VIII

Nessuno può dubitare che Firenze avesse ora un proprio governo coi suoi Consoli, sebbene nei documenti che abbiamo, si trovino menzionati la prima volta solo nel 1138. Il Sanzanome però ce ne parla esplicitamente nella impresa contro Fiesole, quando, come vedemmo, fa da essi deliberare la guerra. Ma quale è l'origine vera e la natura di questo nuovo magistrato? Fu da molti sostenuta l'opinione, che i Consoli derivassero generalmente dagli antichi giudici. In Lombardia sarebbero stati non altro che una trasformazione degli Scabini franchi, e sarebbe quindi assai naturale che fossero in Firenze una trasformazione dei giudici del tribunale margraviale, ai quali Matilde aveva, già assai prima di morire, abbandonato l'ufficio di pronunziare le sentenze. Ma questa è un'idea, che ormai non può piú sostenersi, perché contiene una parte sola del vero. Quando, infatti, noi vediamo i Consoli nell'esercizio delle loro funzioni, che cosa essi sono, che cosa essi fanno, secondo i cronisti e secondo i documenti? Conducono le guerre: conchiudon trattati in nome di tutto il popolo, che rappresentano; governano la Città; amministrano la giustizia. E quest'ultimo è a Firenze come altrove, uno dei loro ufficî, il quale essi adempiono, perché strettamente connesso coll'esercizio del potere politico, che è la vera e principalissima loro funzione. D'altronde che cosa è che fa veramente nascere il Comune fiorentino? La mancanza appunto di quella superiore autorità politica che sino allora aveva comandato in Toscana, il bisogno di condurre le guerre contro gli antichi e nuovi nemici. Il carattere politico ed il carattere militare dovevano adunque di necessità prevalere.

Ed in questo concetto dobbiamo confermarci ancora, se esaminiamo come era costituito il tribunale dei Consoli. Dapprima sembra che tutti o parte di essi indistintamente lo presiedessero; piú tardi tre di essi, scelti a turno, e chiamati Consules super facto iustitiae, o anche Consules de iustitia, presiedono per un mese; piú tardi ancora sono due che presiedono per due mesi, e finalmente, quando però il governo primitivo ha mutato natura, ve n'è uno solo che presiede per tutto l'anno. Potevano essere o non essere uomini periti in legge, giacché non facevano che pronunziare, confermare la sentenza, ma non l'apparecchiavano, né la formulavano. A quest'ufficio attendeva un vero e proprio iudex ordinarius pro Comune, con tre Provveditori o Provisores, che studiavano il processo e scrivevano la sentenza. I Consoli non facevano che presiedere il tribunale, e quando mancavano, il che pur seguiva qualche volta, esso funzionava da sé. Il posto adunque che vi pigliavano era in sostanza quello di Matilde, di chi cioè rappresentava la sovranità, non quello de' suoi giudici.

L'indole vera del nuovo governo noi la possiamo intendere meglio, esaminando piuttosto quali erano i diversi elementi che costituivano la cittadinanza, dai quali esso necessariamente si svolse. Due, come sappiamo, erano le classi principali e gl'interessi che si dividevano la Città: le associazioni cioè delle Arti e quelle dei Grandi o delle Torri. La forza del numero stava di gran lunga dalla parte del popolo; ma i Grandi avevano assai piú la cultura, l'educazione alle armi ed alla politica, l'arte di governo già da essi in parte esercitata. Quindi è che da essi vennero i Consoli, i quali, in sul principio, s'aggirarono in un numero assai ristretto di famiglie, tanto da sembrare poco meno che ereditarî. La sventura di Firenze, come del resto anche degli altri Comuni, esclusa Venezia, fu che i Grandi non poterono mai andare d'accordo fra loro. La nobiltà feudale fu in Italia come una pianta esotica, portata sopra un terreno ingrato. Di origine germanica, essa formava altrove parte di tutto un sistema politico; era capitanata dall'Imperatore intorno a cui si stringeva; ebbe delle virtú qualche volta eroiche; dette origine ad una particolare forma di civiltà, ad una letteratura che fiorí nella Francia e nella Germania, non mai in Italia, molto meno poi in Toscana. I nostri signori feudali dominati solo da interessi personali, s'appoggiavano all'Impero, per combattere il Papa; al Papa, per combattere l'Impero; all'uno o all'altro indistintamente, per combattere le città. E questo seguiva di continuo anche nel contado fiorentino. I Grandi che risiedevano dentro le mura della Città, erano, è vero, d'indole assai diversa, molto piú vicini al popolo, con cui si accomunavano; ma erano composti di elementi assai discordi, perché alcuni di loro erano venuti su dal popolo; altri discesi dai castelli feudali, con cui avevano aderenze, da cui speravano aiuti. L'ambizione del potere ben presto li divise, e la facilità con cui gli uni trovavano favore negli artigiani, quando gli altri lo cercavano e lo avevano nel contado, fecero da questi semi rapidamente germogliare le civili discordie. Piú tardi poi, con l'aumentarsi di coloro che dai castelli venivano in Città, si formò tra di essi un vero partito aristocratico, ghibellino, contro il partito guelfo e popolare. Ma siamo ancora assai lontani da ciò, perché l'interesse generale di far guerra ai signori del contado, prevalse lungamente su tutto e su tutti, da essa dipendendo l'esistenza stessa del Comune.

