di allori. Vi era stata invitata da una regina italiana, Caterina de' Medici, che nella Corte francese avea portati i suoi gusti e la sua coltura di dama fiorentina della Rinascenza.

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Ci si rispettava come sovrani nel regno dell'arte pure allora che ci si vedeva così bassi politicamente! E chi oltre monti ed oltre mare avesse cuore gentile, apprendeva con la lingua dei nostri avi la nostra, per poter gustare l'armonia del periodo del Boccaccio o del Machiavelli, la melodia soave dei sonetti del Petrarca o del Bembo, la cadenza arguta o malinconica delle ottave dell'Ariosto e fra poco del Tasso. Che stupore in quel popolo, che ora pare arrogarsi il monopolio d'ogni cosa che si riferisca al teatro, quando, nel 1548, potette assistere alla rappresentazione della Calandria, che la “natione fiorentina„ fece dare a Lione dai migliori comici che vivessero allora in Italia, e che essa avea fatti venire con grandi spese per onorare la regale concittadina! Il testimone Brantôme confessa quello spettacolo essere “chose que l'on n'avoit encores veu, et rare en France, car paradvant on ne parloit que des farceurs, des connardz de Rouan, des joueurs de la Basoche, et autres sortes de badins et joueurs de badinages, farces, mommeries et sotteries„. Che incanto quegli apparati e quelle prospettive di Firenze, dipinte dal fiorentino Nannoccio! E che maraviglia quei commedianti, e specialmente quelle commedianti “qui estoient très-belles, parloient très-bien et de fort bonne grâce!„ [450] Dopo quell'anno, nel 1555, erano stati recitati alla Corte, da alcuni gentiluomini, i Lucidi del Firenzuola e la Flora dell'Alamanni; e nel '60, dalle figliuole stesse del Re e da altre dame e damigelle, la Sofonisba tradotta dal Saint Gelais. Ma su codesta tragedia la Regina “eut opinion qu'elle avoit porté malheur aux affaires du royaume„, e di tragedie non volle più saperne; “mais ouy bien des comédies et tragicomédies, et mesmes celles de Zanni et Pantalons, y prenant grand plaisir, et y rioit son saoûl comme une autre, car elle rioit volontiers„.

Correva l'anno 1571 allorchè questa prima Compagnia di comici dell'arte passò in Francia, chiamatavi in occasione delle feste per l'entrata in Parigi del re Carlo IX con la sua sposa. La vivacità e gaiezza dei nuovi comici, la facilità e spontaneità della loro improvvisazione, i vezzi delle servette e le virtuose galanterie delle prime donne, conquistaron tutti, prìncipi e cortigiani; e l'ambasciatore d'Inghilterra si affrettò a darne conto, in un dispaccio ufficiale, alla sua Regina, che tra' suoi sudditi contava già il giovanetto Shakespeare. In Francia però le rappresentazioni teatrali eran di privativa di alcune confraternite religiose; e, profittando dell'assenza del Re, queste si querelarono ai magistrati. I quali, troppo timorati di coscienza per voler partecipare all'ammirazione [451] dei loro sovrani per gl'istrioni d'oltremonti, furon lieti di fulminar contro di essi multe ed ostracismo. La protezione regale bastò appena a quella povera gente per salvarla dalle multe.

Sennonchè l'anno appresso riapparvero a Parigi, per allietare le nozze del re di Navarra con una delle sorelle del Re. La Compagnia, che sembra avesse già allora il titolo dei Gelosi, era condotta da un bergamasco Alberto, noto pel suo nome o soprannome di Ganassa; al quale oltre tutto il resto, si deve fors'anche l'invenzione della parte e del nome del secondo Zanni, cioè dell'Arlecchino. A Mantova, prima di passar le Alpi, avea dovuto, per volere del Duca, fondere la sua antica Compagnia con l'altra condotta da Pantalone; onde il Brantôme accennava alle loro commedie come “celles de Zanni et Pantalons„, e un signor De la Fresnaye Vauquelin immortalerà nei suoi versi

Ou le bon Pantalon, ou Zany dont Ganasse

Nous a représenté la façon et la grâce.

È d'un effetto tragicomico il leggere, con una data anteriore di solo qualche giorno alla terribile tragedia di San Bartolomeo, una nota di pagamento del Tesoriere di Corte “à Albert Ganasse,' joueur de commédies...., tant à luy que à ses compaignons, en considération du plaisir qu'ilz [452] ont donné à Sa Majesté.... en plusieurs commédies qu'ilz ont représentées par diverses fois devant sa dicte Majesté„.

Nell'ottobre, la Compagnia era ancora a Parigi. Poi sembra si riscindesse; chè, nel 1572, sentiam parlare di Gelosi a Genova e, nel '74, a Venezia, e intanto il Ganassa va a cercar fortuna di là dai Pirenei. Egli che avea fatto tanto ridere i francesi contraffacendo un borioso gentiluomo spagnuolo col nomignolo di baron de Guenesche a cui faceva parlare un misto di bergamasco e di spagnuolo, ora va alla Corte di Filippo II, a far ridere, se non il Re che dicon non ridesse mai, appunto quei baroni valamediós!

Da qualche anno un misterioso dramma si era chiuso in quella Corte: la primogenita di Caterina de' Medici, promessa sposa al principe don Carlos ma sposata poi dal re Filippo, si era spenta d'un male arcano nella fiorente giovinezza di ventitrè anni; e con lei era stato spento il principe amante. Isabella o Elisabetta di Francia avea fatto da spettatrice e da attrice nelle recite che s'eran date nella Corte francese; e in Ispagna, per quegli anni che vi rimase, fece forse brillare il sorriso delle Muse che s'eran ridestate così vezzose nel fiorito nido del suo casato materno. Certo, la compagnia “des comediantes italianos, cuya cabeza y autor era Alberto [453] Ganassa„, vi ebbe lieta accoglienza. Rappresentava “comedias italianas, mímicas por la mayor parte y bufonescas de asuntos triviales y populares„, nelle quali figuravano “las personas de Arlequin, del Pantalon, del Dotore, etc.„ E un contemporaneo ci fa fede che, sebbene il Ganassa non vi fosse “bene e perfettamente inteso, nondimeno, con quel poco che s'intendeva, faceva ridere consolatamente la brigata; onde guadagnò molto in quelle città, e dalla pratica sua impararono poi gli Spagnuoli a fare le commedie all'uso hispano, che prima non facevano„.

Non vogliate credere che codesta sia una vuota vanteria. La commedia popolare italiana fece colà l'effetto d'una folata di vento che spazzasse via la nebbia dei pregiudizi. E non è forse senza merito del Ganassa se Lope de Vega, che allorchè questi andò in Ispagna era sui dodici anni, potè dire: “Quand'io mi metto a scrivere una commedia, chiudo le regole sotto dieci chiavi e mando fuori della mia stanza Plauto e Terenzio per paura che non mormorino contro di me. Scrivo seguendo la maniera che hanno inventata quelli che ricercano gli applausi del pubblico. Giacchè infine, visto ch'è lui che paga, mi sembra giustissimo parlargli, magari da ignorante, sempre però in modo da divertirlo.„

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