Per compiere la serie delle Arti Maggiori, dobbiamo ora accennare a quelle dei medici e speziali, dei pellicciai e vaiai, specialmente alla prima. Sebbene di minore importanza commerciale di quelle finora ricordate, pure esse contribuirono assai ad aprire alla Repubblica il commercio dell'Oriente, donde venivano quasi tutte le droghe e spezierie, e non meno di 22 qualità diverse di pelli, molte delle quali, d'animali assai rari, erano fra i piú costosi oggetti di lusso. E sotto tale aspetto acquistarono anche queste Arti grande importanza, giacché il commercio dell'Oriente è stato sempre per tutti, ma per l'Italia specialmente, la principale sorgente di ricchezze. Esso alimentò la gran fortuna dei Veneti; esso aveva arricchito Amalfitani, Genovesi, Pisani; e però ad esso avevano sempre mirato i Fiorentini, che arrivarono all'auge della loro ricchezza solo quando poterono mandar galee nel Mar Nero, ed ebbero franchigie al pari dei Veneti, in Egitto, a Costantinopoli, in Crimea. Ma questo che, per molto tempo, fu il loro scopo principale, non venne cosí presto raggiunto: dovettero lottare per quasi tutto il secolo xiv.
E le lotte che i Fiorentini sostennero per diffondere sempre di piú il loro commercio, hanno molta importanza in tutta quanta la storia della Repubblica, perché ci fanno conoscere non solo i progressi della loro ricchezza, ma anche i moventi principali della loro politica. Infatti, dopo vinte le prime battaglie contro i baroni del contado, che per ogni dove li circondavano, essi mirarono subito ad assicurarsi il commercio colla Lombardia. Uno dei loro primi trattati fu cogli Ubaldini signori di Mugello, per aprire questa via alle loro mercanzie; e subito dopo fecero trattato coi Bolognesi (1203). Ma coll'andare del tempo questi ultimi, profittando della loro posizione, aggravarono le imposte sul passaggio, divenuto continuo, delle mercanzie dei Fiorentini, i quali allora, senza perdersi d'animo, fecero trattato con Modena, aprendo altra via al loro commercio, il che obbligò i Bolognesi a tornare agli antichi patti. Nel 1282, in occasione della guerra contro Pisa, fecero trattati che assicuravano il passaggio libero alle loro mercanzie per Lucca, Prato, Pistoia, Volterra, e cosí cominciarono a dominare il commercio di Toscana. Quasi tutte le loro guerre muovono da ragioni commerciali, e finiscono con trattati commerciali. Essi trattano nel 1390 con Faenza, Ravenna, e a poco a poco, con la piú parte delle città d'Italia.
Questo continuo crescere del commercio dei Fiorentini sul continente, rendeva sempre maggiore e piú insistente il bisogno d'avere uno sbocco libero al mare. Ma sia che mirassero a Porto Pisano, sia che mirassero a Livorno, i due soli porti agevoli al loro commercio, dovevano sempre passare per Pisa, repubblica vicina, potente e rivale. Se essi s'erano fatti padroni di quasi tutto il commercio toscano per terra, i Pisani erano invece padroni del mare, e non volevano quindi lasciare opportunità d'impadronirsene ad un popolo cosí energico ed industrioso, come erano i loro vicini e rivali. Per raggiungere il loro scopo, ai Pisani bastava mettere forti tasse sul passaggio delle merci dei Fiorentini, ai quali, in questo caso, non restava altro rimedio che la forza delle armi. Quindi l'occasione a guerre continue, l'eterna rivalità delle due repubbliche. Nel 1254, dopo la presa di Volterra, colle minacce di un esercito vittorioso, i Fiorentini obbligarono i Pisani a concedere libero passaggio alle loro merci, e cosí nel '73, '93, nel 1317, e '29 li obbligarono a confermare i medesimi patti, il che questi fecero sempre di mala voglia, e solo per evitare la guerra, o dopo una battaglia perduta.
