V.

In primo luogo l'avventuriere è solo. Non ha tradizione di famiglia, nè vincoli di attinenze sociali, anche se si conosce il nome de' suoi genitori e il luogo dov'è nato. È solo, non ha nulla, e vuol tutto. Questo è il punto di partenza, e movendo di qui esso è sempre l'autore unico della propria fortuna o della propria disgrazia. L'uomo, che piega o no al proprio destino, che si rassegna o lotta vigorosamente, ma che insomma è preda o giuoco d'alcunchè d'estraneo a lui e alla sua volontà, può bensì incontrare avventure d'ogni fatta, ma non è l'avventuriere. L'uomo, che ama l'ignoto e vi si arrischia, che si compiace del pericolo e lo sfida, che vagheggia un alto ideale e vi si sacrifica, il viaggiatore, il soldato, il missionario, può bensì incontrare avventure d'ogni fatta, ma non è l'avventuriere. Avete in quelli la forza del carattere, la fede in Dio, l'amore della scienza e della verità, il bisogno d'azione, l'impulso potente della fantasia e del coraggio.

Nell'avventuriere invece avete la mancanza d'ogni base e d'ogni ideale inspiratore, ed un'unica [100] convinzione, quella cioè che la maggioranza del genere umano è di sciocchi, dei quali l'uomo di spirito deve sapersi approfittare. Sono le testuali parole del Casanova, al quale si vuol tener conto almeno della sincerità.

Tant'è che quasi tutti questi avventurieri del secolo XVIII, poichè quella società leggiera ed elegante, nello scadimento dell'antica fede religiosa e nel fanatismo nuovo pei grandi progressi delle scienze fisiche e naturali, inclina, come sempre accade, alla parte fantastica e superstiziosa delle scienze medesime, nè contenta alle vere scoperte, vuole addirittura il miracolo, quasi tutti, dico, questi avventurieri del secolo XVIII, e in prima linea il Casanova e il Cagliostro, tornano ai misteriosi deliri delle arti occulte, della necromanzia e della magia; intingono negli arcani dell'illuminismo germanico, della Massoneria e del mesmerismo, sempre collo specioso pretesto del progresso indefinito della libertà umana e della scienza. Vi ricorderete come il Monti nel 1784 inneggiava alle continue conquiste della scienza:

Che più ti resta? Infrangere

Anche alla morte il telo

E della vita il nettare

Libar con Giove in cielo!

Ebbene, ciò che nel Monti è uno dei soliti suoi [101] felici impeti lirici, nel Casanova e nel Cagliostro è il gran segreto, che promettono agli imbecilli contemporanei di rivelare.

In Venezia il Casanova vive e sciala per lungo tempo alle spalle di tre onorati e creduli gentiluomini, Bragadin, Dandolo e Barbaro, i quali sono persuasi ch'egli sia in possesso d'una cabala profetica e in comunicazione con spiriti celesti, che, oltre a far conoscere il futuro, devono apprender loro anche l'arte di non morire. In Parigi, con maggior apparato di prestigi negromantici, spilla tesori ad una vecchia pazza, madama d'Urfé, cui ha promesse le gioie del ringiovinire, le rinnovantesi estasi dell'amore e l'immortalità.

Con eguale impudenza il Cagliostro sfrutta coi credenzoni di mezz'Europa i fenomeni del magnetismo animale e del sonno catalettico per rievocare i trapassati, leggere negli arcani dell'avvenire; e in Roma, nella primavera del 1789, la fila dei cocchi, che recano alle sue conferenze di Villa Malta presso Porta Pinciana la più alta società indigena e forestiera, è ben più fitta, che non sia ora in Firenze quella delle più frequentate conferenze del palazzo Ginori. Se non che là si trattava di risvegliare i morti; qui, tutt'al più, d'addormentare i vivi, ed il proposito più innocente giustifica la minore curiosità.

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Negromante, cabalista, mesmerico, spiritista, l'avventuriere ha su altri gran dottori di scienze occulte la superiorità d'essere sempre in perfetta malafede. Ciò può tenersi per indubitato del Casanova, Veneziano, e che del Veneziano ha tutta l'arguzia e la lucidità della mente; meno certo del Cagliostro, che ha la cupezza fanatica, gli sbalzi selvaggi del plebeo Siciliano, e in cui talvolta par di discernere quel fervore e quell'accecamento di spirito, pei quali, colla lunga abitudine del darla ad intendere, del vantarsi e dell'attribuirsi poteri straordinari, un uomo finisce in parte a credere a ciò che fa e a ciò che dice. Ad ogni modo anche nel Cagliostro il ciarlatano prevale.

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