L'industria dei piú rozzi tessuti di lana però è cosí semplice, che non dovette tardare a risorgere in Italia, anzi non si può credere che andasse mai perduta del tutto. Sembra che i primi progressi si facessero imitando i piú semplici tessuti, che venivano dall'Impero d'Oriente, dove la cultura e l'industria si mantennero assai piú lungamente. Infatti, a questa origine accennano i nomi di quasi tutti i primi tessuti italiani, come Velum holosericum, Fundathum alithinum, Vela tiria, bizantina, Crysoclava, ecc. Sebbene però l'arte di lavorare la lana abbia un'origine assai antica, e sia nota perfino ai popoli pastori, essa trovava in Italia gravi difficoltà al suo progresso. E la difficoltà principale stava nella cattiva qualità della nostra lana. Per migliorarla bisognava migliorare gli armenti, quindi la pastorizia e l'agricoltura. Ma i municipî italiani promossero con ogni piú gran cura l'industria; disprezzarono e spesso anche oppressero l'agricoltura. Gli artigiani formavano la repubblica, e la governavano; essi vinsero l'aristocrazia feudale e salirono ai piú alti onori; ma l'agricoltore, sebbene fosse in Toscana trattato assai meglio che altrove, rimase pur lungamente attaccato alla gleba, e non ebbe mai i diritti di cittadinanza. Da questo solo fatto si può immaginare il resto. Tutte le leggi, tutti i provvedimenti che risguardano l'industria sono pieni di senno e di preveggenza; tutti quelli che risguardano l'agricoltura sembrano dettati dal pregiudizio o dalla gelosia. In Toscana s'aggiungeva poi, per ciò che s'attiene alla pastorizia e quindi all'industria della lana, un paese montuoso, in cui allignano la vite e l'ulivo, vi si produce buonissimo grano, ma difettano i prati naturali o artificiali. Migliorare la qualità della lana, e crescerne la produzione, era dunque una impresa difficile assai. Onde è che i Fiorentini arrivarono subito a fare quei tessuti di lana, che chiamavano pignolati, schiavini, villaneschi; ma con questi panni, i cui nomi indicano abbastanza la loro qualità, non potevano fare che un commercio assai ristretto, nel contado o poco lungi dai confini della Repubblica. E quando volevano migliorarli, allora incominciavano le gravi difficoltà. Provarsi a lavorare tessuti fini con lana grossa, era un'impresa che non poteva metter conto per nessun verso; far venire lana forestiera da lontani paesi, non era facile nei tempi in cui l'industria ed il commercio erano ancora in sul nascere: la spesa del trasporto avrebbe mangiato il guadagno. Eppure fu nel superare tutte queste gravi difficoltà, che i Fiorentini cominciarono a dar le prime prove del loro genio industriale.
Nella Fiandra, nell'Olanda e nel Brabante la lana era d'assai migliore qualità, e l'arte di tesserla v'è cosí antica, che la sua origine, come quella dei tessuti di lino nella Germania settentrionale, si perde quasi nei tempi che si possono chiamare anti-storici. Se non che, nonostante la buona qualità della materia prima, questi panni erano assai grossolani, e venivano in commercio intonsi, non raffinati, tinti con colori di pessimo gusto e poco duraturi. Pensarono allora i mercanti fiorentini di portarli a Firenze, per raffinarli e tingerli. Cosí nacque l'arte di Calimala o Calimara . Dalla Fiandra, dall'Olanda e dal Brabante cominciarono a partire le balle, che chiamavano torselli, di panni franceschi o oltramontani, e venivano a Firenze, dove erano cardati, cimati, affettati, tagliati. Con queste prime operazioni si levava destramente quella peluria, che li rendeva grossolani, e si ritrovava un tessuto di lana piú fina assai che l'italiana, e cosí facilmente si poteva dare un colore finissimo, nel quale i Fiorentini cominciarono subito a dimostrare un gusto che superava tutti. Stirati, cilindrati e ripiegati, questi panni ritornavano nel commercio, con ben altra forma e di ben altro valore. Dapprima molto ricercati in Italia, andarono poi in Oriente, dove erano cambiati con droghe, colori ed altri prodotti dell'Asia. E finalmente, perfezionandosi sempre, arrivarono in Francia, in Inghilterra, negli stessi mercati, donde erano la prima volta partiti, e dove si mutavano con altri panni da raffinare. In questo modo, non solamente si sopperiva alla mancanza della materia prima, ma il lavoro straniero contribuiva al guadagno fiorentino. Con un numero di braccia non molto grande, si faceva un commercio estesissimo, ed occupando la popolazione in questi lavori di ultimo raffinamento, si spingeva innanzi l'Arte di Calimala, la quale doveva poi, nel suo cammino, tirarsi dietro inevitabilmente anche quella della lana.