Da quanto abbiam detto fin qui risulta sempre piú chiaro, che due ordini ben distinti di cittadini già esistevano in Firenze: il popolo o le Arti, ed i Grandi. Se il nuovo governo fosse sorto solo dalle Arti, avrebbe preso la forma d'un ordinamento secondo i mestieri. Se fosse sorto invece solo dai Grandi, avrebbe dato origine ad un ordinamento regionale, locale, secondo i Sestieri della Città, nei quali essi erano sparsi. Questa diversa tendenza noi la troviamo in tutti i Comuni italiani. A Roma prevalse l'ordinamento per Regioni o Rioni; a Firenze invece prevalse col tempo quello per Arti, a cagione della grandissima prosperità che ebbero in essa il commercio e l'industria. Ma intanto il predominio morale dei Grandi, le necessità urgenti della guerra, per la quale l'esercito poteva assai piú facilmente raccogliersi ed ordinarsi a Sestieri, favorirono un ordinamento locale, ed i Consoli furono quindi eletti per Sestieri.

Che i Grandi fossero allora già costituiti in Società delle Torri, può ritenersi provato dai documenti. Uno del 1165 parla di esse come già esistenti da un pezzo, e poco dopo troviamo nelle pergamene dell'Archivio fiorentino addirittura brani dei loro Statuti. La torre era proprietà comune dei socî o consorti, i quali non potevano lasciare la loro parte a chi non fosse della Società, o non venisse ammesso col voto di tutti i componenti meno uno. Le donne erano naturalmente escluse. Le spese per mantenere, armare la torre, che era in comunicazione con le case vicine dei consorti, e serviva a loro comune difesa, erano a carico di tutti. Tre o piú Rettori, che qualche volta sono chiamati anche Consoli, governavano la Società, erano arbitri delle liti, e sceglievano i loro successori. Questi Rettori e loro consorti sono quelli che troviamo ora alla testa del governo; i documenti provano chiaro che i Consoli del Comune sono quasi tutti di famiglie che fanno parte delle Società delle Torri. Il vedere poi che alcuni di essi, come ad esempio i Cavalcanti ed altri non pochi, si trovano qualche volta anche Consoli delle Arti, è una prova certa della buona armonia in cui essi, come già piú volte dicemmo, erano col popolo. L'ordinamento di queste Società, simile in qualche modo a quello delle Arti, da cui forse era stato ispirato, non aveva nulla di veramente feudale. Se fossero in Città prevalsi solo gli Uberti, piú aristocratici, le cose avrebbero di certo preso ben altro aspetto; ma essi dovettero, sebbene di mala voglia, cedere alla forza degli eventi, che spesso furono loro avversi. Assai di rado infatti li troviamo nel consolato prima del 1177, quando cominciarono ad entrarvi piú spesso, dopo aver fatto una vera rivoluzione. E ciò conferma che nel 1115 essi avevano subito uno scacco. Il governo consolare venne allora in mano di parecchie famiglie di Grandi, amiche del popolo, che prevalse nelle assemblee, senza le quali non si decideva nessuna delle grandi questioni e dei grandi interessi dello Stato.

I Consoli erano eletti in principio d'anno, due per Sesto, tale almeno sembra il loro numero normale, quantunque non sia certo, né paia sempre costante. Fra questi dodici, due, scelti a turno, funzionavano da capi del collegio, ed erano detti Consules priores. Cosí ne seguí che i cronisti usarono nominare solo due, e qualche volta uno solo dei Consoli. I documenti ne nominano due, tre o piú, che stanno però sempre a rappresentare anche i colleghi, di cui si danno spesso i nomi. Di rado, e solamente in casi eccezionali, se ne trovano ricordati piú di 12, forse perché gli uscenti erano stati in ufficio alcuni giorni insieme coi nuovi eletti, o per altra causa temporanea a noi ignota. Tutto ciò non farà maraviglia, se si tien presente, che la costituzione fiorentina è ora in uno stato di formazione, quindi sempre incerta e mutabile, di che ne avremo molte altre prove.

