XII

Il regime dotale e la separazione dei beni, non solamente si trovano in tutti gli Statuti; ma spesso vengono ancora esagerati, come abbiam visto in quelli di Pisa. Cosí pure le donazioni fra coniugi sono vietate, e qualche volta anche quelle agli estranei, quando si possa temere che si voglia con esse mascherare una donazione fra coniugi. Questa cura gelosa, con la quale si cerca, in ogni modo, d'impedire che la proprietà esca dalla famiglia, e piú ancora dalla città, la troviamo in tutti gli Statuti. In Urbino, per esempio, nessuno straniero poteva ereditare ab intestato, se prima non prometteva di abitare nella Città o suo contado. Una simile promessa doveva fare a Pesaro, se voleva sposare in quella città, ed aveva anche l'obbligo di chiedere il consenso del Podestà.

A Verona le donne potevano, per testamento, aver parte uguale ai fratelli; ma ab intestato avevano solamente la dote. I fratelli e i loro figli non dividevano coi figli delle sorelle; i discendenti della donna non dotata avevano però diritto d'avere la dote dai fratelli della madre. A Pisa la successione era per testamento regolata secondo il diritto romano: de ultimis voluntatibus per legem romanam iudicetur. La legittima però s'avvicinava alla legge longobarda, e si poteva anche, secondo le prescrizioni di questa, vantaggiare un figlio a preferenza degli altri. Quanto poi alla successione intestata, i maschi erano, come sempre, di gran lunga preferiti. In difetto di discendenti maschili, ereditavano le donne; ma la preferenza dei primi era ammessa anche per la eredità materna, quando mancassero le figlie. E ciò lo troviamo in tutti quanti gli Statuti, non escluse le Consuetudini di Napoli, di Amalfi e di Sorrento, città nelle quali si poté assai meno sentire l'azione del diritto longobardo. Sulla ragione vera di tali disposizioni, gli Statuti stessi si spiegano chiaro. In quelli di Mantova è scritto: «ut familiarum dignitas, nomen et ordo serventur, et bona morientium in eorum agnatos et posteros transmittantur, per quos nomina generis conservantur, statuimus et ordinamus quod existentibus masculis et descendentibus per lineam transversalem et lineam mascolinam, coniunctis usque ad quartum gradum inclusive, secundum iuris canonici ordinem, computato (sic) qui ad successionem defunctae personae admitti vellint et possint, matres et ascendentes per lineam maternam, et femminae ascendentes etiam per lineam paternam, suis descendentibus non succedant, sed habeant et habere debeant, dumtaxat in bonis predictorum suorum descendentium debitum bonorum subsidium, videlicet tertiam partem portionis quae eisdem ab intestato obveniret». A Ravenna sembra che il lungo dominio dei Greci riuscisse a sopprimere questa preferenza degli agnati, e la Novella di Giustiniano fu adottata. Lo stesso seguí pure ad Osimo.

L'adozione era assai poco frequente, ed i figli legittimati venivano posposti ai legittimi; i naturali, che per diritto longobardo erano favoriti nei primi Statuti, vennero piú tardi negletti, per l'azione crescente del diritto canonico e del romano. Tutta la successione statutaria è talmente dominata dal concetto politico, il quale invece di perdere va guadagnando terreno, che la volontà del testatore, sempre limitatissima, può arrivar solo ad un resultato alquanto piú equo e naturale, ma non giunge mai ad un vero e proprio arbitrio nel senso romano della parola. Lo Statuto fiorentino, al pari di tutti gli altri, in questa come in ogni parte del diritto civile, non ci presenta mai un trattato compiuto, ma solo frammenti; giacché gli Statuti si riferiscono continuamente al diritto romano.

Nessuna donna succede ab intestato ai figli o figlie, quando vi sieno discendenti o ascendenti diretti fino al terzo grado: zio, fratello, sorella o nipote di fratello sono a lei preferiti. Esclusa dalla successione, essa può chiedere però gli alimenti a coloro che per legge la escludono. Quando tali parenti non esistano, eredita ab intestato la quarta parte dei beni del figlio, purché non si tratti d'una somma maggiore di lire 500. In ogni modo, non avrà immobili, ma solo danaro. Se danari non vi sono, avrà diritto al prezzo dei fondi che le spetterebbero. Le medesime disposizioni hanno luogo per l'ava, proava, e discendenti in linea materna.

La donna non succedeva ab intestato al fratello, che avesse figli o nepoti o fratelli; ma anche in questo caso, esclusa dall'eredità, poteva chiedere gli alimenti. Non succedeva neppure al padre; aveva però diritto di ricevere dagli agnati la dote, e intanto le spettavano gli alimenti, anche se vedova. Come si vede in tutte queste disposizioni, i diritti della donna alla successione erano assai limitati; ma le era assicurato un modo di vivere. Anzi negli Statuti fiorentini noi vediamo, che da un lato cresce col tempo la preferenza degli agnati, e dall'altro crescono i diritti della donna agli alimenti. Lo Statuto del 1355, le concede l'usufrutto della eredità paterna, in mancanza di figli maschi, e nel medesimo caso gli Statuti posteriori le negano un tal diritto, per sostituirvi gli alimenti. Lo Statuto del 1324, parlando di essi e di chi ha l'obbligo di concederli, dice: si filius, nepos vel pronepos facultatis abundarent, in modo che possano commode subvenire, etc.; lo stesso obbligo con le medesime condizioni impone lo Statuto del 1355. Invece quello a stampa, del 1415, è assai piú esplicito: il padre, la madre, l'avo, proavo, ava, proava hanno diritto agli alimenti, e il Podestà è tenuto a fare eseguire la legge. La donna succede ab intestato alla madre o ad altri ascendenti femminili, se però non vi sono figli maschi. I fratelli uterini, come nati di linea femminile, non succedono fra loro, se vi sono parenti maschili del defunto, fino al quarto grado, i quali sono preferiti alla madre ed ai parenti femminili. Lo Statuto fiorentino poi dice, che la moglie è preferita al fisco, uxor mariti defuncti praeferatur fisco, nelle quali parole si vede quanto poco conto si facesse de' diritti della donna, essendovi bisogno d'una espressa disposizione di legge, per impedire che il fisco le togliesse i beni del marito. Anche i figli naturali erano preferiti al fisco, il quale succedeva solo quando non v'erano parenti fino al quarto grado. Ai bastardi succedevano poi i loro parenti, come se i primi fossero legittimi. E bisogna aggiungere, che l'uso fiorentino non permetteva di lasciare i figli naturali senza un qualche aiuto, e senza provvedere alla loro educazione, come si vede dai molti testamenti che ci restano. Soleva il padre cercar loro un ufficio, se maschi, o marito, se donne, e li raccomandava ai suoi legittimi eredi.

Il marito ereditava la dote, quando non v'erano figli o altri discendenti prossimi. Dei beni extra-dotali gli spettava un terzo; e la moglie non poteva, per testamento o donazione, disporre della dote a danno di lui o dei figli.

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