VI.

Unico; in ciò lo stesso Molière è a lui inferiore e di molto. Già, tra il Molière e il Goldoni, diciamolo subito e in fretta, non c'è mai per nessuna ragione raffronto possibile, se non a certificare in che l'uno differisca dall'altro. Il Goldoni vede tutto roseo e il Molière tutto nero; ma anche a prescindere dalla diversa indole e dai troppo diversi casi della vita, il Molière è un pensatore profondo e il Goldoni non è; e chi per smania di perifrasi chiama il Goldoni il Molière italiano cade in un errore de' più solenni, come se dicesse [226] che il Racine è l'Alfieri francese. A dimostrare quale abisso per certe qualità della mente interceda fra loro basta un frammento delle Memorie.

Discorrendo del Burlador de Sevilla di Tirso de Molina il Goldoni scrive: “Tutti conoscono quel cattivo dramma spagnuolo che gl'Italiani intitolano Il Convitato di Pietra e i Francesi Le Festin de Pierre. A me ha sempre fatto orrore e non ho mai capito come una tale farsaccia potesse alla lunga reggersi sul teatro, e piacere a persone civili. I comici italiani erano di ciò maravigliati anche loro; ma o per burla o per ignoranza dicevano che l'autore del Convitato di Pietra s'era con un patto legato col diavolo affinchè questi glielo facesse applaudire. Non mi sarebbe mai venuto in mente di lavorare intorno a tale argomento; ma poichè il Molière e Tommaso Corneille lo trattarono, presi a regalare alla mia patria un dramma simile, per porre il diavolo in grado di mantenere la promessa con un po' più di decenza.„

Il Don Giovanni del Molière in un mazzo con quello di Tommaso Corneille, e niente più. Il buon Goldoni è passato accanto alla più scespiariana delle commedie molieresche, a uno dei capolavori dello spirito umano e non se ne è neanche [227] accorto. Intento, diciamolo con parola d'oggi, in quel suo realismo, in quella minuta osservazione del vero ch'era già il suo metodo e fu poi la sua gloria, ciò che dalla leggenda era passato sulla scena di fantastico e d'extra-naturale gli parve così insulsa scempiaggine, da allogare quell'argomento fra i buoni, tutt'al più, per una commedia a soggetto. Giudicò co' criteri, diciam così, teatrali: e tenne perciò, ragionevolmente, inferiore il Don Giovanni al Misantropo ed al Tartuffo: non soltanto; forse anche non degno figliuolo di chi aveva messo al mondo il Tartuffo e il Misantropo. Lesse sbadatamente forse, come una qualunque battuta de' suoi comici, le parole che Sganarello profferisce nella prima scena: “Quale flagello un gran signore malvagio!„ parole a cui la commedia tutta è poi conferma e commento. Così egli non seppe addentrarsi nel pensiero onde è animata quella maravigliosa commedia, nè scorgere perciò quanto fosse di ardimento e di saggezza in quel pensiero medesimo; nè finalmente pregiare la profondità di una osservazione diversa dalla sua, in quanto era anche visione.

Dopo aver nel Tartuffo mostrata trionfante l'ipocrisia, ora nel Don Giovanni il Molière, com'altri disse, mostrava l'ateismo trionfante; l'una innanzi agli occhi della Francia a' suoi tempi, l'altro, natural conseguenza, spettacolo alla Francia [228] avvenire. Dopo il padre Tellier, il Reggente: fino a che negli alti ceti disonorato il bene, il male cinicamente ostentato, il popolo, che il Molière simboleggia nell'onesto mendico, piglierà il sopravvento, egli tuttavia custode della fede e della virtù.

E il Goldoni letta la commedia del Molière, per arricchire la patria di qualche cosa di simile, scrive, ahimè! il Don Giovanni Tenorio.

Ma sospirato questo “ahimè!„ manteniamo al Goldoni il suo posto: e ripetiamo che nella vis comica il Molière non lo eguaglia; anzi egli non è, se m'è lecita la frase, giocondamente comico mai: o vela di sorrisi la melanconia, o casca nel grottesco, come nel Pourceuagnac e nel Malade imaginaire.

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