V.

Per la fecondità de' motivi comici, ripeto, il Goldoni è grandissimo: perchè a far piangere dalla scena anche scrittori mediocri talora riescono; certi fatti pietosi che narrati, per esempio, da un giornale non commovono nessuno, portati sul palco scenico provocano nella platea e ne' palchi lacrime schiette e tossi dissimulatrici. Gente che ha letto cento volte a occhi asciutti la storia della rivoluzione, piange al veder sulla scena il Santerre rapire il Delfino a Maria Antonietta. Di donne, di bambini lasciati in squallido abbandono da' mariti e da' padri incalliti nella crapula, si [223] sente parlare ogni giorno; ma nessuno, pur commiserandoli, tira fuori il fazzoletto di tasca. Ma chi sa dirmi quante migliaia di fazzoletti si bagnarono per i simili casi di Maria Giovanna, la protagonista di un dramma, quanto all'arte mediocrissimo, del Dennery?

Altro è quando si tratta di comico: il perchè si pianga s'intende; non sempre invece il perchè si rida. Che cos'è questo riso?, domandava Cicerone a sè stesso. In qual modo si provoca? Qual'è la natura sua? Perchè scoppia a un tratto senza che a noi sia possibile il trattenerlo? E conchiudeva così, come si può conchiudere anche oggi dopo che tanti - e ieri stesso il Melinand nella Revue des deux mondes, - si affaticarono a rispondergli: “Io non mi vergogno di non lo sapere, nè lo sanno coloro che si arrogano di spiegarmelo: ne ipsi sciunt qui pollicentur.„

Voi vi impietosite e a ragione dei casi di Giulietta e Romeo; vi intenerite per la narrazione o il ricordo dell'affetto loro e della tragica sorte. Or bene: se all'immaginazione vostra balenino un Romeo lungo, allampanato, con le braccia scendenti fino a' ginocchi, una Giulietta bassotta, pingue, pletorica, voi riderete. Perchè dunque si mutano nella mente vostra i lor connotati, [224] scema forse l'ardore di quell'affetto, e quella morte è men miserevole? E se vi muovono alle risa gli amanti fisicamente imperfetti, perchè vi fa fremere ma non ridere l'amore di Quasimodo, oscenamente deforme, per Esmeralda? Perchè vi fan ridere allo stesso modo Falstaff con le sue sozzure e Don Chisciotte con le sue idealità? Ma parliamo più particolarmente del teatro. Perchè fa ridere lo scemo, il Jocrisse, che è pure un essere manchevole, un disgraziato il cui mancamento nella vita reale ci parrebbe crudeltà prendere a dileggio? Perchè, mentre a nessuno è mai passato per il capo di incitare al riso esponendo sul teatro uno storpio od un monco, il sordo, con infermità peggiore, ha servito per secoli a spassar le platee? Carlo Collé pose sulla scena una donna incinta; egli racconta che quel personaggio, rappresentato da un uomo, provocò risa omeriche; quando da una donna, nausea invece e disgusto. Perchè? Perchè fa ridere il marito ingannato, quando, ben inteso, non vendica l'oltraggio? Perchè fa ridere Ludro quando froda con raggiri e con cabale i men scaltri di lui? E son fenomeni questi soltanto estetici: chi ride, sebben rida, è pronto a condannare il raggiratore e la donna infedele. E perchè, da che teatro è teatro, si ride del marito tradito dalla moglie, e della moglie tradita dal marito non s'è [225] mai riso ch'io sappia nè riderebbe, credo, nessuno? Misteri. Io penso che uno scrittore di commedie, se anche non de' primi, purchè ingegnoso ed esperto, possa talora sicuramente dire a sè stesso: con questa parlata mi farò batter le mani, a questo punto, se anche non ci saranno lacrime, commozione nel pubblico ci sarà: non credo invece che alcuno, il quale sdegni di dar nel grottesco, possa con pari sicurtà, e quando non si tratti di barzellette, promettersi: io qui farò ridere. Il Goldoni unico, non sgarra mai e ci riesce ogni volta che vuole.

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