II.

Guardando all'ingrosso e, per così dire, in astratto, che cosa si può immaginare di più seducente e di più promettente d'un tema simile? Perocchè io non lo esagero punto per arte rettorica d'accaparrarmi la vostra attenzione e di solleticare la vostra curiosità. Il tema è così; il tema, dico meglio, sarebbe proprio così, chi [89] sapesse e potesse acciuffarlo per il suo verso ed esporlo nel suo complesso, non sbriciolandolo cioè in minuzie biografiche, spesso oziose, perchè troppo spesso somigliantissime le une alle altre, ma cogliendolo in pieno, nel suo insieme di grande quadro di costume della società del secolo XVIII, a penetrare nell'intimo della quale nulla val meglio (in apparenza almeno) del porsi dietro alle traccie di questi cosiddetti avventurieri, personaggi in accordo e in pari tempo in lotta con tale società, derivazione naturale di essa e in pari tempo incarnazione demoniaca di tutti i principii dissolventi, che la faranno terminare in un'immensa catastrofe.

Questa società, si direbbe, non può aver segreti per loro, deliberati come sono, d'approfittare di tutte le sue debolezze e falsità, di tutti i suoi errori, di tutte le sue colpe, di tutti i suoi deliri; deliberati, come sono, di farla in barba a tutti i suoi sussieghi e a tutti i suoi formalismi, di romperla con tutte le sue convenienze e con tutti i suoi divieti tirannici.

Per celare la sua leggerezza essa ha un bel rialzare le teste colle parrucche; per nascondere le sue magagne ha un bel ricoprirsi di fronzoli, di gale, faldiglie, giubboni a fiorami, andriennes svolazzanti, guardinfanti solenni; per occultare il vuoto de' suoi sentimenti e il disordine de' suoi [90] pensieri ha un bell'inferraiuolarsi in una letteratura, la quale pare che dica molto e non dice niente e, salvo le opere di pochi sommi, svapora quasi tutta nella menzogna stereotipa dell'Elogio, nella vacuità della chiacchierata accademica, nelle ritmiche cadenze d'una poesia ricantante a sazietà spettacoli campestri, che nessuno ha mai visti, spasimi d'amori, che nessuno ha mai provati, resistenze inespugnabili di ninfe, che da ninfe incivilite non se le sono mai sognate neppure.

Ma a che pro tanta artificiosità, tante lustre, tanta prudenza di ciarle vuote, come crisalidi di cicale scoppiate, se, sbucando di sotterra, la masnada degli avventurieri, non astretta a nessun obbligo, a nessun dovere, a nessuna decenza, scompiglierà, ridendo sgangheratamente, tutta quella compassata galanteria, svelerà tutto senza ritegno, dirà senza regola e senza pudore tutto quello che si voleva tacere?

Sono essi dunque, che più degli autori comici, i quali debbono fare i conti col pubblico e non disgustarselo, più dei satirici, i quali alla realtà contrappongono sempre idealità soggettive, più degli stessi epistolari settecentisti, còmpito di scuola, palleggio per lo più di frasi e di complimenti insignificanti, sono essi dunque, gli avventurieri, che coi documenti della loro vita e colle Autobiografie, lasciateci dai principali di loro, ci [91] daranno la chiave di quell'enorme cabala, che fu il gran secolo dei lumi, il secolo XVIII; ci spiegheranno veramente il perchè i quarant'anni di pace dal 1749 al 1789, consolati da tanta giocondità di vita, illuminati da tante speranze di riforme e di progressi, cullati da tante rosee promesse d'una filosofia così arguta, così orgogliosa delle sue conquiste, e in pari tempo così facile, così accomodante, così penetrante in tutti i meandri sociali, finiscono in un'orgia satanica d'incendii, di vendette e di sangue; ci spiegheranno perchè, mentre i Giacobini di Francia hanno inalzato altari alla Dea Ragione, mentre il Condorcet s'è avvelenato per sfuggire alla ghigliottina, ma pur credendo sempre nella sua teoria della perfettibilità umana e del progresso indefinito, la plebe italiana insorge invece negli ultimi del secolo coi preti alla testa e il grido di Viva Maria; ci spiegheranno perchè tanti di coloro appunto, che con più fede s'erano abbandonati al dolce sogno d'una rigenerazione universale, si mostrano all'ultimo i più disillusi e i più disperati, perchè Vittorio Alfieri indietreggia spaventato e sdegnoso, perchè Federico Schiller grida: “il secolo è morto fra le tempeste e il nuovo s'apre cogli eccidi; la libertà è un sogno; non v'ha posto nel mondo neppur per dieci felici;„ perchè Saverio Bettinelli chiama infausto il secolo [92] XVIII che muore, lo condanna all'obblio e profetizza il finimondo; perchè Carlo Roncalli finalmente fa dire al secolo stesso:

Io che più per godere

Che per pensar fui fatto,

Volli troppo pensare e muoio matto.

Sì, lo credo, ci spiegheranno, ci dovrebbero spiegare tutto questo, ma bisogna saperli interrogare e soprattutto bisogna potersi fidare delle loro risposte. Visto all'ingrosso e a distanza, il tema è in realtà quale ho cercato a larghi tratti di delinearvelo, ma avvicinandosi ad esso, spuntano le dubbiezze, le difficoltà, le incertezze. Meno male che forse esse pure servono ad illustrarlo.

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