VI.

Se il giovin signore ammaestrato nel Giorno è proprio il rovescio dell'Achille dell'ode, il precettore che nel Giorno lo ammaestra non è il rovescio di Chirone, nè poteva essere. Il giovin signore (che che altri allora ne malignasse e qualche critico abbia poi cercato dimostrare) non è una data persona; è un tipo imaginario, composto di chi sa quante persone, atteggiato in [298] chi sa quanti modi, che il poeta aveva osservati e colti nel fatto. Potè per ciò riuscirgli quale lo voleva; perfettamente vuoto, insulso, indegno, così da non poter essere neppure un tipo drammatico. Ma il precettore che parla per tutto il poema è, in fondo, il Parini medesimo che si vale dell'ironia. Per maneggiarla a dovere egli usa ogni accortezza; per non romperla si frena quanto può: se non che, mentre scrive, due ordini di reminiscenze lo distraggono di continuo, tentano sviarlo: le campagne della sua Brianza, e gli effetti sinistri dell'egoismo di quel fantoccio cui si volge. Campagne lontane; effetti troppo spesso presenti.

Addio, monti sorgenti dell'acque! Quanto era meglio (par che dica il poeta) restare tra voi, e uscir la mattina all'alba lungo le siepi fiorite, e scuoterne passando la rugiada che rifrange quasi gemme i raggi del sole nascente! vedere il contadino avviarsi al campo spingendosi innanzi i buoi, udir da lontano i colpi del fabbro nella sonante officina! Quanto era meglio ammirare d'estate il crescere della bufera col tuono sempre più rimbombante di monte in monte su la valle e su la foresta,

Finchè poi scroscia la feconda pioggia

Che gli uomini e le fere e i fiori e l'erbe

Ravviva, riconforta, allegra e abbella!

[299]

Quanto era meglio veder la luce del tramonto indugiarsi rosea su le cime de' colli; meditare la rotazione incessante della Terra intorno all'astro, scendere col pensiero, mentre l'astro pareva calasse laggiù dietro l'orizzonte, scendere all'altro emisfero che si affrettava a goderne!

Già sotto il guardo de la immensa luce

Sfugge l'un mondo; e a berne i vivi raggi

Cuba s'affretta e il Messico e l'altrice

Di molte perle California estrema;

E da' maggiori colli e dall'eccelse

Rôcche il sol manda gli ultimi saluti

All'Italia fuggente..............

Oppure uscire, di notte, fantasticando; vedere come crescono giganti le ombre nelle torri antiche, solcano il cielo le stelle cadenti; ascoltare, come farà poi il Leopardi, la turba infinita de' grilli sotto il gran silenzio del cielo, e la rana remota alla campagna. Que' pochi anni vissuti a Bosisio risorgono distinti, particolareggiati, in mente al Parini, mentre il precettore insegna al giovin signore, che gli altri tutti han da lavorare per lui, egli solo godersi il lavoro di tutti: i mietori sudare ne' campi, i soldati vegliar per le mura, i muratori arrischiarsi su' palchi, gli artigiani oprare nelle botteghe, i remiganti stancar le braccia pe' laghi; tutti per lui solo. Il sentimento della natura che sgorga e si effonde così schietto e vivace, subito che gli si porga un'occasione, [300] fuori dell'insegnamento ironico, non è, certo, del finto precettore; è del poeta vero.

E dal Parini, non dal finto precettore, rompono i gridi della coscienza offesa, che non sa più velarsi con l'artificio d'una figura retorica, quando le cose dal poeta evocate le si presentano nella cruda realtà. Coscienza di filantropo e di prete buono, in cui vennero a fondersi le dottrine degli Enciclopedisti francesi e il Vangelo di Cristo. Presa dalle sue proprie finzioni, la fantasia inorridisce allora nel rispecchiarsi entro il verso. Pranza il giovin signore? pranzi, s'impingui, dimentico perfino della carità tradizionale. E voi

............ Egri mortali

Cui la miseria e la fidanza un giorno

Sul meriggio guidaro a queste porte;

Tumultuosa, ignuda, atroce folla

Di tronche membra, e di squallide facce,

E di bare e di grucce, or via da lungo

Vi confortate; e per le aperte nari

Del divin pranzo il nèttare beete

Che favorevol aura a voi conduce:

Ma non osate i limitari illustri

Assedïar, fastidïoso orrendo

Spettacolo di mali a chi ci regna!

Del pari, nella descrizione della furia con la quale passavano per le vie le carrozze signorili, senza punto curarsi de' passeggeri, a onta dei bandi ripetuti, sì che alla fine il Governo dovè [301] comandare ai birri di ficcar delle stanghe tra le rote volanti, e spezzarle, e fermarle così per forza, le rote, o vulgo,

Che già più volte le tue membra in giro

Avvolser seco, e del tuo impuro sangue

Corser macchiate, e il suol di lunga striscia,

Spettacol miserabile, segnaro.

Queste voci sincere del poeta, verso la natura amata, verso i fratelli oppressi, possono sembrare errate soltanto a chi pregia più la retorica che la poesia: son esse, anzi che un errore, il pregio migliore del poema, perchè lasciano scorgere di tanto in tanto l'anima di chi lo scrisse, e, riposando dalla lunga ironia, ne rilevano l'intendimento.

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