VII.

Quei compagni del Ganassa che non lo aveano seguito di là dai Pirenei, recitarono nel carnevale del 1574 a Venezia, e nella primavera trapiantaron le tende a Milano, dove concorsero alle feste che la città celebrò in onore di don Giovanni d'Austria, l'eroe di Lepanto. Ma nel luglio erano richiamati sulle lagune.

Doveva passar per Venezia il secondogenito di Caterina de' Medici, Enrico re di Polonia, che, morto il fratello Carlo, correva ad occupare il trono ereditario. La Serenissima si diede un gran da fare per riceverlo degnamente; e, tra l'altro, mandò ai confini quattro patrizi per sapere dalla bocca del Re quali divertimenti gli andassero più a sangue. E quel principe, ch'era fuggito di notte, per una porticina segreta, dalla reggia di Varsavia, venendo così meno ai suoi regali impegni verso quel popolo generoso che se l'era eletto a sovrano; quel principe, a cui la madre ingiungeva di affrettarsi per venire ad impadronirsi della corona più temuta d'Europa; tra le cure e le ansie d'un viaggio fortunoso, trovò il modo di [455] far sapere al governo della Repubblica che egli aveva un ardente desiderio di sentir recitare i commedianti che erano stati a Venezia nell'inverno: specialmente la prima donna, della quale la fama era giunta sino a lui! Particolare degno della fantasia di Shakespeare! E com'è comico quel futile affaccendarsi dell'ambasciatore repubblicano perchè non manchi la bramata donna agli svaghi del Re Cristianissimo; e del residente milanese perchè i commedianti si trovin pronti a Venezia pel giorno dell'arrivo!

Non ci fu tempo che di rappresentar due commedie improvvise e una “molto grata et gratiosa„ tragicommedia. Anche di questa dicono sentisse “mirabil piacere„ quel re tragicomico. Ma non pare che della donna rimanesse molto sodisfatto. Eppure, che perfezione quella signora Vittoria! “Divina Vittoria„ - esclama un contemporaneo - “che fa metamorfosi di sè stessa in scena; .... bella maga d'amore che alletta i cori di mille amanti con le sue parole; .... dolce sirena che ammaglia con soavi incanti l'alma dei suoi divoti spettatori; e senza dubbio merita d'esser posta come un compendio dell'arte, avendo i gesti proportionati, i moti armonici e concordi, gli atti maestevoli e grati, le parole affabili e dolci, i sospiri leggiadri ed accorti, i risi saporiti e soavi, il portamento altiero e generoso, e in tutta [456] la persona un perfetto decoro, quale spetta e s'appartiene a una perfetta commediante„. E un altro contemporaneo che fece da cronista di quelle feste, Thomaso Porcacchi, la disse “unica„. Tuttavia il re Enrico, quando qualche anno dopo ebbe dato assetto agli affari di Stato e potè ripensare ai bei giorni trascorsi a Venezia, non richiese più di lei con l'antico entusiasmo; scrisse invece di suo pugno all'ambasciatore francese presso la Repubblica questo biglietto:

Maintenant que la paix est faite en mon royaume, je désire faire venir par de ça le Magnifique qui est celuy qui me vint trouver à Venise lors de mon retour de Pologne avec tous les comédiens de la compagnie des Gelosi. Je vous prie faire chercher le dit Magnifique, et luy dire qu'il me vienne trouver suivant la lettre que je luy escris, laquelle vous luy ferez bailler: vous luy ferez aussy fournir l'argent qui luy sera nécessaire pour son voyage et me mandant ce que vous luy aurez baillé. Je commanderay à ceux de mes finances qu'il vous soit aussy tost rendu...

Henry.

Giulio Pasquati era in verità un Magnifico non soltanto di nome. Il cronista aveva già detto di star in dubbio, nella sua maniera di recitare “qual sia maggiore in lui, o la gratia o l'acutezza de' capricci spiegati a tempo et sententiosamente„. Per il momento però non era a tiro: deliziava un altro monarca, l'imperatore d'Austria; e bisognò aspettare che terminasse [457] colà i suoi impegni. Ad ogni modo, il 25 gennaio del 1577 egli insieme coi Gelosi era a Blois, dove il re Enrico aveva convocati gli Stati Generali; e quella stessa sera recitarono, innanzi al miglior fiore dell'aristocrazia francese e nella medesima sala, superbamente addobbata con arazzi istoriati a fil d'oro, dove si radunavano i rappresentanti della nazione. Giungevan con un po' di ritardo, anche perchè per via, nelle vicinanze della Charité sur Loire, eran caduti nelle mani degli Ugonotti, che avean preteso ed ottenuto dal Re un considerevole riscatto; ma sempre in tempo per far girar la testa a quegli affaccendati oziosi. Nè valse che un ardimentoso predicatore della Corte spingesse la sua audacia sino a biasimare, alla presenza stessa del Re, chi interveniva a quegli spettacoli profani e scandalosi; poichè quel giorno medesimo i sovrani e la Corte si recarono alla commedia!

Condottiero della Compagnia sembra che fosse Flaminio Scala, insigne, come dice il suo biografo, “per essere stato il primo che alle commedie dell'arte improvvisa abbia dato un ordine aggiustatissimo con tutta la buona regola, ed avendone inventate un gran numero„. Suo è lo scenario del Cavadenti, di cui vi ho letta una parte; e suoi son pure gli altri quarantanove, che compongono tutti insieme Il teatro delle favole [458] rappresentative overo la ricreatione comica boscareccia e tragica divisa in cinquanta giornate, ch'è la più antica raccolta di scenari e il fior fiore del repertorio dei Gelosi.

Chiusi il 7 marzo gli Stati Generali, lo Scala, prima di tornare in Italia, diede delle rappresentazioni a Parigi, in quella sala del Petit-Bourbon dove alcuni anni dopo, nel 1614, si sarebbero tenuti gli ultimi Stati Generali della Francia monarchica anteriore all'Ottantanove, e dove fra meno d'un secolo il figlio del tappezziere Poquelin avrebbe inaugurata la vera commedia moderna, cementando le macerie scomposte della nostra Commedia dell'arte. Ma la Compagnia si attirò anch'essa contro le ire delle confraternite e dei magistrati. E questa volta con maggior ragione, perchè i comici attiravano ai loro spettacoli tanta folla quanta non era quella che accorreva alle prediche dei quattro migliori predicatori di Parigi messa insieme! Lo attesta, brontolando nel segreto del suo diario, un membro del Parlamento. Il Re però fece sentire la sua voce e pesare la sua protezione; e quel magistrato brontolone notò: “la corruption de ce temps estant telle que les farceurs, bouffons, mignons,... avaient tout crédit auprès du roi„.

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