IX

Tali furono dunque gli Ordinamenti di giustizia. Essi cercavano, come già dicemmo, di rafforzare le Arti, dare maggiore unità al governo ed al popolo, abbassare i Grandi, affrettare la dissoluzione delle consorterie. Solo era a dubitarsi che una legge siffatta riuscisse ad avere la sua piena esecuzione, e non fosse invece violata dai Grandi, come tante altre già promulgate coi medesimi intendimenti. Ed a questo appunto Giano della Bella cercò provvedere. Egli non era stato compilatore degli Ordinamenti, né si trovava in ufficio quando furono discussi e sanzionati; ma ne fu certo promotore. Poco dopo la loro proclamazione, il 15 febbraio '93, venne eletto dei Priori; ed il 10 aprile, o sia cinque giorni prima che uscisse d'ufficio, troviamo letta, discussa ed approvata in tutti i Consigli della Repubblica, una nuova provvisione, intesa a fortificare gli Ordinamenti dei quali poi fece parte.

Questa legge, che risponde assai bene al carattere di Giano, uomo d'azione e non di discussione, era semplicissima. Ai mille popolani, posti a disposizione del Gonfaloniere di giustizia, del Capitano e del Podestà, se ne aggiungevano altri mille, piú centocinquanta magistri de lapide et lignamine e cinquanta piconarii fortes et robusti, cum bonis picconibus. Lo scopo di tutto ciò era ben chiaro: si voleva davvero punire; venire in ogni modo alle confische, al disfacimento delle case dei Grandi, che offendevano i popolani. L'irritazione dei nobili fu quindi grandissima, ed il loro odio contro Giano non ebbe piú limiti. Ma egli non si spaventava; voleva anzi andare sempre piú oltre, e mirava ad un nuovo provvedimento, che se fosse stato davvero attuato, i Grandi eran di certo spacciati per sempre. La loro forza, come abbiamo visto, rimaneva ancora intatta nei magistrati della Parte Guelfa, e Giano, per abbassarli, voleva appunto torre ai Capitani di essa «il suggello e 'l mobile della Parte, ch'era assai, e recarlo in Comune, non perché egli non fosse guelfo e di nazione guelfa, ma per abbassare la potenza dei Grandi». Infatti, tolto che le fosse stato il suggello, che era come il segno della propria personalità; toltole il mobile o sia il danaro, per darlo al Comune, essa sarebbe stata disfatta, o almeno assai indebolita, e i Grandi avrebbero perduto cosí l'ultima fortezza in cui s'erano ricoverati. La proposta di Giano trovava poi un giusto appiglio nella legge che aveva istituito la Parte, secondo la quale a questa spettava un terzo solamente dei beni confiscati ai Ghibellini: non avrebbe dovuto prender tutto, come aveva fatto. Quindi si poteva con qualche giustizia obbligarla alla restituzione dei due terzi almeno, che aveva indebitamente usurpati. Fino a che punto Giano riuscisse nell'intento non sappiamo, perché mancano i documenti. Da un lato gli storici accennano al fatto, dall'altro la Parte Guelfa continuò per lungo tempo ancora a spadroneggiare. Certo il solo tentativo basta a spiegarci l'odio crescente che s'accumulò contro di lui, e i segni che si videro subito d'una vicina catastrofe nella Città.

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