Intanto i Fiorentini continuavano a spingere sempre piú oltre le loro mercanzie in Oriente, dove facevano nuovi trattati. Il che da un lato cresceva in essi il bisogno d'aver libero il mare, e dall'altro ridestava sempre piú la gelosia dei Pisani. Il Pagnini, nella sua opera sulla Decima, ha pubblicato la Pratica della mercatura, composta, nella prima metà del secolo xiv, da Balducci Pegolotti, agente della compagnia dei Bardi. Quest'opera che, dopo il Milione di Marco Polo, è una delle piú importanti a farci conoscere i viaggi ed il commercio degl'Italiani in Oriente, ci dà minutissimi ragguagli specialmente sul traffico de' Fiorentini. Da ciò che il Pegolotti dice di sé stesso, noi possiamo argomentare che cosa facevano tutti i suoi concittadini. Per essi, egli riusciva nel 1315 ad ottenere in Anversa e nel Brabante franchigie simili a quelle che già godevano i Genovesi, i Tedeschi e gl'Inglesi. Andò poi in Oriente, dove vide che a Cipro solo i Bardi ed i Peruzzi pagavano sulle mercanzie il 2 per cento d'entrata e uscita, al pari di tutti i Pisani; gli altri Fiorentini dovevano pagare il 4 per cento, o adoperarsi a passar per Pisani, e questi allora, con mille angherie, li trattavano peggio che schiavi o giudei. Sdegnato il Pegolotti per tali fatti, sebbene fosse della compagnia dei Bardi, pure s'adoperò molto, e riuscí a fare estendere le medesime franchigie a tutti i Fiorentini (1324). Cosí essi, aiutandosi a vicenda, coll'attività dei privati non meno che del governo, continuavano sempre i loro progressi in Oriente, ed i Pisani sempre piú se ne ingelosivano. Nel 1343 questi vollero infatti limitar la franchigia concessa alle merci fiorentine, decidendo che solo fino al valore di 200,000 fiorini potessero passar libere per la loro città; il resto doveva pagare due soldi per lira, cioè il 10 per cento. Ai Fiorentini non restava allora che o far la guerra, o abbandonare la via di Pisa, se trovavano il modo. E per mostrare che il loro commercio non era poi davvero dipendente dai Pisani, prescelsero il secondo partito. Fecero quindi un trattato coi Senesi, col quale ebbero da essi Porto Talamone, dove con grandissima spesa, e superando molte difficoltà, riuscirono finalmente a fare un grande emporio delle loro mercanzie. La via per giungervi era assai lunga e scomoda; ma i Pisani dovettero subito accorgersi, che ad essi ne seguiva un danno maggiore di quella che recavano ai Fiorentini; e che se potevano dar loro noia, non era in alcun modo sperabile di distruggerne il commercio: s'indussero perciò nuovamente a lasciar libero il passo alle mercanzie. E cosí i Fiorentini pigliavano animo sempre maggiore a proseguire il loro cammino in Oriente.
La via piú facile e diretta di questo commercio era quella dell'Egitto; ma ivi i Sultani ed i Califfi chiudevano il passo ai cristiani. Soltanto i Veneti, i quali si diceva che concludessero trattati, «nel nome santo di Dio e di Maometto», v'aveano fatto qualche progresso, e con molta gelosia ne tenevano lontani gli altri Italiani, che perciò pigliavano generalmente la via di Costantinopoli e del Mar Nero, dove, massime i Genovesi, avevano fondato città popolose e fiorenti. Piú oltre, nel mar d'Azoff, a pochi chilometri dall'imboccatura del fiume Don, eravi la Tana (Azov), grande emporio di mercanti russi, arabi, persiani, armeni, del Mogol, della China meridionale; e vi si faceva il piú grande scambio di prodotti orientali ed occidentali. Gl'Italiani portavano tessuti di lana o di seta, olio, vino, pece, catrame e metalli bassi, che mutavano con perle, pietre preziose, oro, droghe, zuccheri, stoffe orientali di lana o di seta, cotone, seta greggia, pelli di capra, legni per tingere, schiavi e schiave orientali, che si trovano fra noi sino a tutto il secolo xv. Tutto questo commercio, iniziato una volta da Amalfi e da altre repubbliche meridionali, era poi venuto in mano dei Veneti, Genovesi e Pisani. Le loro navi solcarono in ogni direzione l'Arcipelago, il Bosforo ed il Mar Nero. L'italiano era parlato in tutti gli scali d'Oriente, dove non vi erano solo banchi, officine, opifici italiani; ma si ritrovava l'architettura di Genova e di Venezia in città fondate ed abitate da soli Italiani, come l'architettura italiana, massime la veneta, si modificava, pigliando ispirazione dalla orientale. Grandissimo era il numero dei Genovesi che si trovava colà. E per dare un'idea della forza che i Veneti avevano sul mare, basti ricordare che nella Crociata del 1202, essi avevano apparecchiato un naviglio capace di condurre 4,500 cavalieri, 9,000 scudieri, 30,000 fanti, e viveri per nove mesi. Le loro galee, non mai piú corte di 80 piedi, arrivavano a 110 di lunghezza e 70 di larghezza, ed erano 45 nel sec. xv, con 11,000 marinai. Avevano inoltre nello stesso tempo 3,000 legni fra le 10 e le cento botti, con 17,000 marinai, e 300 navi grosse con altri 8,000 marinai. In tutto 3,345 legni, con 36,000 marinai, potenza che passa i limiti dell'immaginazione, quando si pensa, che la Serenissima Repubblica veneta era una città fondata sugli scogli della laguna; che tutto l'indirizzo della sua politica e del suo commercio era nelle mani di coloro solamente che erano nati nei confini della medesima laguna. S'immagini, che cosa dovesse poi essere la potenza riunita di tutte queste repubbliche di mare, e che animo dovessero avere i Fiorentini, quando gareggiavano cosí ostinatamente con esse per il commercio dell'Oriente.