Questa infatti, spinta dall'esempio e dall'amor del guadagno, faceva ogni opera per migliorare. Ed al suo maggiore progresso contribuirono del pari gli sforzi dei privati e gli accorti provvedimenti della Repubblica. V'era allora in Italia un Ordine religioso detto degli Umiliati, la cui prima origine si dovette ad alcuni esuli lombardi, che, nel 1014, confinati da Arrigo I nella Germania settentrionale, v'avevano appreso l'arte quivi antichissima del tessere la lana. Costituitisi poi in devota società, s'erano dati a vivere col lavoro delle proprie mani, e dopo cinque anni tornarono in patria associati ed industriosi. E cosí, mantenendosi laici, durarono sino all'anno 1140, quando pensarono di formare un Ordine religioso, che venne piú tardi approvato da papa Innocenzo III. I sacerdoti allora non lavorarono piú colle proprie mani; ma amministrarono e diressero l'industria, che venne continuata dai laici, sotto la direzione del mercatore, e andò sempre perfezionandosi. Era naturale che uomini culti, i quali avevano il loro Ordine sparso in varie province, datisi a diriger una industria, la sapessero far progredire. Essi infatti s'andarono acquistando tale e tanta reputazione d'abili amministratori, che noi li troviamo impiegati a Firenze ed altrove come camarlinghi dei Comuni, come fornitori degli eserciti in tempo di guerra. Ovunque si trasferiva una casa del loro Ordine, ivi subito si vedeva nel paese progredire l'arte della lana. Ed è perciò che la repubblica fiorentina, provvida sempre quando si trattava del suo commercio e della sua industria, invitò i frati Umiliati a portar presso Firenze una delle loro case, le quali essa riteneva come grandi scuole industriali.
Gli Umiliati vennero adunque nel 1239, e si fermarono a poca distanza dalla Città, nella chiesa di S. Donato a Torri, che fu loro concessa. E gli effetti furono quali s'erano preveduti. In poco tempo essi divennero uno dei centri principali dell'industria fiorentina, in modo che le maestranze si dolevano della loro lontananza, e li sollecitarono a venire ancora piú presso alle mura. Nel 1250 ottennero case e terre nel popolo di S. Lucia sul Prato, con esenzione dalle gravezze sui loro beni, il che i Fiorentini solevano concedere a chiunque sapeva portare nella Città una nuova industria. Nel 1256 fondarono la chiesa e convento di S. Caterina in Borgo Ognissanti, ove posero la loro insegna, che era una balla di lana, legata con funi a forma di croce. E da questo momento l'Arte della lana fece in Firenze grandissimo progresso; i panni fiorentini cominciarono a vincere gli altri in tutti i mercati d'Europa. Si cercò di migliorare la materia prima, se ne raffinò moltissimo la lavorazione, e si fecero venire le lane piú fini di Tunisi, Barberia, Spagna, Portogallo, Fiandra, e finalmente anche dell'Inghilterra. Cosí s'apri un commercio vastissimo, e s'accumularono tali ricchezze, che l'Arte della lana emulò e vinse perfino quella di Calimala. Esse divennero come due grandi potenze commerciali in Europa, e ciò che avevano una volta deliberato in Firenze, la Repubblica non osava contrastarlo.
Giovanni Villani, nella preziosa statistica, che ci ha lasciato di Firenze nell'anno 1338, dice che le botteghe della lana erano duecento o piú, e facevano da 70 ad 80 mila panni del valore d'un milione e duecento mila fiorini, di cui «bene il terzo rimaneva nella terra per ovraggio, senza il guadagno de' lanaiuoli del detto ovraggio, e viveanne piú di trentamila persone». L'incremento dell'industria s'era ottenuto assai piú col perfezionare la mano d'opera, che coll'aumentare la quantità della produzione. Lo stesso Villani osserva che, trenta anni prima, cioè nel 1308, il numero delle botteghe era maggiore, arrivando esse fino a 300, che facevano 100,000 panni: «ma erano piú grossi e della metà valuta, perocché allora non ci entrava e non sapevano lavorare lana d'Inghilterra, come hanno fatto poi». Cosí è chiaro, che il primo progresso dell'arte, cominciato nel secolo xiii per opera degli Umiliati, si compié nel xiv per l'introduzione delle lane inglesi.