IX

Importa qui osservare la parte che aveva il popolo nella costituzione. Che le Arti fossero solidamente ordinate nei primi del secolo xii, è fuori di ogni dubbio. Il Villani ci dice che i Consoli dei Mercanti o sia dell'Arte di Calimala, verso il 1150 «ebbero in guardia dal Comune di Firenze la fabbrica dell'opera di S. Giovanni». (I, 60). Ma quello che è piú, noi troviamo che il 3 febbraio 1182 gli uomini di Empoli, sottomettendosi a Firenze, si obbligarono a pagare ogni anno 50 libbre di buoni danari, che dovevano dare ai Consoli o Rettori della Città, e quando non vi fossero, ai Consoli dei Mercanti, che avrebbero ricevuto come rappresentati il Comune. Ora se questi avevano già acquistato una tale importanza nel 1182, è chiaro che ciò deve far credere ad una esistenza assai piú antica dell'Arte. E se si pensa che si tratta dell'Arte di Calimala, quella cioè che raffinava e tingeva i panni di lana, fabbricati all'estero, massime in Fiandra, che poi da Firenze andavano in tutti i mercati stranieri, si capirà a che grado di prodigioso svolgimento dovesse essere già arrivato il commercio fiorentino, e quanto piú antico bisogna perciò credere l'ordinamento di molte delle sue Arti. Un solo esempio, è ben vero, proverebbe assai poco, perché potrebbe interpetrarsi in piú modi; ma ne abbiamo anche altri. Il 21 luglio del 1184 si faceva alleanza tra Lucca e Firenze, con la dichiarazione, che i patti potevano essere modificati dai Consoli fiorentini a comuni populo electi, e da 25 Consiglieri, tra cui era espressamente stipulato, che dovevano essere compresi i Consoli dei Mercanti. Ed il 14 luglio del 1193, nella sottomissione degli uomini di Trebbio, i sette Rectores qui sunt super Capitibus Artium avevano essi soli l'incarico di far inserire i patti nel Costituto della Città.

Ma qui si presenta un'ultima osservazione, la quale ci fa vedere di nuovo quanto incerto e mutabile fosse ancora questo governo. I documenti, nell'accennare a quelli che erano a capo del Comune, dicono quasi sempre: Consules seu Rectores vel Rector, e piú tardi aggiungono ancora: Potestas sive Dominator. Tutte queste parole avevano allora un significato assai generale. Pure lo scrivere nei trattati di pace, di alleanza o in altri solenni documenti: i Consoli o i Rettori o la Potestà, deve avere una qualche ragione, e tanto piú dovrà averla, se si aggiunge che spesso dicevano pure: Consules qui pro tempore erint, et si non erint ne faranno le veci i Rettori o la Potestà o i Consoli delle Arti. Perché tanta incertezza nell'indicare il supremo magistrato della Repubblica? Noi non troviamo che una sola spiegazione possibile. Il governo reale, efficace della Città era in mano delle associazioni; l'ufficio dei Consoli aveva poche attribuzioni, né mai ebbe l'importanza e la forza d'un governo centrale, quale noi lo immaginiamo oggi. Lo stesso può dirsi anche dei Priori, degli Anziani e degli altri, che vennero dopo; ma è piú che mai vero per i Consoli, i quali riunirono la prima volta in un governo solo le varie associazioni della Città. Si prevedeva quindi che, per una ragione qualunque, non fossero stati nominati, nel qual caso i Rettori delle Torri o delle Arti avrebbero naturalmente assunto quel potere che da essi emanava direttamente. Noi però non troviamo atti pubblici, compiuti in nome di questi Rettori, il che prova che il caso, preveduto come possibile, di rado s'avverava.

Piú volte trovammo menzionati i Consiliarii, fra i quali vedemmo compresi i rappresentanti delle Arti. Sappiamo infatti che a Firenze, come in tutti i Comuni italiani, v'era un Consiglio, che il Villani (IV 7, e V. 32) ci dice essere chiamato, «secondo l'usanza data dai Romani ai Fiorentini», Senato, e composto di cento Buoni Uomini. Nei documenti, è vero, essi sono quasi sempre chiamati Consiliarii, una sola volta avendo noi incontrato la parola Senator ; ma Senato o Consiglio, Senatori e Consiglieri erano parole che si adoperavano allora spesso l'una per l'altra, massime quando si trattava d'un Consiglio ristretto o Speciale, come si disse piú tardi. Il numero dei Consiglieri non lo troviamo mai con precisione determinato nei documenti; crediamo però che quello ricordato dal Villani sia alquanto al di sotto del vero, perché abbiamo un giuramento dato da 133 Consiglieri. Forse se ne eleggevano 20 o 25 per Sestiere, numero che poteva anche non essere costantemente lo stesso, dal che ne seguiva che il Consiglio si poteva, con vocabolo approssimativo, chiamare dei Cento. Ad esso bisogna aggiungere il Parlamento, detto pure Arengo, che era un'adunanza generale del popolo, tenuta nelle grandi occasioni, per gli affari piú gravi.