Prima d'avere una sola galea sul mare, essi avevano già molte case e banchi per ogni dove, ed in tutti gli scali principali d'Oriente avevano fatto penetrare le loro mercanzie. Non solamente li troviamo operosi ed intraprendenti alla Tana, ove facevano grandissimo traffico; ma di là si spinsero assai oltre, ed il Pegolotti ci descrive per filo e per segno la via che tenevano, il tempo che impiegavano, ed il loro modo di viaggiare. Andavano, egli dice, per Astracan (Gittarchan), poi Saracanco (Sarai) presso il Volga, di là per Organci nel Zagataio, non molto lungi dal Caspio, e traversando l'Asia, per molti altri luoghi, i cui nomi non sono riconoscibili, perché non rispondono piú a quelli di oggi, arrivavano fino a Gambaluc o Gamalecco, la città mastra della China, cioè Pechino. Impiegavano otto o dieci mesi, per andar dalla Tana a Pechino. Cosí computando andata, ritorno e dimora, ci volevano poco meno di due anni; e se poi s'aggiungono l'andata ed il ritorno da Porto Pisano o Livorno alla Tana, si vedrà che il Fiorentino il quale si partiva di sua casa per Pechino, di rado tornava prima che fossero scorsi tre anni.
A misura che questi traffici nell'Oriente, condotti con tanta e cosí tenace perseveranza, crescevano fra mille difficoltà, i Fiorentini miravano sempre al mare, senza mai perder di vista l'assoluta necessità di avere un porto. E quando finalmente, colla presa di Pisa nel 1406, lo scopo dei lunghi desideri fu raggiunto, incominciò un'era novella pel loro commercio. Tutti gli affari aumentarono rapidissimamente, e la prima metà del secolo xv fu quella appunto, in cui essi accumularono le maggiori ricchezze. Nel 1421 crearono i Consoli di mare, dando loro ordine di costruire subito due grosse galee di mercato e sei sottili, continuando a costruirne un'altra grossa ed una sottile ogni sei mesi, per il che assegnarono la somma di 100 fiorini al mese, da prelevarsi sulle rendite dello Studio pisano. Cosí in poco tempo ebbero una marineria mercantile di 11 galee grosse e 15 sottili, che facevano continuamente, per ordine della Repubblica, il viaggio d'Oriente. Ad ognuna di esse era determinata la via che doveva tenere, i porti che doveva toccare, le mercanzie che poteva caricare. L'annunzio della partenza e del ritorno veniva affisso sotto le logge di Mercato Nuovo; i privati noleggiavano le navi, ed il governo teneva cosí aperte a tutti le vie dell'Oriente senza sua spesa. Nel 1422, quando, come abbiamo già notato, fu battuto il fiorino di galea, i Fiorentini accettando il consiglio di Taddeo Cenni, che aveva lungamente esercitato la mercatura a Venezia, mandarono in Egitto due oratori, per poter aver chiesa, fondachi, propri facchini o portatori in Alessandria. Ottenuto il loro intento, dettero nel 1423 ordine ai Consoli di mare, di creare altri consoli ovunque potevano essere utili al commercio fiorentino. Già ve n'erano, da piú o meno tempo, a Costantinopoli, a Pera (1339), a Londra (1402); ma da questo momento li troviamo in Alessandria, Maiorca, Napoli, per ogni dove. Avevano cancelleria, ufficiali propri, interpreti, uomini d'arme, chiesa, e pagavano tutto ciò colla tassa che riscuotevano sulle mercanzie, dalla quale dovevano trarre anche il proprio stipendio.
Ma se vogliamo comprendere davvero, come e quanto i Fiorentini sapessero profittare delle nuove condizioni in cui li poneva la conquista di Pisa, ci è forza osservare che questo fatto segna non solo il tempo d'una maggiore prosperità nel loro commercio, ed il principio della loro marineria militare e mercantile; ma anche il tempo in cui essi cominciarono a darsi agli studî nautici ed astronomici. Ed è un'altra prova della grande intelligenza e della instancabile loro attività, il vedere come, datisi una volta a tali studî, affatto nuovi per essi, riuscissero ad iniziar quella splendida êra della scienza, che s'apri con Paolo Toscanelli, il primo ispiratore di Colombo, continuò con Amerigo Vespucci, si chiuse con Galileo Galilei e la sua scuola immortale.