VII.

Il Giorno, di cui pubblicò nel 1763 la prima parte (Il Mattino), e nel 1765 la seconda (Il Meriggio), non le odi che non raccolse mai, fecero celebrato il Parini da vivo; e certo nel poema, così nobile di pensiero, così leggiadro d'invenzioni, così elegante di stile, così magistralmente variato nelle intonazioni e nell'accento de' versi, nel poema più che nelle odi sta la ragione della sua [302] grandezza. Incontentabile come era, lo lasciò incompiuto; e più copie lasciò corrette e ricorrette, delle parti che ne aveva date alle stampe. Anche per l'intenzione formale dell'arte e pel modo di lavorare il Parini è il maestro diretto del Foscolo, che, tutto industriandosi nella rappresentazione precisa e insieme estetica delle cose, amò procedere di quadretto in quadretto, e incontentabile anche lui non riuscì a finire le Grazie. Ma dall'altro lato il Parini, nel poema e nelle odi, è padre della scuola che si onorò di Alessandro Manzoni.

Il poeta che si propose congiungere l'utile al vanto di lusinghevol canto, e che richiamò la poesia da' giuochi della mente ai moti dei cuori, inspiratrice di virtù, l'artista che fe' getto delle ciance arcadiche e lavorò un poema moderno, contemporaneo, senz'altra mitologia se non quella che l'argomento recava con sè per l'ingegnosa imitazione e parodia della moda tutta amorini, fu ben a ragione vantato come maestro primo de' Lombardi che dopo il 1816 affermarono nobilmente la nuova scuola. Fin dal 1806 tale derivazione era stata sentita dal giovane Manzoni, quando nei versi in morte dell'Imbonati, scolaro del Parini, si faceva ripetere da lui gli ammonimenti famosi: sentire e meditare, non tradire la verità, non contaminarsi mai, volgere l'arte a [303] incremento di virtù. E scolaro vero e proprio del Parini fu Giovanni Torti; e antesignano de' romantici lui riconobbero anche gli avversarii.

Ben a ragione, anche per certe qualità dell'ingegno fantastico. Chi si aspetterebbe da un poeta a mezzo il Settecento questo accenno alle Fate?

Fama è così che il dì quinto le Fate

Loro salma immortal vedean coprirsi

Già d'orribili scaglie e, in feda serpe

Vôlte, strisciar sul suolo, a sè facendo

De le inarcate spire impeto e forza;

Ma il primo Sol le rivedea più belle

Far beati gli amanti, e a un volger d'occhi

Mescere a voglia lor la terra e il mare.

E originalissimo allora l'accenno a' signorotti e a' bravi del secolo XVII, e più la descrizione della gelosia medievale, quando i mariti, fatto preparare un funebre catafalco, offrivano alle mogli infedeli la scelta tra il veleno e lo stile; e quella della notte quale un tempo appariva su le torri “di teschi antiqui seminate al piede,„ con upupe e gufi svolazzanti, e fuochi fatui, e urla di fantasime, cui per entro al vasto buio “i cani rispondevano ululando.„ Una poesia, scritta a cinquant'anni sonati e rimasta a mezzo, mostra forse le origini di tanta romanticheria, e così efficace, del Parini. Non era uscito dalle fasce e già le sdentate donnicciuole del vicinato gli avevano empita la mente di novelle: le streghe [304] attorno al noce di Benevento, i folletti maliziosi, gli spettri paurosi:

Con la bocca aperta e gli occhi

E gli orecchi intento io stava;

Mi tremavano i ginocchi;

Dentro il cor mi palpitava.

Al venir de le tenèbre

M'ascondea fra le lenzuola:

Indi un sogno atro e funèbre

Mi troncava la parola.

Non di meno al novo giorno

Obliavo i pomi e il pane;

A le vecchie io fea ritorno

E chiedea nuove panzane.

Sembra, anche pel metro, una romanza di Arrigo Heine.

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