Nello stesso anno 1338 l'Arte di Calimala aveva in Firenze venti fondachi, «che facevano venire per anno piú di dieci mila panni, di valuta di trecento migliaia di fiorini, che tutti si vendevano in Firenze, senza quelli che si mandavano fuori di Firenze». La perizia raggiunta da quest'Arte nel raffinare e colorire era grandissima, massime nel dare la tinta ai panni rosati, de' quali si faceva in Firenze larghissimo uso, perché di esso soleva formarsi il lucco fiorentino, che doveva esser portato da chiunque entrava nel Palazzo, a sedere nei magistrati o nei Consigli della Repubblica. Queste due Arti s'erano poi diviso il lavoro per modo, che l'una non invadesse il dominio dell'altra. Gli Statuti vietavano assolutamente all'Arte di Calimala di tingere altro che panni forestieri; l'Arte della lana aveva i suoi propri tintori, che formavano come un'altra associazione sottoposta ad essa. E questi tintori sodavano, cioè davano garanzia all'Arte della lana per 300 fiorini, somma da cui si cavavano le penali, ogni volta che si scopriva una macchia o si trovava un colore falso. Su di ciò gli officiali delle Arti erano d'una severità senza pari. Tutto, come già vedemmo, veniva minutamente esaminato, e la piú piccola magagna, sia nel colore, sia nella qualità e nella misura della stoffa, era soggetta a pene gravissime. Queste grandi Arti fiorentine costituivano assai spesso piú che un'industria sola, un insieme numeroso di mestieri diversi, e ciò può dirsi specialmente di quella della lana, che andava dal cardare la materia prima fino al tingere e raffinare i piú costosi tessuti. E cosí, quando l'Arte poteva essa stessa compiere ogni lavoro di cui aveva bisogno, e i mestieri destinati ad uno scopo comune erano fra loro collegati, essi non si potevano osteggiare col crescere i prezzi l'uno a danno dell'altro. L'Arte della lana aveva per insegna un agnello con una bandiera (Agnus Dei), e quella di Calimala, un'aquila rossa sopra un torsello bianco, legato a piú giri.
Per tutto il secolo xiv e per buona parte del xv, queste due Arti andarono migliorando, e mantennero il loro primato nei mercati d'Europa. Ma si trovavano pur sempre in una condizione difficile, non essendo mai riuscite a produrre in Italia tutta quanta la materia prima di cui abbisognavano, né avendo le braccia necessarie a compiere tutto il lavoro che occorreva al loro commercio. Diffondere l'industria nei vicini paesi, nelle sottoposte città, era cosa che le idee economiche e politiche del Medio Evo non consentivano. L'industria era allora la maggior forza e potenza sociale dei Comuni, e quindi ognuno di essi voleva mantenerla tutta a proprio vantaggio, e gli Statuti avevano mille prescrizioni dettate da questa cieca gelosia. Per tali ragioni i Fiorentini, seguendo il sistema di fare essi i lavori piú fini e lucrosi, avevano aperto fabbriche pei lavori piú grossolani e di preparazione, là dove si trovavano le migliori lane, in Olanda, cioè, nel Brabante, nella Francia e nell'Inghilterra. Ed anche in queste fabbriche avevano cura, che la parte piú intelligente e lucrosa del lavoro fosse condotta sempre da braccia fiorentine. Nelle loro cronache troviamo, che essi tenevano allora sugli stranieri quel linguaggio medesimo, che gli stranieri tengono oggi su di noi: deridevano l'inerzia e la dappocaggine dei settentrionali, che in propria casa si lasciavano strappar di mano il guadagno. Ma un tale stato di cose non poteva durare a lungo. Fino da tempi assai antichi i Fiamminghi s'erano dimostrati sempre uomini industriosi; i Francesi e gl'Inglesi, ben presto non furon da meno. A poco a poco essi aprirono gli occhi, ed i Fiorentini videro sorgere all'estero, accanto alle loro, nuove fabbriche, che cominciavano ad emularli, e si dovettero accorgere, che, contro ogni loro desiderio, avevano diffusa fra gli stranieri l'arte di cui volevano far monopolio. Né ciò era tutto. Una volta scaltriti, gli stranieri cercarono d'impedire l'estrazione delle loro lane, dei loro panni intonsi, o sia non ancora raffinati; e cosí, sin dalla fine del xv secolo, cominciò a fare Arrigo VII d'Inghilterra. Allora fu inevitabile la decadenza delle Arti della Lana e di Calimala in Firenze. Fortunatamente però, prima che ciò avvenisse, già l'industria della seta aveva preso nel commercio fiorentino quella importanza che le altre due andavano perdendo.
