Ma oltre la successione, v'è anche un'altra parte degli Statuti italiani, nella quale l'azione della politica sul diritto civile, si manifesta del pari, ed è quella che tratta dei diritti fra i vicini, dell'obbligo che hanno in solido fra di loro, non solamente i membri delle famiglie, ma quelli anche delle consorterie. Noi già notammo che essi arrivano fino a dover l'uno rispondere pei debiti o anche pei delitti dell'altro; e questa è una legge su cui dovremo tornare a fermarci piú di una volta. Nelle vendite dei fondi immobili, troviamo sempre che agnati e cognati hanno la preferenza. Nella Marca d'Ancona i consanguinei del condannato a morte possono essere obbligati a comperarne i beni. A Bologna i parenti sono spesso tenuti a rispondere in giudizio l'uno per l'altro, e nella corporazione dei mercanti, i fratelli carnali che, un mese prima del fallimento, vivevano in comune, son tenuti a rispondere pel fallito, anche se poi s'erano divisi.
Secondo lo Statuto fiorentino, il creditore d'un Comune o d'una Universitas poteva procedere contro di essi sicut procedi potest contra alias singulares personas debitrices, in persona. E la cosa andava tanto oltre, che si poteva agire contro ogni singolo individuo dell'associazione, e farlo anche arrestare: liceat ipsi creditori capi et detinere omnes et singulares personas dicti Communis vel Universitatis, quousque fuerit integre satisfactum. Quando una terra, una casa era devastata o bruciata, il proprietario aveva diritto al risarcimento contro l'autore del misfatto; contro i consorti di esso, se si trattava di nobili, e contro i parenti sino al quarto grado, se di popolani. Ma ciò non basta: esso poteva procedere ancora contro il Comune, l'Università o il Plebato, in cui il danno aveva avuto luogo: era in suo arbitrio prendere l'una via o l'altra, e non riuscendo nella prima, pigliar la seconda, o viceversa. Lo Statuto determinava la forma della procedura e i termini della condanna. Il Comune, l'Università o il Plebato erano tenuti a star sempre pronti a levare il rumore, quando simili fatti succedevano; ad inseguire ed a prendere i colpevoli, perché, non riuscendo, erano essi responsabili.
Una grande importanza si dava in tutto, anche nelle compre e vendite, alla qualità delle persone. In alcuni casi la legge obbligava, volendosi disfare d'una terra, a venderla al vicino; ma questa disposizione non era obbligatoria per il popolano verso il magnate. E cosí non si poteva comperare, vendere, né acquistare usufrutto sopra terre possedute in comune, o fondo o casa che fosse appoggiata al muro di un altro, senza aver prima dato preferenza al comproprietario, al consorte o al vicino.
Se nasceva controversia fra parenti o consorti, qui consortes sint de eadem stirpe, per lineam masculinam usque ad infinitum, il giudice, a richiesta d'una delle parti, era tenuto a rimetter la cosa in arbitri eletti dalle parti stesse. La donna non doveva accettar compromessi in cose attinenti alla sua dote, né essere obbligato ad accettarli chi era padre di sei figli: un popolano non poteva essere arbitro fra nobili. Lo Statuto del 1355, riproducendo una legge assai piú antica, ci fa sapere che in questa si discorreva degli arbitri, come consanguinei. E da ciò si può indurre che siffatti compromessi erano cominciati da tempi assai remoti, per consuetudine, fra parenti e consorti, i quali volontariamente sceglievano fra di loro gli arbitri. Prima del 1324 la consuetudine era stata sanzionata per legge; piú tardi andò perdendo il suo primitivo carattere d'accordo volontario e domestico, per pigliar la forma di regolare e legale giudizio.