X

Il Comune fiorentino era dunque come una confederazione di Società delle Arti e delle Torri. Alla sua testa si trovavano, per la guerra, per la finanza, la giustizia e gli affari piú importanti, i Consoli, eletti ogni anno, con un Senato o Consiglio di Cento Buoni uomini circa, eletti anch'essi ogni anno, e poi il Parlamento. I Consoli erano quasi sempre scelti fra i membri che appartenevano alle Consorterie delle Torri, e quando, per una qualunque ragione, l'elezione non avesse avuto luogo, i Rettori di esse o quelli delle Arti potevano temporaneamente farne le veci. Nel Consiglio le Arti avevano la preponderanza, e cosí ne seguí che fin d'allora il governo fu veramente popolare, e tutta la politica fiorentina fu diretta sempre a favorire l'industria ed il commercio della Città.

A formarci però di un tale governo un'idea anche piú chiara, occorrerebbe sapere con precisione quali e quanti erano i cittadini che effettivamente vi partecipavano, e su ciò restano ancora parecchi dubbî. Il contado veniva interamente escluso dal far parte della cittadinanza, la quale non era concessa piena ed intera neppure a tutti coloro che abitavano dentro le mura, gli operai minori e la plebe essendone privi. Il governo si trovava quindi in mano d'alcune potenti famiglie, dei capi delle Arti e dei loro principali aderenti. Fino agli ultimi tempi della Repubblica, infatti, la vera cittadinanza, che sola dava diritto agli ufficî politici, rimase un privilegio concesso a pochi, i quali anche nel 1494 non superavano di molto i tre mila. E questa è la ragione per la quale, anche ai nostri giorni, v'erano alcune modeste famiglie che si vantavano d'avere l'antica cittadinanza fiorentina, come se fosse un ambito privilegio, quasi un titolo di nobiltà. In Venezia, fino agli ultimi tempi della repubblica, anche nel secolo passato, troviamo ancora diversi gradi di cittadinanza, ed il governo sempre in mano di pochi. Questo in ogni modo è uno degli argomenti che anderebbero nella nostra storia meglio studiati. Nel Parlamento, è vero, s'adunava il popolo indistintamente; ma queste adunanze erano il piú delle volte di pura forma. E quando noi vediamo che il Parlamento veniva convocato in una piazza, spesso non molto grande, o in una chiesa, bisogna pur concludere, che di nome, ma non di fatto, vi pigliavano parte tutti gli abitanti delle Città.

È superfluo poi aggiungere, che allora non si conosceva alcuna esatta divisione di poteri, quale si trova nelle costituzioni moderne. Gli affari si dividevano piú secondo la loro importanza, e secondo la qualità delle persone cui si riferivano, che secondo la loro natura. Il Consiglio dei Cento non era, come si crederebbe oggi, un'assemblea legislativa, né i Consoli un potere esecutivo. Questi giudicavano, amministravano, comandavano in campo, eseguivano la volontà popolare, e qualche volta compievano anche atti legislativi, senza il Consiglio, che nelle riforme di maggiore importanza era sempre consultato, ma assai spesso le votava o le respingeva senza discuterle. Il Parlamento, nei casi piú solenni, approvava con un placet, senza capir sempre neppure di che cosa si trattasse. Da un altro lato non solo gli affari d'una certa gravità, massime se occorrevano danari, venivano portati in Consiglio; ma questo poteva essere consultato su tutto ciò che piaceva ai Consoli, da una proposta di condanna a morte, per ragioni politiche, fino alla concessione d'un permesso per trasferire la propria abitazione da un Sestiere ad un altro, perché questo fatto che a noi apparisce di cosí poco momento, poteva allora alterare la distribuzione degli abitanti nelle diverse parti della Città, e quindi la forza relativa di esse, e la proporzionale partecipazione dei cittadini agli ufficî pubblici, cosa di cui s'era molto gelosi.

Tale era la forma di governo con cui il Comune di Firenze si costituí la prima volta. Esso non era però ancora consolidato, né abbastanza sicuro di sé. Il contado, in cui il Comune comandava, era molto ristretto; i suoi confini incerti, disputabili e disputati; ed anche dentro questi confini la sua autorità era debolissima, perché i castelli dei nobili, non solamente si dichiaravano indipendenti dalla Città, e non volevano riconoscere altra autorità fuori quella dell'Impero, a cui neppur sempre obbedivano; ma le movevano guerra continua, e continuamente eccitavano, aiutavano a ribellarsi da essa le vicine terre. La prima cosa dunque che occorreva fare in questo momento era: impadronirsi del contado colla forza delle armi, sottometterlo davvero e governarlo, il che doveva, come vedremo, essere causa di molte nuove e gravi perturbazioni, cosí interne come esterne. Esse costituiscono la vera storia del Comune fiorentino, la quale ora finalmente incomincia.

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