Ognuno conosce come il lavoro della seta, antichissimo in Oriente, sia cominciato assai tardi in Occidente. I Romani ricevevano dalla Persia, dall'India e dalla China alcuni drappi di seta, che pagavano a carissimo prezzo; conoscevano alcuni bruchi, col bozzolo de' quali facevano tessuti molto pregiati; ma il baco da seta restò ignoto in Italia fino al Medio Evo assai inoltrato, e la storia della sua introduzione in Occidente, non è sicuramente nota in tutti quanti i suoi particolari. Si racconta che, nel sesto secolo dell'era volgare, due monaci persiani riuscirono ad introdurre il seme dei bachi da seta nell'interno dei loro bastoni, e, viaggiando, poterono, cosí custodito, portarlo infino a Costantinopoli, dove insegnarono l'arte d'allevare i bachi. In tal modo sarebbe cominciato, la prima volta, a diffondersi nelle province dell'Impero bizantino l'industria della seta, che gli Arabi, i Musulmani diffusero poi nella Grecia ed in Sicilia. Quando Ruggiero II, conte di Sicilia, conquistò le isole dell'Arcipelago, e, tornando a Palermo, vi portò numerosi prigionieri (1147-48), questi fecero assai progredire quell'industria nell'isola. Di là passò facilmente in Lombardia ed in Toscana; ma prima si fermò e perfezionò a Lucca, essendo i Fiorentini tutti ancora dediti ai ricchi guadagni della lana. I Consoli dell'Arte della seta o di Por S. Maria, come la chiamavano a Firenze dal luogo ove risiedeva, trovansi insieme cogli altri menzionati nei trattati; ma se anche quest'arte è molto antica, certo è che cominciò a fiorire assai piú tardi. È notevole che Giovanni Villani, il quale, all'anno 1338, ci dà un ragguaglio minutissimo dell'industria e del commercio fiorentino, non accenni punto all'Arte della seta, il che farebbe credere, che in quel tempo non avesse ancora molto progredito.
Noi sappiamo che, quando Uguccione della Faggiola assediò e prese Lucca (1314), i profughi di questa città diffusero in Lombardia, nel Veneto, in Toscana i perfezionamenti della seta, ed a Firenze la trovarono cosí poco avanzata, che da parecchi cronisti i Lucchesi furono tenuti come quelli che primi ve la introdussero. Tuttavia per molti anni ancora l'industria si continuò ad esercitare, facendo venire dall'Oriente la materia prima. Ma quando l'Arte della lana cominciò inevitabilmente a decadere, allora tutto l'ardore di Firenze si rivolse alla seta, e i progressi furono rapidissimi. Nei primi anni del secolo xv. Gino Capponi, quel medesimo che era commissario all'assedio di Pisa, insegnò ai Fiorentini l'arte di filar l'oro, che essi avevano sino a quel tempo fatto venire da Colonia o Cipro, per tesserlo colla seta. E cosí cominciarono quei finissimi broccati d'oro e d'argento, nei quali, gareggiando l'industria col genio artistico, i Fiorentini furon subito senza rivali. I mercati, donde erano cacciati i pannilani, vennero subito riconquistati dai drappi di seta e dai broccati. Nella seconda metà del secolo xv troviamo, infatti, che Benedetto Dei, mercante della compagnia dei Bardi, scriveva ai Veneziani una lettera, nella quale, lodando le glorie e la grandezza del commercio fiorentino, diceva: «Noi abbiamo due Arti piú degne e piú magne, che non ha la vostra città di Vinegia, per ognun quattro». E continuava presso a poco cosí: «I nostri panni di lana vanno a Roma, a Napoli, in Sicilia, in Morea, Costantinopoli, Bursia, Pera, Gallipoli, Scio, Rodi, Salonicco. Dappoi di seta e broccati d'oro ne facciamo piú che Vinegia, Genova e Lucca insieme, e lo vedete a Lione, Brugia, Londra, Anversa, Avignone, Provenza, Ginevra, Marsiglia, dove sono case, banchi e fondachi». Da questa lunga enumerazione di città si vede chiarissimo, come, al tempo del Dei, i panni di lana, padroni ancora dell'Oriente, erano stati cacciati dai mercati principali dell'Occidente, dove era già entrata la seta; e cosí le due Arti si dividevano fra loro il commercio, una nell'Oriente, l'altra nell'Occidente. V'erano allora in Firenze, secondo il medesimo Dei, 83 botteghe che facevano i drappi di seta, oro e argento, che chiamavano damaschini, velluti, rasi, taffetà, maremmati, ed erano tessuti con seta, la quale in gran parte continuava ancora a venire dall'Oriente, sopra le galee fiorentine. Questa industria è una di quelle che piú lungamente si mantennero vive in Firenze ed in Italia, dove anche oggi la seta rappresenta uno dei nostri piú ricchi prodotti. Se non che, allora il guadagno maggiore veniva dal lavoro, ed oggi invece assai spesso mandiamo fuori la materia prima, per ripagarla a mille doppi, quando torna lavorata dalla mano straniera. Allora ci venivano di fuori la lana e la seta, e si mandavano panni e broccati italiani; oggi mandiamo invece non piccola parte della nostra seta a Lione, per riceverne le stoffe. E cosí altre non poche delle nostre materie prime, che potremmo e dovremmo noi stessi lavorare, vanno nelle officine straniere.