I popolani s'accorsero allora del pericolo che minacciava, e per esser parati agli eventi, cercarono di liberarsi subito da ogni minaccia di guerra esterna, concludendo la pace coi Pisani, sebbene questi fossero già ridotti agli estremi, sicché il continuare la guerra li avrebbe sottomessi ed umiliati sempre di piú. Ma i Fiorentini vollero cosí «fortificare loro stato di popolo, e affiebolire il podere de' Grandi e de' possenti, i quali molte volte accrescono e vivono delle guerre». Le trattative cominciarono sotto il gonfalonierato di Migliore Guadagni (15 aprile a 15 giugno 93), e furono concluse sotto quello di Dino Compagni, che venne eletto subito dopo. I patti furono: restituzione dei prigionieri; esenzione da ogni gabella sulle mercanzie dei Comuni della Lega toscana, che passavano per Pisa, con reciproco privilegio ai Pisani. Per quattro anni questi dovevano eleggere il Podestà ed il Capitano, in modo che uno dei due venisse dai Comuni della Lega, l'altro da gente non ribelle ad essa, e non mai fra i conti di Montefeltro. Di questi era appunto il conte Guido, che aveva sino allora comandato con gran valore la difesa di Pisa, tenendovi l'ufficio di Podestà, di Capitano del popolo e di guerra. Egli doveva ora, secondo i patti della pace, abbandonare la città insieme con tutti i Ghibellini forestieri, in fede di che si dovettero dare in ostaggio 25 dei migliori cittadini. Tutto ciò fu un obbligare i Pisani alla piú dura ingratitudine, che il Conte avrebbe potuto far loro pagar cara, trovandosi esso alla testa d'un esercito ancora numeroso e a lui devoto; pure volle invece sopportare l'ingiuria dignitosamente. Entrato in Consiglio, ricordò loro i servigi resi, la ingratitudine con cui veniva pagato, e, ricevuto il suo soldo, se ne parti senza indugio. Ai Fiorentini fu anche promesso, che le mura del castello di Pontedera verrebbero disfatte, e i fossati riempiti; che i piú potenti esuli guelfi sarebbero stati rimessi in città. Ai Pisani però si doveva la restituzione del castello di Monte-Cuccoli e di ogni altra loro terra in Val d'Era.
Posto cosí termine ad un'impresa, che sembrava allora la piú grave di tutte, il popolo procedette con piú ardire ad altre di minore momento. Furono sottomesse varie terre o castelli, come Poggibonsi, Certaldo, Gambassi, Cutignano. Ai conti Guidi si tolse la giurisdizione d'un assai gran numero di terre nel Val d'Arno di sopra. In Mugello furono riacquistati molti possessi ingiustamente occupati dagli stessi conti Guidi, dagli Ubaldini e da altri potenti. Fu poi formata una commissione di tre popolani, per allibrare, cioè fare un censimento dei beni della Città e del contado. La stessa commissione liberò anche le terre dell'Ospedale di Sant'Eustachio presso Firenze, che ingiustamente erano state occupate da molti, e le fece porre sotto la protezione diretta dei Consoli di Calimala. Merita poi d'essere accennato un altro fatto, che dimostra con quanta energia procedesse allora in ogni cosa il popolo di Firenze, il quale, secondo l'espressione del Villani, «era fiero e in caldo e signoria». Un tale, avendo commesso un maleficio, fuggí a Prato, e vi fu accolto. La Repubblica subito lo richiese, e non essendo stato rimandato, condannò il Comune di Prato a pagare diecimila lire, ed a rendere il malfattore, inviando a tal fine un solo messo con lettera. I Pratesi non obbedirono, ed allora, senza indugio, fu intimata la guerra, chiamando sotto le armi fanti e cavalieri, il che finalmente li costrinse a cedere. «E cosí di fatto facea le cose, l'acceso popolo di Firenze».