IX.

Anche questo tanto di realtà, che troviamo nel Casanova, ci sfugge invece nel Cagliostro. Costui, se qualche volta s'è pur tanto infervorato nella commedia che recitava da scambiarla colla realtà, costui è veramente la menzogna in persona. Quando crediamo d'averlo afferrato e di poterlo costringere a dirci finalmente chi è e che cos'è, egli ci è già sguizzato via, come un anguilla, e ci troviamo a mani vuote. Il Casanova lo ha incontrato più volte ne' suoi viaggi, la prima volta ad Aix, ed il Cagliostro e la moglie, in abito di romei, tornavano allora stanchi, estenuati e senza un soldo dall'aver visitato a piedi Sant'Jacopo di Compostella e Nostra Donna del Pilar; un'ultima volta a Venezia, sotto il nome [112] di marchese Pellegrini, e allora il Casanova riconoscendolo per un fieffè fripon gli profetizzò che sarebbe finito in galera, una delle profezie, delle quali il Casanova può più giustamente vantarsi.

Questa strana figura del Cagliostro, che spunta originariamente dalla Mafia Siciliana, eccitò potentemente col suo continuo nascondersi e trasmutarsi le fantasie dei contemporanei e dei posteri, ma molte parti di essa restano anche oggi un mistero. Dal Goethe e dallo Schiller ad Alessandro Dumas ed al Carlyle, artisti sommi, senza contare i critici, gli storici, i psichiatri, i medici, i moralisti, hanno sentito il bisogno d'affrontarsi con questa sfinge; pel Goethe e per lo Schiller era divenuta una specie di fissazione, da cui non poterono liberarsi, che dandole sfogo, lo Schiller in un romanzo, il Goethe in una commedia, l'uno e l'altra però parto di fantasia, non rivelazione del mistero, alla cui provocante tentazione i due grandi poeti non avevano potuto resistere.

Eppure il Goethe non s'era contentato di fantasticare sul Cagliostro come sulla leggenda del dottor Faust, ma durante il suo viaggio in Sicilia avea voluto assicurarsi se un filo qualunque ricongiungeva alla realtà della vita quel fantastico essere, che da anni correva l'Europa riempiendola della sua fama ed avendo sempre alle calcagna un esercito di fanatici e di persecutori, [113] di birri che lo vogliono carcerare, e di discepoli che vogliono metterlo sugli altari. Chi ha ragione, chi ha torto, i birri o i discepoli? E fa meraviglia vedere con che timida curiosità il gran poeta Tedesco entra in quella povera casuccia di popolani Siciliani e interroga quella vecchia madre, quei nipoti, quei compagni d'infanzia del Cagliostro, e che turbamento gli arreca quell'interno così squallido, così onesto, così triste, paragonato alla rumorosa fama od infamia del gran negromante, di cui tutta Europa si occupa. Uscendone, il Goethe ne sa più e ne sa meno di prima. Sa, per esempio, che il nome di Cagliostro, in cui s'era trasmutato Giuseppe Balsamo, non è tutta un'usurpazione, bensì un nome di famiglia anch'esso, finito già in una donna, e ch'egli avea assunto, aggiungendovi di suo la contea e cambiando il nome di battesimo di Giuseppe in Alessandro. Certo, come minuzia biografica, questa notizia ha la sua importanza. Ma che lume dà a tutto il resto? Anche il Casanova affibbia al suo nome di famiglia un di Seingalt di sua invenzione. Ma, più franco almeno, al Borgomastro di Norimberga, che gli domanda: “donde traete voi il diritto di portare questo secondo nome?„ il Casanova risponde: “dall'alfabeto, che è di tutti e di nessuno!„ E sui titoli d'accatto, quando l'imperatore Giuseppe II [114] gli dice: “è ridicolo chi compra un titolo di nobiltà„ il Casanova risponde: “sì, Maestà, ma non più di chi lo vende!„

Anche fra queste lustre ciarlatanesche siamo dunque sempre col Casanova nella realtà comica d'uno sfruttatore spiritoso della scioccheria umana. Ma col Cagliostro è altra cosa. Tutto è falso o dubbio in lui, lo spirito, l'ingegno, la scienza, l'audacia, la nobiltà, la ricchezza, il nome, l'età, il presente, il passato. Pare a momenti, direbbe il Carlyle, che di vero e di reale non ci sia se non quel carrozzone pitturato e coll'imperiale rigonfia di bagagli, che tirato da quattro cavalli passa di galoppo fra un nembo di polvere e un rumore assordante di fruste e di sonagliere a traverso l'Europa, preceduto e seguito da sei poderosi lacchè, che cavalcando lo annunziano e lo scortano onorevolmente. Entro quella spettacolosa e pesante macchina siede un uomo tarchiato, di aspetto volgare e zotico, ed al suo fianco una donnetta di trista fama, chiamata, secondo i casi, Lorenza o Serafina. Ora come va, si domanda il Carlyle, che dopo brevi riposi quel carrozzone può sempre ripigliare il suo cammino e non gli accade mai di arrestarsi di botto, come una locomotiva senza vapore, o di sfracellarsi silenzioso in fondo a un fossato? Quell'uomo tarchiato, che siede nel [115] carrozzone pitturato, è un truffatore e falsario, scappato da Palermo, di vent'anni circa più giovine del Casanova.

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